La Stampa 1.10.18
Le mani delle coop nere sul business dei migranti
di Andrea Palladino
Ci
sono i piccoli boss locali. E poi i colossi del sociale che macinano
decine di milioni. Tutti con gli amici giusti, in contesti dove la
politica pesa, senza distinzioni di schieramento.
Se Mafia
Capitale era il cancro che infettava Roma corrompendo politica e
amministrazione, è vero che il suo sistema si ripete, in piccolo, in
tutta Italia. Il cuore del business dei migranti si chiama Cas, sigla
delle strutture gestite da privati attraverso bandi delle prefetture.
Nati nel disastro della disorganizzazione dell’emergenza, con la
politica che non ha potuto o in alcuni casi voluto occuparsi del
fenomeno, i Cas sono spuntati come funghi. A fine anno erano 9.132 (il
99,8% delle strutture di prima accoglienza) e gestivano 148.502
richiedenti asilo (il 93,5% del totale).
I Cas sono spesso
semplici case risistemate, senza grandi pretese. Hanno un vantaggio: i
piccoli numeri sono più gestibili e hanno un minor impatto sul
territorio. E uno svantaggio: non sono gli Sprar, organizzati dagli enti
locali e sottoposti a un sistema di controlli molto più rigido.
Aggiungeteci che nel 2017 lo Stato ha elargito qualcosa come 1,68
miliardi di euro ai Cas, come poteva finire? Accanto a cooperative,
onlus e organizzazioni serie, che da sempre si occupano del sociale,
sono arrivati i predoni. Che spesso sono legati a chi è al potere in
quei territori.
A differenza di quel che vuole la vulgata, chi
intasca i famigerati 35 euro per richiedente asilo sfruttando situazione
e migranti, prime vittime del sistema, può dunque avere un diverso
colore politico. Anche «nero».
Cooperative con la mano tesa
Prendete
il caso Fondi, nel cuore del Sud Pontino, l’area in provincia di Latina
che si spinge fino al confine con Caserta. Quarantamila abitanti, sede
del più importante mercato ortofrutticolo all’ingrosso del centro
Italia, è da almeno 15 anni la roccaforte laziale della destra,
soprattutto di Forza Italia. Gli affari a Fondi non riguardano solo
frutta e verdura. Due Onlus, Azalea e La Ginestra, dal 2015 gestivano i
centri di accoglienza per richiedenti asilo con un giro d’affari di
quasi sei milioni di euro. Nel 2016 scoppia una rivolta, gli ospiti
scendono in strada, si ribellano, qualcuno chiama la Polizia. I
magistrati di Latina decidono però di capire meglio cosa accade nei
centri gestiti da piccoli imprenditori locali, famiglie fondane
conosciute. La squadra mobile scopre le condizioni disumane di quelle
case di accoglienza: sovraffollamento, 1,66 euro spesi per fornire due
pasti, vestiti recuperati qui e lì nei cassonetti dei rifiuti. In altre
parole una cresta sui finanziamenti destinati a rendere la vita
perlomeno dignitosa a chi aveva scelto l’Italia per sfuggire a guerre e
persecuzioni. Pochi giorni fa il pm Giuseppe Miliano ha chiuso
l’inchiesta, chiedendo il rinvio a giudizio.
In città i movimenti
dell’ultra destra intanto cercavano di fatturare politicamente. Forza
Nuova annunciava manifestazioni contro le vittime, dimenticando di
raccontare fino in fondo chi fossero i carnefici. Uno di questi, Luca
Macaro, ha una storia interessante. Candidato nella lista Progetto
Fondi, che appoggiava insieme alla Lega Lazio il candidato della destra
Franco Cardinale, un padre - anche lui coinvolto nella gestione del
centro di accoglienza, ma non indagato - che su Facebook metteva la
classica manina tesa a mo’ di saluto romano e cliccava like sul profilo
proprio dei camerati di Forza Nuova. Una passione per i migranti, quello
della famiglia Macaro, recentissimo. Scorrendo il profilo Facebook di
Luca Macaro fino a qualche anno fa erano ben altri gli interessi: movida
fondana e aperitivi.
Il colosso che finanzia Fi
Se le due
Onlus laziali in fondo erano piccole imprese, un vero e proprio gigante
dell’accoglienza è invece il gruppo Senis Hospes / MediHospes, il
gestore del centro di Borgo Mezzanone in provincia di Foggia. Travolto
dallo scandalo nato dopo l’inchiesta giornalistica dell’Espresso, non si
è perso d’animo. E, soprattutto, non è mai uscito dal giro. Secondo i
dati del Viminale nel 2017 ha gestito 15 centri, da Pordenone a Messina,
per un totale di 2.067 ospiti e un incasso superiore a 20 milioni di
euro.
