Repubblica 29.10.18
Rifondazioni
Libertà e sicurezza sono valori di sinistra
Nel
nuovo libro di Marco Minniti che attraversa la politica non solo
italiana: come fermare la deriva nazionalista, razzista e populista del
governo?
La situazione attuale assomiglia a quella che portò alla marcia su Roma di Mussolini nel 1922
di Eugenio Scalfari
Domani esce il libro di Marco Minniti, intitolato Sicurezza è libertà.
È
una riflessione su una serie di temi e problemi trattati con diversi
argomenti e descrive la società in cui viviamo e i rischi che comporta
l’ipotesi assai pericolosa d’una alleanza al tempo stesso razzista e
populista delle forze estremiste, in gran parte italiane, che hanno come
finalità non confessata ed anzi ipocritamente negata di sfasciare
l’Europa. Il prevalere infatti del nazionalismo – del quale l’Europa
dovrebbe essere semplicemente un circolo di discussione – non
rafforzerebbe affatto il Continente del quale facciamo geograficamente
parte ma lo trasformerebbe soltanto in un luogo di incontro tra le
diverse sovranità.
Minniti è ovviamente contrario a questa visione
nazionalista ed anti- europea e propone invece un’Europa che dovrebbe
coincidere con l’esperienza del suo passato e i propositi che intende
attuare nel suo futuro. Ma prima di esaminare questo suo studio sul
futuro da un assai interessante passato prossimo, mi viene la voglia di
ricordare ciò che avvenne alla fine di ottobre del 1922, più o meno un
secolo fa.
***
Benito Mussolini, tra il 24 e il 26 ottobre
del ’ 22 lanciò da tutt’Italia quella che lui stesso chiamò la Marcia su
Roma ( 28 ottobre). Migliaia e migliaia di fascisti si avviarono in
corteo verso la capitale del Regno per proclamare una dittatura
repubblicana. La marcia avveniva sulle principali strade d’Italia, dal
Nord e dal Sud, lungo il Tirreno e l’Adriatico, sulla Cassia, la
Flaminia, l’Appia, l’Aurelia affollate da un popolo guidato da capi che
Mussolini aveva indicato: Starace, Balbo, Bottai, Farinacci, De Vecchi.
Mussolini aspettava a Milano e sarebbe arrivato a Roma 30 ottobre: aveva
chiesto di incontrare il Re, Vittorio Emanuele III, che nel frattempo
aveva proclamato lo "stato d’assedio" militare, soprattutto schierato
l’esercito in difesa della capitale.
Alla fine l’incontro al
Quirinale si fece e nacque il governo Mussolini con il suo primo
discorso: « Potevo fare di questa Aula sorda e grigia un bivacco di
manipoli: potevo sprangare il Parlamento e costituire un Governo
esclusivamente di fascisti. Potevo: ma non ho, almeno in questo primo
tempo, voluto » . Due anni dopo fu ucciso in un attentato il leader del
partito socialista Giacomo Matteotti. Per molti mesi dopo questa
tristissima vicenda Mussolini oscillò tra l’idea di ritirarsi del tutto
dalla politica e quella invece di dar luogo ad un governo dittatoriale
che avrebbe avuto come ministri soltanto quelli che lui battezzò con la
parola "gerarchi" del partito.
Mussolini naturalmente aveva idee
assai diverse da quando per la prima volta aveva incontrato il Re.
Assunse la qualifica di Duce e le insegne dell’antica Roma il cui impero
lo affascinava: i fasci littori divennero l’emblema del fascismo.
L’Impero a sua volta nacque negli anni Trenta con la conquista
dell’Etiopia.
Tutto questo durò fino al 1943 con continue
oscillazioni tra pace e guerre, alcuni provvedimenti economici
interessanti e altri disastrosi. Dal punto di vista della politica
estera Mussolini aveva il suo partner in Adolf Hitler, il quale lo
ammirava perché il Duce l’aveva preceduto di dieci anni nella conquista
del potere. Ma c’era una differenza profonda tra i due: Hitler amava la
guerra, Mussolini che aveva ingaggiato solo guerre coloniali tentò
invece di influire sul führer per far concludere rapidamente il
conflitto scoppiato nel 1938. Non vi riuscì e quella guerra da lui
temuta e non voluta travolse l’intero continente, l’Italia, il fascismo e
ovviamente il Duce che lo aveva creato e guidato. Ho ricordato questo
passato perché in qualche modo somiglia all’attuale presente.
Naturalmente speriamo di no.
***
Il libro di Minniti,
intitolato come ho già detto Sicurezza è libertà, comincia con un
capitolo che riassume in poche righe il mondo della politica. Lo cito.
«Durante l’affermazione del nuovo populismo, sia quello europeo sia
quello italiano, c’è l’idea, che non è fondata ma illustra con molta
chiarezza ciò che pensano i partiti governanti, che il principio di
sicurezza e quello di libertà non possono convivere mentre, per una vera
e salda democrazia noi la consideriamo una coppia affascinante ».
