Repubblica 6.10.18
L’identikit del gruppo
Rabbia e colori da Rothko a de Kooning
di Chiara Gatti
La
fotografia di Nina Leen, apparsa nel gennaio del 1951 fra le pagine di
Life, è uno dei ritratti di gruppo più famosi del Novecento. Nina scattò
la foto a New York davanti a una piramide di quindici artisti dall’aria
cupa. "Gli irascibili" titolava l’articolo sul magazine, che replicava a
caratteri cubitali la definizione già coniata dall’Herald Tribune pochi
giorni prima, quando la stessa pattuglia di autori dichiarò guerra al
Metropolitan Museum per non averli inseriti nel progetto di una mostra
sulla pittura contemporanea americana.
Esclusi, rifiutati.
"Refusés", come gli impressionisti a Parigi un secolo prima. Fioccarono
lettere stizzite ai media. Incompresi dall’establishment, da critica e
pubblico, fecero squadra per difendere la vocazione comune per un’arte
astratta, sorgiva, informale, inconscia. Scorrendo l’immagine, si
riconoscono i volti di Pollock al centro, di Newman che aveva insistito
affinché tutti si vestissero professionalmente, "da banchieri", oltre a
Rothko, Motherwell e de Kooning. In alto domina Hedda Sterne, l’unica
donna. Fu la gallerista Betty Parsons a caldeggiare una quota rosa,
anche se Hedda, in una intervista degli anni Ottanta, spiegò come la sua
presenza li avesse fatti infuriare: «perché il loro maschilismo li
portava a credere che una donna togliesse serietà all’impresa».
All’avanguardia, dunque, ma fino a un certo punto.
Fatto
sta che l’operazione ne decretò il riconoscimento e rafforzò il senso
comune di appartenenza a un movimento che era già stato definito, in
modo generico (e meno pittoresco...), "Scuola di New York", ma che ora
vedeva riunirsi gli artisti negli studi del Greenwich Village, decisi a
riflettere sulle varie declinazioni dell’espressionismo astratto.
Jackson Pollock, frontman del gruppo, gonfiava i numeri: «ci sono
cinquecento miei coetanei a New York che fanno un lavoro importante».
Cinquecento forse no. Ma era tanti quelli che già dall’inizio degli anni
Quaranta, incoraggiati da Peggy Guggenheim, inseguivano gesti puri,
pulsioni intime, la trascendenza del sensibile in una dimensione
psichica. E addio al concetto di forma universalmente riconosciuto!
Accanto
allo slancio muscolare e spasmodico di Jackson, esplosero i segni neri e
spessi di Franz Kline simili a ideogrammi orientali dilatati nello
spazio, la materia strizzata dal tubetto di James Brooks, i simboli di
matrice ancora surrealista (e politica) di Motherwell. Un contributo
intenso e sofferto venne dalla generazione di artisti nati in Europa e
approdati in una New York cosmopolita.
L’olandese de Kooning non
aveva rinunciato ad elementi figurativi, ma impastava parvenze di corpi
con colori urticanti. Era arrivato negli Stati Uniti nel 1926, subito
dopo Mark Rothko, nato in Lettonia ma cresciuto in Oregon, che piegò
l’astrazione verso esiti mistici nelle sue icone dalla sacralità
commovente. Vicino a un capofila della scuola, l’armeno Arshile Gorky,
che era scampato al genocidio e riversò nella sua pittura lirica il
dramma di un’esistenza sfibrata, spiccano nomi meno noti alle cronache.
Come Helen Frankenthaler che dipingeva srotolando la tela sul pavimento,
William Baziotes con le sue creature filiformi, o Philip Guston:
frequentò la high school di Los Angeles insieme a Jackson e fu espulso
con lui per i violenti picchettaggi contro il sistema scolastico.
POLLOCK
e la Scuola di New York, dal 10 ottobre al 24 febbraio 2019, Roma,
Complesso del Vittoriano – Ala Brasini prodotta e organizzata dal Gruppo
Arthemisia in collaborazione con The Whitney Museum of America Art, New
York e curata da David Breslin e Carrie Springer con Luca Beatrice
Orario apertura: dal lunedì al giovedì 9.30 - 19.30; venerdì e sabato
9.30 - 22. Domenica 9.30 - 20.30 (la biglietteria chiude un’ora prima)
Biglietti Intero € 15 (audioguida inclusa); ridotto € 13 (audioguida
inclusa). Informazioni e prenotazioni gruppi T. + 39 06 8715111 www.ilvittoriano.com