La Stampa 9.10.18
Quando i fanatici eravamo noi
I primi cristiani contro l’arte classica
di Giorgio Ieranò
Orde
di fanatici vestiti di nero arrivano dal deserto siriano per
distruggere gli antichi monumenti di Palmira. Altri, in Egitto,
assalgono i luoghi di culto di chi non abbraccia la vera fede. Bande di
estremisti religiosi distruggono opere d’arte, massacrano gli infedeli,
bruciano i libri profani, uccidono gli intellettuali che praticano il
libero pensiero. Così Catherine Nixey, nel suo Nel nome della croce
(Bollati Boringhieri, pp. 364, € 24), racconta il trionfo del
cristianesimo. O meglio, come recita il sottotitolo, «la distruzione
cristiana del mondo classico». I fanatici vestiti di nero non sono,
infatti, i terroristi dell’Isis ma i monaci che secoli fa demolivano i
templi degli idolatri. Anche a Palmira, dove gli archeologi hanno
trovato la testa di una statua di Atena mutilata e sfigurata con furia
iconoclasta alla fine del IV secolo, negli anni in cui l’imperatore
Teodosio vietava i culti pagani. Insomma, per Nixey i cristiani di ieri
erano come l’Isis di oggi, con san Giovanni Crisostomo nella parte del
califfo al-Baghdadi.
Il libro di Nixey, uscito in Inghilterra nel
2017, è già un caso ed è stato tradotto in varie lingue. L’autrice, che
vanta la sua formazione classica (ma tiene anche a informarci di essere
figlia di un ex monaco e di una ex suora), racconta l’avvento della
religione di Gesù come una storia di prevaricazione e violenza: l’ottuso
radicalismo religioso dei cristiani distrugge la bellezza della cultura
classica e lo splendore dell’impero romano. Il suo, più che un saggio, è
un pamphlet. Leggendolo ci si trova trasportati in una dimensione quasi
d’antan. Si torna alle polemiche di stampo illuministico contro la
religione, ai feuilleton ottocenteschi sui crimini dei Papi o
dell’Inquisizione, alla vecchia idea del Medioevo come «età oscura» (The
darkening age è il titolo originale). Sullo sfondo si staglia l’ombra
maestosa di Edward Gibbon che, nel suo Declino e caduta dell’impero
romano, già imputava ai cristiani di avere istituito, con le loro sette
rissose e fanatiche, «una nuova specie di tirannia».
Certo, come
scriveva Franco Cardini nel suo Cristiani perseguitati e persecutori
(Salerno Editrice, 2011), il cristianesimo non si è affermato solo «con
l’amore e con la persuasione». L’altra faccia del martirio cristiano è
la violenza che i cristiani stessi hanno esercitato nei confronti dei
pagani. Violenza a volte dimenticata o rimossa dal velo pietoso di certa
apologetica. Come dice Cardini: «Nella storia di solito la voce dei
vinti viene soffocata e quindi non esiste un martirologio pagano». Ma i
casi di intolleranza furono molti. Nel 392, per esempio, una folla di
cristiani inferociti assale il Serapeo di Alessandria d’Egitto, uno dei
templi più splendidi di tutto il mondo antico, riducendolo a un cumulo
di macerie e devastandone la gloriosa biblioteca. E cristiani erano
anche i parabolani, le bande di fanatici che, nel 415, aizzati dal
vescovo Cirillo, fanno a pezzi la filosofa neoplatonica Ipazia dopo
averle cavato gli occhi.
Il libro di Nixey racconta queste e altre
storie (che, si badi, sono tutte vere) per dimostrare che il primo
cristianesimo era integralisticamente votato alla distruzione della
civiltà classica. Per esempio, si argomenta, se abbiamo perso così tanti
testi antichi è colpa della censura e dei roghi di libri perpetrati dai
cristiani. Ma in realtà il «genocidio culturale» che viene adombrato
non ci fu, anche perché i Padri della Chiesa inserirono i classici
profani nel curriculum educativo di un buon cristiano. La stessa visione
del mondo pagano è un po’ naïve: un mondo di sano edonismo e gioiosa
razionalità soffocato dall’oscurantismo cristiano.
Nixey oppone,
per esempio, il libertinismo di Ovidio alla cupezza del monachesimo.
Eppure l’impertinente Ovidio fu spedito in esilio da Augusto, mentre il
Medioevo cristiano si è poi nutrito di letture ovidiane. Anche
sostenere, a maggior gloria della tolleranza pagana, che i martiri
cristiani furono pochissimi è vecchio cavallo di battaglia della
polemica anticristiana (lo cavalcava già Voltaire nel suo Trattato sulla
tolleranza). Resta il fatto che quelli tra IV e V secolo furono anni in
cui il cristianesimo si affermò anche con la violenza. Ma in un
contesto che, comunque, era molto ambiguo e ricco di chiaroscuri. Come
insegna anche il caso del più fedele discepolo della martire pagana
Ipazia, il filosofo Sinesio di Cirene. Che morì dopo essere stato eletto
vescovo di Tolemaide, senza avere mai rinunciato alla dottrina
neoplatonica.