il manifesto 10.11.18
Il figlio del secolo e la degenerazione della politica
Fascisti.
Quel che esce bene dal libro, e che è importante ancora oggi, è la
tiepidezza con la quale l’Italia, e non soltanto Facta, hanno permesso
che il fascismo si sviluppasse
di Rossana Rossanda
Differentemente
da Galli Della Loggia, ho trovato interessante il libro di Antonio
Scurati (M. Il figlio del secolo, Bompiani 2018) malgrado gli errori nei
quali egli è incorso, e che considero responsabilità non soltanto sua
ma di un editing nel quale consisterebbe la differenza fra editore e
stampatore, ma cui gli editori oggi tendono perlopiù a rinunciare.
Il
libro mi interessa soprattutto per il clima che descrive, e che,
secondo me a torto, l’autore attribuisce alla creazione romanzesca: mi
sembra invece un’intuizione storicamente rilevante, e di natura politica
più che favolistica il ritratto che Scurati fa del clima e della
«cultura» nel quale il fascismo si è sviluppato, attraverso il montaggio
del volume fra documenti scritti ed eventi concreti. E che le
precisazioni di Galli Della Loggia, a mio avviso, non modificano. Non
intendo affatto glorificare gli errori storici, e quel che meno mi ha
persuaso è la giustificazione appunto narrativa che ne dà Scurati: in
verità quel che esce bene dal libro, e che è importante ancora oggi, è
la tiepidezza con la quale l’Italia, e non soltanto Facta, hanno
permesso che il fascismo si sviluppasse. Una parte di questa strategia
sta anche nella contrapposizione tra un Mussolini meno eccessivo e dei
fascisti oltranzisti, come Farinacci, oltre che degli impietosi
tedeschi, sostenuta per esempio dallo storico Renzo De Felice.
Non
so se sia precisa l’interpretazione del carattere di Matteotti, in gran
parte suggerita a Scurati dalla moglie Velia, certo è verosimile ed è
un tentativo di capire l’uomo nella sua fragilità. Lo stesso si può dire
sull’atteggiamento dei suoi amici socialisti, in particolare Turati.
Per caso mi è successo proprio mentre chiudevo questo volume di vedere
il nuovo Fahrenheit di Michael Moore e di riflettere su quanto sia
improponibile il suo, pur ben intenzionato, ritornare, per esempio,
sull’incendio del Reichstag e altri orrori simili come chiavi di una
verosimile lettura della futura evoluzione di Trump: se si deve
attenersi ad essi, quel fascismo non è certo alle porte degli Stati
Uniti. L’ignoranza e l’arroganza del «duce americano» gli somigliano, ma
non la sua specifica qualità.
Quel che si pone, e in modo evidente, è il problema di degenerazione della politica.
In
questo senso, l’imprecisa tecnica narrativa di Scurati serve di più, mi
sembra, a capire i pericoli attuali del salvinismo, e a misurare la
debolezza di una reazione anche soltanto «politicamente corretta» delle
attuali opposizioni. Non voglio certo, lo ripeto, giustificare le
imprecisioni della memoria di Scurati e neanche quelle di una ragazza
che comunque era stata messa in guardia da genitori e dalle letture
spesso estere e assai negative del modo di essere dei fascisti e poi
degli occupanti tedeschi meno clamorosi ma immagine stessa di una
efficienza repressiva.
E quindi delle responsabilità dei
permanenti rinvii di una presa di posizione netta sul fascismo. Mi pare
interessante e acuto l’uso del montaggio effettuato da Scurati fra le
parole e i fatti, e a volte fra parole dei documenti e parole, non solo
discorsi, dei protagonisti. Forse io do troppo ascolto alle mie
preoccupazioni e paure. Non so quale parte dell’opera di Scurati si
debba alla sua fantasia di romanziere e quale alla sua intuizione o
memoria di storico. Certo è illuminante l’immagine che egli trasmette
dell’opinione italiana fra il ’22 e la guerra.
Tra l’altro essa fa
anche giustizia del modo con il quale un certo cinema italiano l’ha
buttata tutta in ridere, come quando Alberto Sordi canta: «Mamma ritorno
ognor nella casetta» a illustrare il “tutti a casa” dei giorni
dell’armistizio. Ridotto o a puro orrore o a grande risata, non si
producono gli anticorpi a un fascismo più o meno perfetto.