Repubblica 18.10.18
L’eterno ritorno di Pompei cantiere dei misteri
di Francesco Erbani
La
scoperta del graffito che cambia la data dell’eruzione è soltanto
l’ultimo enigma. Tra terremoti, archivi scomparsi e dubbi sulla
fondazione, il racconto di Fabrizio Pesando, che da anni studia la città
sepolta
Intervista di
Poche parole vergate con il
carboncino sulla parete di una domus rilanciano Pompei quale luogo
d’indagine e non solo di spettacolare suggestione. Nella città vesuviana
si è continuato a scavare anche quando i muri impregnati d’acqua
venivano giù e rimbalzavano gli allarmi. "Pompei crolla", si diceva.
Intanto silenziosamente le indagini sondavano questioni rimaste in
sospeso, come la data precisa dell’eruzione, e altre ne aprivano.
Ma quali sono le frontiere dell’archeologia pompeiana?
Quali
i punti da chiarire, quali, se ci sono, i misteri? Fabrizio Pesando
insegna archeologia classica all’Orientale di Napoli, ha diretto scavi a
Pompei e ha pubblicato decine di saggi, compresa la più documentata
guida della città (con Maria Paola Guidobaldi, Laterza).
Cominciamo dalla data dell’eruzione: questione che dura da tempo, vero?
«La
fonte è Plinio il Giovane, che a Tacito racconta gli eventi in cui morì
lo zio, Plinio il Vecchio. Ma i codici che tramandano la lettera non
concordano sulla data, fissandola alcuni all’agosto del 79, altri a
ottobre. Tutti indicano comunque il giorno 24».
Quindi l’incertezza è antica?
«La
maggior parte dei filologi proponevano l’agosto per altri dettagli
della lettera che facevano pensare all’estate. Si diceva che Plinio il
Vecchio era reduce da "bagni di sole". Poi le questioni climatiche si
sono complicate. Si è accertato che la stagione calda si prolungava
oltre agosto.
Risaltavano questioni paleobotaniche, come il recupero di tracce di melograno. Furono trovati alcuni bracieri».
Mancavano documenti espliciti. O no?
«Occorre
però segnalare un graffito in una villa a Torre del Greco. È un
preventivo di spesa per la tinteggiatura di un piccolo ambiente fissata a
fine novembre.
Trattandosi di un lavoro di pochi giorni è
presumibile che l’iscrizione risalga a non molto prima di novembre. Ecco
di nuovo l’ottobre».
E arriva il graffito presentato martedì a Pompei.
«Attendiamo
la conclusione dello scavo. Certamente viene avvalorata l’ipotesi di
ottobre. La svolta vera su questo argomento può venire da Ercolano più
che da Pompei».
Perché?
«Da Pompei non sono mai giunte
documentazioni scritte in grado di chiarire questo mistero. O sono
finite bruciate oppure furono asportate e distrutte o, in caso di
bronzi, fuse. Se a Ercolano si potesse scavare l’area del Foro, compresa
fra il decumano massimo e il teatro, potremmo accedere agli archivi
pubblici della città, al tabularium.
Verrebbe sì individuata la
data dell’eruzione, ma sarebbe una scoperta di poco conto rispetto a una
documentazione che può riscrivere la storia romana e del diritto
romano. Ma siamo di fronte a problemi difficilmente sormontabili senza
tecnologie raffinatissime».
Quali problemi?
«Sopra quell’area giace la Ercolano moderna».
Altre questioni pompeiane ancora aperte?
«Indicherei
gli scavi avviati da alcuni decenni e intensificati ora grazie ai
finanziamenti europei per individuare le origini di Pompei».
Non si conoscono?
«La
Pompei che vediamo risale al II secolo avanti Cristo. Ma sfogliandola
in profondità si sta individuando quel che c’è sotto questo strato, vale
a dire un insediamento che rimanda al VI secolo. Se ne cominciano a
percepire la dimensione e la diffusione. Recentemente i colleghi
dell’università di Bologna hanno trovato strutture arcaiche sotto la
casa di Obelius Firmus, in una zona periferica».
Diventa interessante non solo la fine, anche l’inizio di Pompei.
«Esattamente.
La nuova frontiera consiste nello scavare sotto il visibile e non solo
per rinvenire strutture architettoniche, anche per documentare antichi
apparati decorativi, meno pregiati, ma indicativi di uno stile
ordinario».
È comunque la dimensione urbana l’oggetto d’indagine a Pompei, più che il singolo manufatto?
«Pompei
va studiata e ristudiata alla scala urbana. Altrimenti si finisce per
cercare quelle che i latini chiamavano curiositates ».
E dunque come orientarsi?
«È
importante capire come si organizzava il territorio circostante la
città. Nella zona di Scafati, che confina con Pompei, si sta
ricostruendo il paesaggio agricolo d’epoca imperiale popolato di
fattorie. Occorre studiare bene questi edifici che occupano l’area verso
il Vesuvio e la valle del Sarno, perché nella campagna risiedeva una
spina dorsale dell’economia pompeiana, soprattutto dopo l’80 avanti
Cristo, quando Pompei diventa colonia romana».
Dall’archeologia alla vita sociale, dunque?
«Sì.
Ma aggiungerei un ulteriore argomento. Ci si è sempre interrogati sul
perché a Pompei vi fossero tante locande, botteghe, luoghi dove si
offriva ospitalità. E persino lupanari. Perché a Pompei e non a Ercolano
o a Ostia?»
Me lo dica lei.
«Una delle spiegazioni sulle
quali si lavora è che a Pompei ferve la ricostruzione dopo il tremendo
terremoto che la sconvolge sedici o diciassette anni prima l’eruzione…»
…è incerta anche la data del terremoto?
«Secondo alcune fonti accade nel 62, secondo altre nel 63».
Torniamo alla ricostruzione.
«Come
abbiamo potuto verificare anche nei recenti terremoti, per ricostruire
una città arrivano maestranze da fuori, che hanno necessità di trovare
alloggi temporanei e anche luoghi d’incontro e di ristoro. Pompei in
quegli anni è un gigantesco cantiere. Lo si è potuto accertare da tanti
elementi. Forse è possibile comprendere anche questo».