il manifesto 24.10.18
Sgombero rinviato, la finanza grazia Casapound
Esquilino. I militanti dell'estrema destra negano di aver pronunciato la frase «Se entrate sarà un bagno di sangue»
Il palazzo occupato da Casapound in via Napoleone III, a Roma
di Mira Ceccarelli
«Se
entrate sarà un bagno di sangue», sono le parole attribuite ai
militanti di CasaPound dai cronisti di diversi giornali presenti al
blitz della guardia di finanza. I fatti sarebbero avvenuti lunedì
pomeriggio a Roma, quando il colonnello Pietro Sorbello ha bussato alle
porte dello stabile occupato in via Napoleone III, zona Esquilino. Il
colonnello era solo intenzionato a eseguire il mandato della procura
regionale della Corte dei Conti, per quantificare il danno erariale
dovuto al mancato versamento di canoni d’affitto dal giorno
dell’occupazione, ben 15 anni fa. L’inchiesta della Corte parlerebbe di
ben 4 milioni di euro.
Le gravi minacce riportate dai giornali
sono state poi smentite da Davide Di Stefano, responsabile romano di
CasaPound, davanti a tutti i media nel corso della giornata di ieri.
Sempre Di Stefano, interpellato sulla possibilità di uno sgombero,
dichiara: «Lo sgombero è un’opzione che non prendiamo neanche in
considerazione». Eppure la possibilità c’è, come per tutti gli stabili
occupati nella Capitale.
Il responsabile romano racconta che
all’interno del palazzo ci sono 18 famiglie italiane: chi sono? «Ci sono
persone legate al movimento, e altre che non lo sono. Tutti avevano una
grave emergenza a livello abitativo». Di Stefano però non ha la
certezza di questa emergenza, perché non sono stati richiesti documenti a
quegli occupanti che, dice, non sarebbero legati a CasaPound. «Non
abbiamo la certezza al 100%: diciamo che se uno ha tre case in Nicaragua
non è che faccio un accertamento patrimoniale».
Interpellato
sulle parole violente attribuite a CasaPound, Di Stefano nega. Stessa
linea negazionista sulle condanne per reati di violenza: «Noi non
facciamo aggressioni. Non c’è questa opzione». Eppure, la realtà non è
proprio così. Un esempio: l’11 febbraio 2017 un ragazzo, Paolo E., è
stato aggredito a pugni e cinghiate da un gruppo di militanti di
CasaPound a Vignanello, in provincia di Viterbo, a causa di un semplice
post su Facebook. Otto mesi dopo i militanti di casapound sono stati
condannati a 2 anni e 8 mesi (pena ridotta grazie al ricorso al rito
abbreviato). Tra i condannati spicca il nome di Jacopo Polidori, che
nonostante la condanna, il 16 giugno 2018 parlava pubblicamente al
congresso nazionale del partito a Roma. «Non siamo il Movimento Cinque
Stelle», ha dichiarato sul tema Davide Di Stefano.
Il palazzo a
via Napoleone III è stato occupato il 27 dicembre 2003. Sei piani, vista
mozzafiato. «Il valore sul mercato degli affitti ammonterebbe a circa
25 mila euro al mese – compresi gli spazi per le iniziative politiche –
300 mila all’anno, più di 4 milioni nei 14 anni di occupazione abusiva»,
dichiarava un agente immobiliare a L’Espresso il primo marzo di
quest’anno.
I dati sembrano accurati, perché anche la Corte dei
Conti, nell’ambito della sua inchiesta, parlerebbe proprio di 4 milioni
di euro. Il palazzo occupato da CasaPound ha visto in questi quindici
anni sorti ben più rosee di molte altre occupazioni; è noto che nel
2010, ai tempi di Alemanno, via Napoleone III è stata esclusa dalla
mappatura degli edifici occupati abusivamente stilata ad opera della
Commissione sicurezza di Roma Capitale. Sembra che neanche il pugno duro
di Salvini tocchi questi occupanti: il tutto, lunedì, si è risolto con
un nulla di fatto.
La sindaca Raggi si smarca, via Twitter: «Da
sempre contro l’occupazione illegale di #Casapound» e dal Campidoglio si
fa notare: «Non spetta a Roma Capitale scegliere quali sgomberi
effettuare».