Questa
visione tipica della coppia Salvini- Di Maio, contiene di fatto
l’abbattimento della Costituzione, e separa crescita economica e
questione sociale, rafforzamento europeo e sovranità nazionale. Il fatto
che l’ottica di Salvini sia principalmente razzista ci fa capire che la
libertà è per lui un vincolo completamente negativo. Salvini in realtà
non è un populista. Di Maio guida un partito ( che non è più un
"movimento") fondato non da lui ma da Beppe Grillo. Questo era allora un
movimento populista che non aveva alcun programma salvo la distruzione
di tutte le classi dirigenti, qualunque fosse il loro colore politico:
destra, centro, sinistra. «Ma poi che cosa farete? » , gli si domandava.
Questo chiese Bersani quando cercò di attrarre i grillini avendo
ricevuto un incarico di formare il governo dal presidente Napolitano.
Bersani parlò a lungo con i 5 Stelle sperando in un appoggio che solo Grillo poteva accettare. Ma non andò affatto così.
Il
populismo spesso si è formato nelle società malgovernate. È una
risposta al malgoverno che quasi sempre ottiene il risultato di
migliorare la situazione e poi scompare. Ma adesso non è più così:
Salvini si vale del populismo perché lo coniuga con il razzismo e con la
dittatura nazionale in un’Europa da spaccare in mille pezzi, come in
parte sta già avvenendo.
Di Maio invece, che nasce populista, in
qualche misura ha ripudiato le tesi ancora oggi affermate da Grillo. I 5
Stelle si chiamano ancora Movimento, ma in realtà sono un partito con
una sua politica economica, discutibile anzi molto discutibile, ma che
comunque esiste ed è accettata con qualche modifica da Salvini. Per
concludere su questo punto, che è della massima importanza, il libro di
Minniti esamina a fondo la natura dei due partiti di governo e individua
in Salvini il vero avversario. Di Maio, quando era ancora legato a
Grillo, raccoglieva all’incirca il 10 per cento dei voti. Quando è
salito al 20 e poi quasi al 30 per cento? Quando Renzi ha mostrato
evidentemente la sua vocazione per il comando individuale. Non si chiama
proprio dittatura, ma in realtà ha dei notevoli tratti di somiglianza,
che peraltro un partito con un gruppo dirigente riesce ad utilizzare
negli aspetti accettabili e a bloccare in quelli che mettono in crisi il
partito stesso.
Da questa situazione culminata nelle elezioni del
4 marzo scorso, Di Maio ha vinto non già per il suo populismo grillino
ma perché molti che avevano aderito o comunque votato per il Pd sono
rifluiti nel movimento di Di Maio o si sono astenuti dal voto. E questi
due elementi, dice Minniti, sono quelli che possono essere recuperati da
un partito democratico che abbia dei leader capaci di attirare sia i
non votanti sia quelli che ai 5 Stelle si sono affidati soltanto per
ammonire il partito di provenienza ad una conduzione realmente
democratica, moderna, europeista. Quelli che chiedono, insomma, una
sinistra nuova ed efficiente dove la democrazia si fonda sull’esperienza
del passato e la previsione concreta del futuro prossimo.
Queste
sono le tesi che Minniti delinea mettendo tra l’altro in rilievo che
l’Africa ha bisogno dell’Europa ma l’Europa ha altrettanto bisogno
dell’Africa. Lui l’ha sperimentato per due anni ed ha fatto su questo
terreno dei passi avanti fondamentali. Nel libro li rievoca con molta
moderazione perché non vuole fare una auto-peana di se stesso, ma chi ha
seguito la sua politica conosce bene il programma Africa- Europa da lui
concepito e in parte attuato. Occorre che l’Italia, non certo da sola,
investa risorse economiche e sociali nei paesi al di là del deserto
libico. Questi interventi creeranno prodotti, lavoro, ricchezza,
recupero degli emigrati che fuggono dalla fame. Questa politica si può
estendere, nell’esperienza e nel pensiero di Minniti, a tutta l’Africa
centrale, da quella che si affaccia sull’Atlantico fino alle coste del
Nilo e addirittura del Golfo Arabo. Un partito liberaldemocratico che
facesse propria questa politica, che tentasse in tutti modi di
rafforzare l’Europa come continente orientato verso la federazione o
verso una confederazione molto stretta tra i vari componenti e che abbia
come parola d’ordine sicurezza, libertà, uguaglianza, giustizia: questa
è l’ipotesi. Per fortuna non è soltanto di Minniti ma di tutto un
gruppo di uomini politici che fanno parte del Pd o operano nei suoi
dintorni. C’è l’incognita di Renzi ma è di questi ultimi giorni e il
libro di Minniti non poteva affrontarla. Ora si è profilata e bisognerà
fare i conti con essa. Possono anche essere positivi e lo saranno se il
Partito democratico si rilancerà con forza e con risultati.