Il Fatto 27.11.18
Kiev chiama alla guerra. Mosca grida: “Provokazia”
A
cannonate - Dopo lo scontro con le unità russe sullo Stretto di Kerch,
fra Mar Nero e Mar d’Azov, Stoltenberg (Nato) chiede al Cremlino il
rilascio dei 23 marinai e delle navi alleate
di Michela A.G. Iaccarino
Nel
gelido mare d’Azov è stata guerra fra Ucraina e Russia e la Nato ha
avuto una riunione straordinaria al quartier generale, a Bruxelles. Il
segretario Jens Stoltenberg chiede due cose alla Russia: libertà di
navigazione per l’Ucraina nello stretto di Kerch e la liberazione dei
suoi marinai. “La Russia deve comprendere che le sue azioni avranno
delle conseguenze”, ha proseguito Stoltenberg, senza precisare quale
risposta possa essere messa in atto.
Lo scontro navale era
cominciato all’alba di domenica. La prima comunicazione del Fsb, i
servizi russi: “Due cannoniere e un rimorchiatore della Marina ucraina
stanno violando il confine marittimo”, ignorando le segnalazioni delle
autorità che devono effettuare controlli.
La seconda comunicazione
è l’ordine dei servizi russi che spedisce i suoi tra le acque a fermare
“le manovre pericolose” dei tre vascelli militari. “Blyad, Nasad!”.
(Merda, tornate indietro!). Viene strillato più volte nel ricevitore dai
furenti militari russi, ma le tre navi ucraine proseguono a velocità
massima. È allora che la prima imbarcazione ucraina viene speronata da
quella russa, sulle altre due viene aperto il fuoco: per gli ucraini i
feriti sono sei, per i russi tre: 20 gli arrestati.
Mosca e Kiev
cominciano subito il loro tango preferito con accuse reciproche, si
additano la responsabilità della “provocazione navale”.
Procedimenti
penali incrociati: aprono fascicoli per “aggressione bellica”, l’una
contro l’altra. La Marina ucraina comunica di aver notificato in
precedenza l’attraversamento della Berdyansk, della Nikopol e del loro
rimorchiatore Jan Kap, dirette da Odessa a Mariupol, snodo marittimo e
ferroviario a ridosso della linea di fuoco in Donbass, ma Mosca nega. Lo
Stato maggiore ucraino diffonde allora presunte intercettazioni tra
militari russi che parlano di un coinvolgimento diretto di Putin in
tutta questa storia.
Secondo la dicitura ufficiale del Mid,
ministero degli Esteri sotto comando di Lavrov, la Russia è stata
attaccata: “È un’invasione di navi da guerra straniere nelle acque
territoriali russe, abbiamo operato in stretta conformità del diritto
internazionale ”, dice Dimitry Peskov.
Per il Cremlino furioso si
tratta di una “provokazia pianificata da Kiev con Europa e Stati Uniti,
che serve a far emettere nuove sanzioni anti-russe”.
La teoria di
Mosca è che quelle sono tre caravelle kamikaze del presidente ucraino
Poroshenko, che gira in mimetica da due giorni e cercava lo scontro.
I
jet Su-25 dell’aviazione russa cominciano a volare a pelo d’acqua sul
ponte di Crimea, il gioiello di ferro del presidente Putin, la lingua di
cemento e acciaio che collega la penisola alla terraferma di casa madre
Russia. La striscia d’acqua di Kerch che gli scorre sotto è l’unica
apertura che non rende il mare d’Azov un enorme lago, l’unico punto
d’accesso alle città ucraine sulla costa, nella regione delle
repubbliche filorusse del Donbass. Quel ponte è l’opera magna del
presidente Putin, il simbolo orizzontale della sua vittoria, e in questi
giorni nei cinema di Mosca viene celebrato con un kolossal. Titolo: “Il
ponte costruito con amore”, quello dove adesso c’è allarme terrorismo
dopo l’appello dei politici più radicali di Kiev, che invitano a farlo
saltare in aria. Non più a terra: il sangue scorrerà in mare per
riaccendere il conflitto, da quando “la questione Crimea” è stata
dimenticata.
Che teatro degli scontri sarebbe stato l’Azov i
quotidiani slavi, di Kiev e Mosca, lo stavano ripetendo dal settembre
scorso. Perché se in Donbass vige il silenzio dei fucili – ma di tanto
in tanto arrivano bombe di mortaio o saltano in aria esponenti di primo
piano dei filorussi – in Ucraina si continua a morire di fame, freddo e
di una finta tregua per molti è solo un altro tipo di guerra.
Ecco,
ora è successo, dice la stampa: tre caravelle e tre feriti.
All’ospedale di Kerch ci sono i marinai della nave Berdyansk: Andrey
Eider, 18 anni; Vasily Soroka, 27 anni, figlio di un deputato del
partito di destra Svoboda. Il padre Viktor che aveva parlato a telefono
con suo figlio non sapeva niente della traversata a Kerch, lo sapeva
però la moglie di Andrey Artemenko, 24 anni, il terzo ferito. A suo
padre che lavora in Italia, Andrey prima di partire non ha detto niente,
se non: “Papà, guarda la televisione”.