Repubblica 1.10.18
Delitti e vicini di casa
La rabbia nel cortile
di Elena Stancanelli
Come
si diventa nemici lo sappiamo bene. Si comincia piano, pianissimo, a
volte, come nell’amore, si comincia persino bene. Siamo pur sempre
vicini di casa. Ci saranno stati saluti all’inizio, sorrisi, forse anche
piccoli favori, il portone tenuto aperto per far passare il passeggino,
il postino ha lasciato questa per lei. Poi, piano piano, l’abisso. Un
gesto che produce un fastidio minuscolo ma, nella ripetizione, diventa
intollerabile, un’offesa gravissima che nessuno scorrere del tempo
riesce a perdonare e si fa putrida nel cuore. In pochi giorni quattro
morti, feriti gravi. Una festa di addio al celibato trasformata in una
carneficina, la macchina parcheggiata davanti casa troppo a lungo
diventa la ragione di un delitto.
Ma nel recente passato di questo
paese, da nord a sud con frequenza simile, abbiamo già avuto omicidi
efferati tra vicini di casa, vendette condotte a freddo e gesti
impulsivi. Si uccide quasi sempre con un’arma. Una pistola. Per carità,
non serve una pistola per uccidere, ma una pistola rende l’impresa assai
più agile, e asettica che non un corpo a corpo di qualsiasi tipo.
Avere
un’arma in casa significa metterla nell’ossessione rabbiosa, farne
l’anello finale della catena di pensiero tumorale, mostruoso che cresce
intorno a quel minuscolo sgarro che dicevamo. Consegnare armi a un
popolo rabbioso è pericoloso, può diventare fatale. Teniamolo bene in
testa. E non è un caso che si tenti di farlo proprio adesso, che abbiamo
costruito la rabbia solida ed efficace, la rabbia che serviva. Ma per
trasformare l’altro, al quale potremmo semplicemente essere
indifferenti, nella persona da odiare, occorre far nascere un
sentimento. Come l’amore, dicevamo, e quella peculiare disperazione che
ci coglie di fronte ai comportamenti della persona di cui eravamo
innamorati e che adesso ci sembrano inaffrontabili, desolanti, offensivi
in maniera intollerabile.
Occorre accendere l’odio. Mostrare
all’individuo, lasciato solo in una comunità preventivamente fatta a
pezzi, che la persona che abita accanto e si comporta in maniera diversa
da lui, vuole il suo male. Rubargli il posto della macchina o il
lavoro, il silenzio, i risparmi, le figlie, la sovranità. Bisogna
insegnargli, giorno dopo giorno, che non esiste un bene comune, che la
politica è il male, che non ci sono più forme di mediazione sociale,
fosse pure il prete che richiamava gli offesi alla moderazione. Bisogna
avergli sottratto le forme impalpabili di rispetto che sono patrimonio
della cultura, dell’arte. Bisogna avergli insegnato che cultura è
culturame, la scienza è Big Pharma, l’intelligenza è gli intelligentoni,
la scuola e il sapere indottrinamento. Aver trasformato in
dispregiativo ogni sostantivo ascrivibile all’ambito semantico della
tolleranza e del rispetto, della complessità e della dottrina. Ma più
ancora di questo, occorre quella particolare forma di stupidità tipica
delle dittature, la più pericolosa di tutte: la totale mancanza di
ironia. Benedetto il giorno in cui torneremo a prenderci in giro per le
nostre debolezze perché quel giorno le pistole saranno, come devono
essere, di cioccolata.