sabato 6 ottobre 2018

Repubblica 6.5.18
L’analisi
Se Verona diventa città anti aborto
di Michela Marzano


Verona è una "città a favore della vita", recita la mozione della Lega votata ieri notte in consiglio comunale anche dalla capogruppo del Pd, e sostiene le attività delle associazioni Pro-Life. Un attacco frontale alla legge 194 del 1978 che legalizzò l’aborto. Come se tutti coloro che per anni si sono battuti affinché anche in Italia fosse riconosciuta alla donna la possibilità di interrompere una gravidanza nelle strutture pubbliche e gratuitamente fossero dei ferventi sostenitori di una "cultura della morte". E fosse meglio tornare alla clandestinità, quando erano numerose le donne che morivano sotto i ferri delle "mammane". Viene da chiedersi se dietro questa decisione ci sia ignoranza o malafede, oppure entrambe le cose. Visto che ormai sappiamo da tempo che in molte regioni italiane, dato l’alto numero di medici obiettori, è complicato, talvolta impossibile, accedere all’interruzione volontaria di gravidanza, e che dietro le iniziative portate avanti dai movimenti Pro-Life si nasconde spesso, dietro la difesa del "valore della vita", un’intolleranza profonda nei confronti della fragilità della condizione umana. Tutti vorremmo un mondo in cui, quando si desidera un figlio, ci si ritrova poi immediatamente incinta o, quando non si è pronti ad accoglierlo, la gravidanza non arriva. La realtà, però, è molto più complessa e drammatica: c’è chi aspetta per anni quel bambino che non arriverà mai e chi, invece, vive la gravidanza come una condanna, e quindi non può, non vuole o non ce la fa a diventare madre – ma chi siamo noi per giudicare un’altra persona? Che ne sappiamo di quello che ha potuto vivere, o vive, una donna che decide di abortire? Il problema di alcune associazioni cattoliche è voler imporre a tutti la propria visione del mondo, come fosse sempre evidente sapere cosa è "bene" e cosa è "male", quello che si deve fare e quello che si deve evitare. E allora non esitano a schierarsi contro la fecondazione eterologa, nonostante siano a favore della vita, oppure contro l’aborto, nonostante il rischio di chi abortisce nell’illegalità sia proprio quello di morire. Questa idea secondo cui le cose sarebbero semplici – la famiglia naturale l’unica famiglia possibile, l’eterosessualità la norma e la vita sempre e solo una benedizione – si scontra tuttavia contro la realtà dell’esistenza. E rischia solo di generare dolore supplementare. Ma se fino ad ora i Pro-Life non se ne sono resi conto, forse è davvero impossibile convincerli. Quello che stupisce in questa vicenda non è tanto la mozione della Lega – in perfetta linea con le posizioni di Lorenzo Fontana, attuale ministro della Famiglia ed ex vicesindaco di Verona – quanto la posizione della capogruppo del Pd che, invece di difendere l’autonomia femminile e battersi contro l’inevitabile discriminazione di tutte coloro che già oggi sono costrette a spostarsi da una regione all’altra per abortire, approva di fatto un passo indietro del nostro Paese in termini di diritti. Forse ha dimenticato quanto scrisse Simone de Beauvoir, nel 1949, parlando appunto dell’interruzione di gravidanza: «Gli uomini si contraddicono con uno stolido cinismo; ma la donna sperimenta queste contraddizioni nella sua carne ferita […] pur considerandosi vittima di un’ingiustizia, si sente contaminata, umiliata; è lei che incarna sotto forma concreta e immediata, in sé, la colpa dell’uomo».