il manifesto 17.10.18
Un umanesimo integrale
Karl Marx.
Pubblichiamo un'anticipazione dall'intervento per la giornata di studi
del 18 ottobre, dedicata da RomaTre al filosofo di Treviri
di Donatello Santarone
La
tensione classica verso il pieno sviluppo della persona umana, presente
in Goethe e Schiller, si scontra con la società classista del capitale.
Per questo Marx si applica allo studio dell’economia borghese e alla
critica della sua presunta naturalità ed eternità. «Tutta questa merda»,
scriverà ad Engels a proposito dell’economia politica. Comprende
lucidamente che solo il superamento del regime della proprietà privata
borghese, che determina la miseria materiale e spirituale dei
lavoratori, potrà consentire a questi ultimi di riappropriarsi della
grande tradizione classica. La lotta per la riduzione dell’orario di
lavoro doveva servire proprio a questo, a restituire ai produttori
associati tempo e mente per fruire dei più alti prodotti dello spirito.
L’ALTA
CONSIDERAZIONE che Marx aveva nei confronti della letteratura traspare
in tanti luoghi della sua produzione. Le opere degli scrittori
prediletti si depositano nelle sue pagine e gli offrono tipi,
rappresentazioni, analogie, metafore, luoghi, linguaggi che entrano in
maniera organica nelle sue analisi economiche, storiche, politiche,
filosofiche.
«Marx – ha scritto Franz Mehring nella sua biografia –
trovava ristoro e sollievo nella letteratura. Come il suo capolavoro
scientifico rispecchia tutta un’epoca, così anche i suoi autori
preferiti erano quei grandi poeti mondiali delle cui creazioni si può
dire la stessa cosa: da Eschilo e Omero fino a Dante, Shakespeare,
Cervantes e Goethe. Ogni anno leggeva Eschilo nel testo originale; restò
sempre fedele ai suoi antichi greci e avrebbe voluto cacciare dal
tempio con la verga quelle meschine anime di mercanti che avrebbero
voluto togliere agli operai l’interesse per la cultura antica». Le
parole di Mehring sono la migliore spiegazione del carattere umanistico
della personalità di Marx.
Nel Manifesto del partito comunista
troviamo ad esempio, in un famoso e profetico passo sulla
globalizzazione del capitale, un esplicito riferimento ad uno dei poeti
più amati da Marx, cioè Goethe, e alla sua nozione di letteratura
mondiale. «Mi convinco sempre di più – scrive l’autore del Faust – che
la poesia è un patrimonio comune dell’umanità e si manifesta, ovunque e
in tutti i tempi, in centinaia e centinaia di individui Oggigiorno
letteratura nazionale non vuol dir molto, sta arrivando il tempo della
letteratura mondiale e ciascuno di noi deve contribuire al suo rapido
avvento».
QUESTE PAROLE di Goethe del 1827, nel loro innovativo
cosmopolitismo interculturale affermano l’ideale della poesia-mondo.
Goethe, infatti, ha sempre avuto una costante frequentazione, oltre che
con le letterature francese, inglese e italiana (ricordiamo la sua
grande ammirazione per Tasso e Manzoni), anche per le letterature
persiana, araba e cinese. Il Divano occidentale-orientale, composto di
poesie ispirate a Hafez, un poeta persiano sufi del XIV secolo, ne è
l’emblema. Non è un caso se oggi l’Orchestra giovanile di israeliani,
palestinesi e musicisti dei paesi arabi voluta da Edward Said e Daniel
Barenboim prende il nome dal libro di Goethe.
PER DARE CARNE E
SANGUE alle sue analisi Marx ha bisogno della parola letteraria, la
quale conferisce ai suoi scritti una forma preziosa e colta, una
solidità estetica di tipo classico. Ne era così convinto che decide di
terminare la Prefazione alla prima edizione tedesca del Capitale con un
verso di Dante, un verso che era «la sua massima favorita»: «Sarà per me
benvenuto – scrive Marx – ogni giudizio di critica scientifica. Per
quanto riguarda i pregiudizi della cosiddetta opinione pubblica, alla
quale non ho fatto mai concessioni, per me vale sempre il motto del
grande fiorentino: Segui il tuo corso, e lascia dir le genti!». Dove
Marx in verità modifica l’originale di Dante, il quale, nel quinto canto
del Purgatorio, scrive: «Vien dietro a me, e lascia dir le genti».
Sentiva un’affinità profonda con l’autore della Divina Commedia, in particolare per la comune e ingiusta condizione di esuli.
COME
PER TUTTI gli scrittori a lui cari, anche nei confronti di Dante
l’atteggiamento di Marx non è quello del borioso accademico, ma quello
di chi «usa» i classici per leggere il presente e cercare in essi una
risposta alle domande del mondo contemporaneo.
«Quando ci si pone
la questione – ha detto il poeta e saggista Franco Fortini – se Dante
conserva o no il suo mondo per noi dobbiamo chiederci l’inverso: in che
misura il nostro mondo può essere, per dir così, dantizzato in qualche
modo».
UN ESEMPIO di questa «dantizzazione» è nella dura polemica
che il filosofo tedesco ingaggia, in un testo del 1853, contro il
giornale conservatore Times che in uno dei suoi articoli se la prende
con i rifugiati in Inghilterra accusati di essere «individui feroci»,
«rotti a ogni delitto». Non dimentichiamo che Marx era uno di questi
rifugiati a cui l’Inghilterra non concesse mai la cittadinanza
dell’Impero britannico, costringendolo per tutta la vita ad una
condizione di apolide.
In questo articolo contro il Times, esempio
della brillante e caustica polemica giornalistica di Marx, un posto di
prim’ordine spetta proprio a Dante esiliato da Firenze ma fortunatamente
risparmiato da un attacco del Times!