Repubblica 10.10.18
L’intervento
Diamo un’anima alla bandiera Ue
di Bono
La
nostra band, gli U2, ha dato avvio al tour europeo due mesi fa con
un’idea che pensavamo potesse risultare un po’ provocatoria, un po’
trasgressiva. Appigliandoci alla presunzione bonaria delle rockstar
impegnate in una causa, abbiamo annunciato che avremmo sventolato una
grande, sgargiante bandiera blu dell’Ue. Non sapevamo che tipo di
reazioni questo gesto avrebbe suscitato. Il che, in un certo senso, era
esattamente il motivo per cui intendevamo farlo. Volevamo scoprirlo.
Da
due mesi, e mentre adesso ci prepariamo a sventolare la bandiera a
Milano, rimaniamo sorpresi nel vedere il pubblico ai concerti alzarsi in
piedi e applaudire un simbolo oggetto di grandi polemiche, persino di
disprezzo in alcuni ambienti. L’Europa, che a lungo ha suscitato
sbadigli, oggi provoca aspre e accese discussioni. L’Europa è teatro di
forze potenti, impulsive e contrastanti destinate a dare forma al nostro
futuro. Dico il nostro futuro perché non si può negare che ci troviamo
tutti sulla stessa barca, in mari agitati da condizioni meteorologiche
estreme e politiche estremiste.
L’idea di Europa non è
particolarmente in voga di questi tempi, e ciò malgrado negli ultimi 50
anni non vi sia stato posto migliore in cui nascere dell’Europa stessa.
Sebbene si debba lavorare molto più duramente per estendere i vantaggi
del benessere, gli europei sono più istruiti, più al riparo dagli abusi
delle grandi multinazionali e, rispetto alle persone che vivono in ogni
altra regione del mondo, conducono una vita migliore, più lunga, più
sana e in generale più felice. Esatto, più felice. C’è chi le misura
queste cose!
L’Irlanda è un posto con un legame emotivo speciale
con l’Europa, e con l’idea di Europa. Forse perché l’Irlanda è un
piccolo scoglio in mezzo al vasto mare, desiderosa di far parte di
qualcosa di più grande di noi ( perché la maggior parte delle cose sono
più grandi di noi). Forse perché ci sentivamo più vicini all’Europa che
ad altre persone che vivevano sulla nostra stessa isola.
L’appartenenza
all’Europa ci ha permesso di diventare una versione migliore e più
sicura di noi stessi. Camminiamo un po’ più a testa alta tra i nostri
amici. E più il Nord e il Sud dell’Irlanda si sono avvicinati
all’Europa, più noi irlandesi ci siamo avvicinati gli uni agli altri. La
vicinanza ha oltrepassato il confine e ha abbattuto le barriere. Per
dolorose ragioni storiche, non prendiamo alla leggera il concetto di
sovranità. Se per sovranità si intende il potere di un Paese di
governare sé stesso, l’Irlanda ha constatato che collaborare con altre
nazioni le ha dato un potere maggiore di quello che avrebbe potuto
esercitare da sola, e una migliore capacità di agire sul proprio
destino.
Da europeo mi sento orgoglioso pensando agli italiani e
ai tedeschi che hanno accolto così tanti rifugiati siriani quando
questi, terrorizzati, hanno cominciato a fuggire dalla guerra civile (
mi sentirei ancora più orgoglioso se fossero stati molti più Paesi a
farsi avanti); orgoglioso della lotta dell’Europa per porre fine alla
povertà estrema e al cambiamento climatico; e, sì, estremamente
orgoglioso dell’accordo di pace del Venerdì Santo ( Good Friday Peace
Agreement) e di come altri Paesi si siano stretti attorno all’Irlanda
sulla questione dei confini, riaccesa dalla Brexit. Mi sento
privilegiato ad aver assistito al più lungo periodo di pace e prosperità
della storia del continente europeo.
Ma tutti questi successi
sono ora minacciati, perché il rispetto per la diversità — premessa
dell’intero sistema europeo — viene messo oggi in discussione. Come ha
detto il mio connazionale John Hume: «Ogni conflitto ruota attorno alla
differenza, che si tratti di una differenza di razza, religione o
nazionalità. Gli architetti dell’Europa hanno deciso che la differenza
non è una minaccia… La differenza è l’essenza dell’umanità » e dovrebbe
essere rispettata, esaltata e, persino, coltivata.
Stiamo
assistendo a una impressionante perdita di fiducia in questa idea.
Fomentati dalle asimmetrie della globalizzazione e dal fallimento della
gestione della crisi migratoria, i nazionalisti affermano che la
diversità è un pericolo. Rifugiatevi — ci dicono — nell’omogeneità;
scacciate il diverso. La loro visione per il futuro mi sembra molto
simile al passato: politica identitaria, risentimento, violenza. Abbiamo
sentito questo appello pieno di odio in Polonia, ad esempio, e in
Ungheria, nonché il mese scorso alle elezioni in Svezia. Il nazionalismo
è tornato e ha un impatto penalizzante sulle pari opportunità.
La
generazione che ha subìto la guerra mondiale ha assistito ai risultati
funesti di quel modo di pensare. Ha scorto un sentiero fuori dalle
macerie, oltre i muri di cemento e il filo spinato, per far arretrare la
cortina di ferro tratteggiata sul cavalletto di Stalin, e ha respinto
l’idea che le nostre differenze siano tutto ciò che ci definisce. Ha
compreso che il pensiero a somma zero era un patto suicida.
L’Italia
è uno degli Stati fondatori dell’Unione europea. Il sogno che ci ha
uniti era tanto italiano quanto francese o tedesco o ancora, anche se
abbiamo aderito anni dopo, irlandese. L’Italia è sempre stata al centro
di questo grande progetto comune. Adesso invece si trova al centro di
una crisi che minaccia tutti noi e che, se lasciamo che le nostre
divisioni ci definiscano, potrebbe consumarci.
Amo le nostre
differenze: i nostri dialetti, le nostre tradizioni, le nostre
peculiarità, «l’essenza dell’umanità», come diceva Hume. E credo che
lascino ancora spazio a quello che Churchill chiamava «un patriottismo
allargato » : una pluralità di appartenenze, identità stratificate, che
consentano di essere al contempo irlandese ed europeo, italiano ed
europeo, non l’uno o l’altro. La parola patriottismo ci è stata rubata
da nazionalisti ed estremisti che esigono che vi sia uniformità. Ma i
veri patrioti riconoscono l’unità al di sopra dell’omogeneità.
Riaffermare questo primato è, per me, il vero progetto europeo.
Può
sembrare che non ci sia romanticismo in un " progetto" o fascino in una
burocrazia ma, come ha detto la grande Simone Veil, «l’Europa è il
grande progetto del XXI secolo». Di sicuro alcuni elementi di quel
progetto devono essere ripensati e aggiornati. Ma i nostri valori e le
nostre aspirazioni no. Rendono l’Europa molto più di una semplice
istituzione o di un luogo geografico. Rappresentano il vero nucleo di
chi siamo come esseri umani, e di chi vogliamo essere. Su quell’idea di
Europa vale la pena scrivere canzoni, e sventolare grandi e sgargianti
bandiere blu. Per trionfare in quest’epoca travagliata, l’Europa è
un’idea che deve diventare un sentimento.