Anche qui amicizie e legami puntano a destra. Nelle
dichiarazioni depositate alla Tesoreria della Camera dei deputati
relative alle elezioni del 2013 il gruppo Senis Hospes risulta
nell’elenco dei donatori del Popolo delle libertà di Silvio Berlusconi,
con un versamento di 15 mila euro. Il presidente del gruppo, Camillo
Aceto, ha poi staccato personalmente un assegno da 5 mila euro a
Maurizio Lupi, che poco dopo diverrà ministro delle Infrastrutture.
Ma
i rapporti tra Aceto e Lupi erano prima di tutto ideologici, grazie al
legame dei due con il movimento cattolico Comunione e Liberazione.
In Sicilia c’è l’Udc
Raccontano
le cronache che a Trapani, con il picco del flusso di migranti, i
vecchi Ras si siano messi a rastrellare case, cascine, piccole
strutture. Posti letto da utilizzare per l’accoglienza. Nulla a che
vedere con lo spirito umanitario che pur contraddistingue una parte
dell’isola. Nel 2016 le indagini portarono ad arrestare anche un
sacerdote, don Sergio Librizzi, con pesanti accuse di molestie sessuali e
di affari illeciti con i richiedenti asilo (condanna a 9 anni appena
tornati in Appello dopo un passaggio in Cassazione).
Le indagini,
però, non si sono fermate. Da un’intercettazione spunta una nuova pista,
che conduce lo scorso luglio a un arresto eccellente. L’ex deputato
regionale dell’Udc, Onofrio Fratello, finisce in manette con l’accusa di
aver gestito una capillare rete di strutture attraverso prestanome.
L’ex deputato regionale era stato condannato per mafia il 13 dicembre
2006 ed era sottoposto a una vigilanza sui movimenti patrimoniali. Da
Cosa nostra al business sulla pelle di chi fugge dall’inferno di Tripoli
il passo è stato breve.
Profondo Nord e politica
Prima la
Dc, poi il Pdl. Simone Borile, la politica, la masticava da sempre. Così
come la monnezza, il suo primo business nel Veneto dei padroncini. Poi
sono arrivati i migranti e ha intuito il nuovo filone. Le cose, però,
non sono andate bene. Lo scorso marzo la Finanza di Padova ha sottoposto
a sequestro preventivo 3 milioni di euro per la sua attività con i
rifiuti. Quindi è arrivata l’inchiesta sulla gestione dei migranti dei
centri di Cona e Bagnoli, dove è indagato. E anche in questo caso le
indagini erano partite dalle proteste degli ospiti.
Ispezioni e contestazioni
Centinaia
di bandi, controlli difficoltosi, che spesso arrivano dopo le inchieste
giornalistiche o le proteste degli ospiti. Nel 2017 solo il 40% di
queste strutture ha ricevuto un’ispezione e, in 36 casi, si è arrivati
alla revoca dell’affidamento per gravi inadempienze. Le contestazioni
sono state 3.000 e le penali applicate ammontano a 900.000 euro. Numeri
in fondo piccoli se si pensa all’intero sistema.
Recita la
Relazione sul sistema di accoglienza, appena resa pubblica e a firma del
ministro dell’Interno Salvini: «Nell’indire le gare finalizzate al
superamento degli affidamenti diretti, i prefetti hanno affrontato
oggettive difficoltà riconducibili all’inidoneità di molti immobili
proposti, non rispondenti agli standard previsti od offerti da soggetti
non qualificati o addirittura collegati ad ambienti malavitosi».
Anche
per questo dallo scorso 1° dicembre il ministero ha assegnato un
prefetto al coordinamento delle ispezioni e si è concordato con
l’Anticorruzione uno schema unico dei capitolati d’appalto per rendere
omogenei requisiti e standard. Sarà però difficile e ci vorrà tempo per
liberarsi dei predoni. Un’idea sarebbe partire dal Lazio, la regione più
critica. Se a livello nazionale la media delle contestazioni per centro
visitato è stato di 0,79, qui siamo a 2,38: tre volte tanto. Forse non è
un caso se a Roma tutti ricordano la frase di Salvatore Buzzi, il Ras
delle coop alleato con il nerissimo ex Nar Massimo Carminati: «Tu c’hai
idea quanto ce guadagno sugli immigrati? Il traffico di droga rende
meno».
Anche per questo dallo scorso 1° dicembre il ministero ha
assegnato un prefetto al coordinamento delle ispezioni e si è concordato
con l’Anticorruzione uno schema unico dei capitolati d’appalto per
rendere omogenei requisiti e standard. Sarà però difficile e ci vorrà
tempo per liberarsi dei predoni. Un’idea sarebbe partire dal Lazio, la
regione più critica. Se a livello nazionale la media delle contestazioni
per centro visitato è stato di 0,79, qui siamo a 2,38: tre volte tanto.
Forse non è un caso se a Roma tutti ricordano la frase di Salvatore
Buzzi, il Ras delle coop alleato con il nerissimo ex Nar Massimo
Carminati: «Tu c’hai idea quanto ce guadagno sugli immigrati? Il
traffico di droga rende meno».