La Stampa 30.10.18
Sul set di Buscetta
Favino è il boss pentito per Marco Bellocchio: “Un’esperienza totale”
di Fulvia Caprara
Nell’aula
bunker di Rebibbia le parole che hanno fatto la storia di Cosa Nostra
risuonano dure e gravi, come se nella ricostruzione cinematografica
acquistassero quell’aura shakespeariana che le cronache dell’epoca non
potevano restituire: «Pensavo di ascoltare il ruggito dei leoni - tuona
il super-pentito Tommaso Buscetta interpretato da Pierfrancesco Favino -
e invece ho sentito lo squittio dei topi». Un fremito attraversa l’aula
del processo, i banchi pieni di spettatori, gli imputati aggrappati
alle sbarre delle gabbie, i magistrati che con tenacia paziente
conducono i confronti: «Io non ti odio - prosegue Buscetta - se ti
odiassi ti farei un favore».
I bersagli dei suoi strali si
avvicendano nelle deposizioni, ci sono Totò Riina (Nicola Calì) e
Salvatore Cangemi (Ludovico Caldarera) che rievoca l’uccisione dei figli
del pentito, di Benedetto in particolare, «quello che più di tutti
somigliava nella faccia a Buscetta».
Sul set blindato del nuovo
film di Marco Bellocchio Il traditore va in scena il dramma, eterno e
universale, che lacera gli ex compagni di strada divenuti acerrimi
nemici, gli ex-complici trasformati in avversari: «Tradire - dice
Bellocchio - è quasi auspicabile. Significa rifiutare il proprio
passato, i temi e i valori della propria educazione. Non è obbligatorio,
ma a me è successo, e quindi il tradimento è qualcosa che riguarda la
mia vita».
“Le mie rivoluzioni”
In una pausa della
lavorazione, davanti a un monitor e a un piatto di carta, Bellocchio
svela il nodo di un film che ha che vedere con i suoi personali bilanci:
«Sono passato attraverso almeno tre rivoluzioni, anzi quattro. Ho
rifiutato la mia educazione cattolica, tradendo mia madre e un certo
tipo di formazione. Ho lasciato una certa ideologia comunista. Ho scelto
l’analisi collettiva e il pensiero di Massimo Fagioli, per poi tornare
in un’altra forma di contesto, e infatti adesso i fagioliani mi
considerano un traditore. E poi dovrei includere i tradimenti
sentimentali». Al centro del Traditore, aggiunge Bellocchio, c’è «il
percorso individuale di un personaggio, un uomo che vediamo giovane e
che seguiamo fino alla morte, e in cui non riusciamo a capire bene, se
non alla conclusione del percorso, che tipo di tracce abbia lasciato
l’esercizio del tradimento».
Le trasformazioni fisiche
Per
questo la ricostruzione minuziosa dell’epopea di Tommaso Buscetta, di
una figura che ha segnato la storia del Paese trasformandone una fase in
un faccia a faccia, teatrale e agghiacciante, tra Bene e Male, riguarda
come è nella tradizione dell’autore le ragioni e non solo i fatti, le
anime e non solo i personaggi: «Per me - dice Favino - questa è la
storia di una persona che, proprio come fa un attore, ha voluto credere
ogni volta di essere ciò che diventava».
Della vicenda di Buscetta
sono parte integrante le trasformazioni fisiche, le plastiche facciali
dettate dalla necessità di rendersi irriconoscibile per scampare alla
vendetta dei killer mafiosi: «Ha cercato in tutti i modi di cambiare i
suoi connotati, è mutato talmente tanto da arrivare a tradire anche il
proprio aspetto fisico». Nei panni di Buscetta, con il blazer blu e gli
occhiali scuri sempre a portata di mano, Favino acquista un’aria
insolitamente minacciosa: «Ho studiato, mi sono preparato e documentato,
ma su Buscetta non c’è molto e, soprattutto, c’è solo quello che lui ha
voluto che noi vedessimo».
Le riprese del film, prodotto da Ibc
Movie e Kavac Film con Rai Cinema, si sono svolte in Sicilia e
proseguiranno in Gran Bretagna e in Brasile: «Sto vivendo un’esperienza
totalizzante. Desideravo moltissimo lavorare con Marco Bellocchio, è un
regista che non dà mai per scontato quello che un attore può portare al
suo ruolo, una persona che ascolta, e io mi sento al suo servizio».
Un’Italia lontana
Sul
set, nei panni del capo della scorta di Buscetta, recita Piergiorgio
Bellocchio che, all’epoca dell’attentato di Capaci, aveva 18 anni: «Nel
film c’è un’Italia che appare lontana, al confronto quella di oggi
risulta deludente. Allora, magistrati come Giovanni Falcone erano saldi
punti di riferimento. Le figure istituzionali del nostro presente
generano, invece, un senso di confusione, dicono e poi si contraddicono.
Così i piani si confondono, e diventa difficile spiegare la realtà ai
più giovani».