Repubblica 3.10.18
Tara Fares e le altre vittime
Morire di odio al tempo di Instagram
La
modella uccisa per le vie di Bagdad è solo l’ultima Come lei, molte
giovani donne finiscono nel mirino per la voglia di rappresentare sui
social un futuro laico e più libero per i loro Paesi
di Francesca Caferri
Tara
Fares, uccisa per le strade di Bagdad giovedì, non è stata che l’ultima
vittima. La spiegazione per la morte, hanno raccontato i giornali, è da
ricercarsi nella sua attività sui social network. Con i suoi 2,8
milioni di followers su Instagram, la app di condivisione delle
fotografie, Fares offriva un’immagine alternativa dell’Iraq: sexy,
scanzonata e controcorrente. Per questo è stata eliminata. Nel mirino
degli haters ora c’è un’altra reginetta di bellezza irachena, Shimaa
Qassem: «La prossima sarai tu», le hanno scritto su Instagram dopo la
morte della collega. Parole che, purtroppo, non sono del tutto nuove: a
settembre c’era stato il caso di Anam Tanoli, 26 anni, modella e
influencer pachistana trovata morta nella sua casa di Lahore il giorno
dopo aver denunciato su Instagram la campagna di odio di cui era vittima
in rete. «I bulli sono solo dei codardi», aveva detto. La polizia ha
archiviato la morte come suicidio, ma il paragone con Qandeel Baloch, la
regina dell’Instagram pachistano, uccisa nel 2017 dal fratello per
«salvare l’onore della famiglia», messo in discussione dalle
esternazioni della ragazza sui Social non sono mancate. Di Instagram si
muore dunque, sopratutto nei Paesi più conservatori. E le vittime spesso
sono donne: «Dietro a queste violenze ci sono elementi specifici in
ogni luogo: in Iraq per esempio c’è la volontà di colpire un Paese che
sta tentando di cambiare — spiega Renata Pepicelli, docente di Storia
dei Paesi islamici all’università di Pisa — ma è anche vero che le donne
vengono colpite perché spesso sono il simbolo del cambiamento. E,
attraverso i social, propongono un modello di comportamento diverso: e
facilmente accessibile a tutti». Colpire chi si presenta come diverso
dunque, significa tentare di bloccare la possibile diffusione di
comportamenti considerati pericolosi: è il caso di Maedeh Hojabri,
arrestata a luglio in Iran per aver condiviso con i suoi 600mila
followers su Instagram video girati mentre ballava. «I social possono
facilmente diventare strumenti di amplificazione di determinati
fenomeni. Uno di questi è l’idea che le donne siano un soggetto debole e
per questo possano essere prese di mira, con fake news o con campagne
di odio», conclude Gabriela Jacomella, giornalista e co-fondatrice di
Factcheckers-it.