lunedì 1 ottobre 2018

La Stampa 1.10.18
La Macedonia vota “no” all’Europa
Referendum sul nome, manca il quorum Si complica il cammino verso Nato e Ue
di Marta Ottaviani


La Macedonia decide sul suo nuovo nome e anche sul futuro dell’Europa, la strada ora è tutta in salita. Ieri si è tenuto un referendum dove l’elettorato è stato chiamato a decidere se accettare o meno la nuova denominazione di «Macedonia del Nord», frutto dell’accordo fra l’ex Stato jugoslavo e la Grecia, sottoscritto lo scorso giugno. I risultati si avranno solo oggi, ma ieri alle chiusura delle urne, i dati davano un’affluenza sotto il 35% (fra questi il 90% ha votato sì), e quorum non superato. Un mezzo flop per il premier Zoran Zaev, con impatto su Atene e Bruxelles e il sollievo di Mosca.
La posta in gioco
Due giorni fa, il vicepremier macedone con delega agli Affari Europei, Bujar Osmani, ha reso noto che la consultazione sarebbe stata considerata valida anche se non fosse stata raggiunta la soglia del 50%, che la legge considera il quorum per dichiarare il voto vincolante, segno che un risultato deludente era nell’aria, anche se forse non con questa portata. In ogni caso, la parola finale spetterà al Parlamento di Skopje, il cui compito, con un’affluenza così bassa, risulta ancora più delicato. Se tutto il processo avrà esito positivo, la Macedonia, oltre a cambiare nome, sarà automaticamente candidata a entrare nella Nato e in Unione Europea.
Una posizione difficile, soprattutto per il premier Zoran Zaev, che si è speso in prima persona per chiudere l’accordo con Atene e che durante la campagna elettorale si è trovato come primo oppositore Gjorge Ivanov, presidente della Repubblica, che ha invitato con forza i quasi due milioni di aventi diritto al voto a disertare le urne. Ieri alla chiusura dei seggi, la scarsa affluenza ha portato in piazza i no al referendum, che si sono ritrovati di fronte al parlamento di Skopje.
Reazione a catena
Il risultato della consultazione avrà ripercussioni non solo sulla politica interna, ma anche su quella regionale. Se, come appare certo prevarrà il sì, per quanto rappresenti il desiderio di una minoranza del Paese, il premier Zaev procederà con tutti i passaggi costituzionali del caso. La debole affermazione in sede referendaria, però, rischia di avere conseguenze anche in Grecia, dove il primo ministro, Alexis Tsipras, si è giocato il tutto per tutto su un accordo che gli ha consentito di rinegoziare la ristrutturazione del debito greco con Bruxelles e che avrebbe dovuto essere uno dei fiori all’occhiello del giovane leader ellenico, nella campagna elettorale per le elezioni politiche dell’autunno 2019, che ora potrebbero essere anticipate in primavera.
Ma ci sono altri tre attori che seguono con attenzione le vicende nei Balcani: la Nato, la Russia e l’Unione Europea. Mosca ha dichiarato di non aver interferito nell’esito referendario, ma ha legami stretti con Macedonia Unita, uno dei grandi sponsor del boicottaggio alla consultazione. Il Cremlino, non vede di buon occhio l’espansione della Nato e in seconda battuta della Ue nella ex Jugoslavia. Bruxelles, dal canto suo, sta cercando di finalizzare il più in fretta possibile l’inizio del cammino di adesione per Macedonia e Albania.
Nella campagna referendaria i social hanno avuto un ruolo fondamentale. Le piattaforme sono state invase da un movimento chiamato #bojkotiram, letteralmente «io boicotto», che nel giro di poche settimane ha avuto una diffusione capillare. Ancora priva di un leader carismatico, la sua dimensione al momento rimane quella virtuale, dove nazionalismo e antieuropeismo sono le caratteristiche principali.