La Stampa 2.10.18
Afghanistan e Iraq
Ritiro col contagocce dei soldati italiani
Cento militari in meno a Kabul, in 50 lasceranno Mosul Vertice sulla Libia: verso il cambio dell’ambasciatore
di Francesco Grignetti
Vertice
sulla Libia a palazzo Chigi. Partecipano il premier Giuseppe Conte e i
ministri Enzo Moavero e Elisabetta Trenta. Si avvicina infatti la
conferenza internazionale sulla Libia, prevista a novembre in Sicilia. E
in vista di questo summit che vedrà partecipare i più importanti leader
mondiali, ma anche i maggiori protagonisti della scena libica, è ormai
maturo il cambio del nostro ambasciatore.
L’attuale, Giuseppe
Perrone, dopo essere stato dichiarato «persona non gradita» da uno dei
due contendenti, il generale Haftar, è ormai bruciato. E obiettivamente
l’Italia non può lavorare a un appuntamento così importante senza un
diplomatico in sella. Perrone, invece, «per motivi di sicurezza» non può
rimettere piede a Tripoli. Quando la nuova ambasciatrice di Francia ha
appena presentato le sue credenziali al governo Sarraj.
A parte il
solito aggiornamento sulla situazione politico-diplomatica sul campo,
insomma, è sulle mosse da fare che il governo giallo-verde si sta
concentrando. Bene la conferma della missione militare tra Tripoli e
Misurata, ma non può essere sufficiente.
Confermando la Libia, e
sbloccando il Niger, dove i primi 3 team di addestratori hanno avuto il
via libera qualche settimana fa, il ministro Elisabetta Trenta sta
lavorando di concerto con Moavero a tenere fermi gli impegni considerati
«strategici» per il nostro Paese. Discorso valido anche per
Afghanistan, Iraq, Libano, Balcani.
Trenta l’aveva annunciato in
Parlamento, anche a costo di suscitare qualche mugugno tra gli attivisti
dei Cinque Stelle: con le missioni militari all’estero si va avanti nel
senso della continuità. E con il decreto Missioni che andrà in
consiglio dei ministri in settimana, è ufficiale: le missioni non si
toccano. Ci sarà qualche sforbiciata, ma niente di rivoluzionario: 100
uomini in meno in Afghanistan nel prossimo anno (sui 900 presenti
finora) e 50 in meno in Iraq (dove ultimamente sono circa 500).
I
50 non saranno rimpiazzati a Mosul, dove i soldati italiani avevano il
compito di vigilare sul cantiere di manutenzione straordinaria - ad
opera della ditta Trevi - di una enorme diga che fornisce acqua a un
buon pezzo di Iraq.
Per un paio di anni a Mosul c’è stata una
guarnigione di 400 nostri soldati in assetto da guerra. Le milizie
dell’Isis erano a pochi chilometri, armate di droni e di artiglieria.
Gente che non si preoccupava certo di lesinare sui kamikaze o
sull’utilizzo di armi «sporche». Agli italiani era riservato l’anello
più interno. In prospettiva, l’anno prossimo non dovrebbe esserci più
nessuno. Spiegano fonti della Difesa: «Considerato l’imminente processo
elettorale, in Afghanistan abbiamo agito con responsabilità; nel 2019 si
procederà ad ulteriori riduzioni». Quanto all’Iraq, continuerà
l’addestramento ma lo sganciamento completo da Mosul sarà completato
entro i primi tre mesi del 2019».