Repubblica 6.5.18
L’analisi
Se Verona diventa città anti aborto
di Michela Marzano
Verona
è una "città a favore della vita", recita la mozione della Lega votata
ieri notte in consiglio comunale anche dalla capogruppo del Pd, e
sostiene le attività delle associazioni Pro-Life. Un attacco frontale
alla legge 194 del 1978 che legalizzò l’aborto. Come se tutti coloro che
per anni si sono battuti affinché anche in Italia fosse riconosciuta
alla donna la possibilità di interrompere una gravidanza nelle strutture
pubbliche e gratuitamente fossero dei ferventi sostenitori di una
"cultura della morte". E fosse meglio tornare alla clandestinità, quando
erano numerose le donne che morivano sotto i ferri delle "mammane".
Viene da chiedersi se dietro questa decisione ci sia ignoranza o
malafede, oppure entrambe le cose. Visto che ormai sappiamo da tempo che
in molte regioni italiane, dato l’alto numero di medici obiettori, è
complicato, talvolta impossibile, accedere all’interruzione volontaria
di gravidanza, e che dietro le iniziative portate avanti dai movimenti
Pro-Life si nasconde spesso, dietro la difesa del "valore della vita",
un’intolleranza profonda nei confronti della fragilità della condizione
umana. Tutti vorremmo un mondo in cui, quando si desidera un figlio, ci
si ritrova poi immediatamente incinta o, quando non si è pronti ad
accoglierlo, la gravidanza non arriva. La realtà, però, è molto più
complessa e drammatica: c’è chi aspetta per anni quel bambino che non
arriverà mai e chi, invece, vive la gravidanza come una condanna, e
quindi non può, non vuole o non ce la fa a diventare madre – ma chi
siamo noi per giudicare un’altra persona? Che ne sappiamo di quello che
ha potuto vivere, o vive, una donna che decide di abortire? Il problema
di alcune associazioni cattoliche è voler imporre a tutti la propria
visione del mondo, come fosse sempre evidente sapere cosa è "bene" e
cosa è "male", quello che si deve fare e quello che si deve evitare. E
allora non esitano a schierarsi contro la fecondazione eterologa,
nonostante siano a favore della vita, oppure contro l’aborto, nonostante
il rischio di chi abortisce nell’illegalità sia proprio quello di
morire. Questa idea secondo cui le cose sarebbero semplici – la famiglia
naturale l’unica famiglia possibile, l’eterosessualità la norma e la
vita sempre e solo una benedizione – si scontra tuttavia contro la
realtà dell’esistenza. E rischia solo di generare dolore supplementare.
Ma se fino ad ora i Pro-Life non se ne sono resi conto, forse è davvero
impossibile convincerli. Quello che stupisce in questa vicenda non è
tanto la mozione della Lega – in perfetta linea con le posizioni di
Lorenzo Fontana, attuale ministro della Famiglia ed ex vicesindaco di
Verona – quanto la posizione della capogruppo del Pd che, invece di
difendere l’autonomia femminile e battersi contro l’inevitabile
discriminazione di tutte coloro che già oggi sono costrette a spostarsi
da una regione all’altra per abortire, approva di fatto un passo
indietro del nostro Paese in termini di diritti. Forse ha dimenticato
quanto scrisse Simone de Beauvoir, nel 1949, parlando appunto
dell’interruzione di gravidanza: «Gli uomini si contraddicono con uno
stolido cinismo; ma la donna sperimenta queste contraddizioni nella sua
carne ferita […] pur considerandosi vittima di un’ingiustizia, si sente
contaminata, umiliata; è lei che incarna sotto forma concreta e
immediata, in sé, la colpa dell’uomo».