sabato 13 ottobre 2018

Il Fatto 13.10.18
Parte da Verona la nuova crociata
“Bisogna impedire alla donna di abortire per farle scoprire la sua vocazione: la maternità. Si deve abolire la legge 194 sull’aborto.
Ancelle di tutto il mondo Unitevi!
Dagli Stati Uniti al Costa Rica (a cui è dedicato il reportage), passando dall’Italia, i movimenti femministi che si rifanno al mondo della serie tv “Handmaid’s tale” tornano in piazza
di Martina Castigliani


“La verità cammina al di là delle persone”, dice uscendo di corsa dalla canonica. Don Adriano Avesani scandisce le parole come fosse sul pulpito, mentre in piedi occupa l’ingresso. Si intravede la perpetua, che ora sbarazza la tavola del pranzo come niente fosse. “Ce la facciamo”, dice don Avesani. “Siamo quasi alla verità”. La verità, la realtà, la legge di Dio. È una lezione. Due del pomeriggio, chiesa di Santa Toscana, Verona. Santa Toscana non è un posto qualunque: è una piccola chiesa nel quartiere Veronetta, quello multietnico dove convivono (male) CasaPound e Anpi. Su questo altare ogni domenica alle 11 si celebra la messa in latino, punto di ritrovo dei cattolici più conservatori. E qui – la chiesa è pure sede dell’Ordine dei Cavalieri di Malta – prestava servizio don Vilmar Pavesi, il prete iper tradizionalista vicino al ministro leghista della Famiglia Lorenzo Fontana, che a Verona è nato. Le femministe, che oggi manifestano in città, termineranno il corteo proprio davanti a questa chiesa. È passata una settimana da quando il Comune ha votato la mozione contro l’aborto. E ancora in città si parla solo di quello. “Dobbiamo salvare la famiglia e la vita. A tutti i costi”, ribadisce don Avesani. “Bisogna impedire alla donna di abortire per farle scoprire la sua vocazione: la maternità. Si deve abolire la legge 194 sull’aborto. Ora se ne vada”.
Verona è stizzita e stanca che si parli di lei, ma ancora una volta la storia ha voluto che sia qui il laboratorio delle destre, luogo di elaborazione di un modello di donna da estendere a tutta l’Italia. Ma se si vuole capirne qualche cosa di più, bisogna prendere la macchina fino alle porte di Verona, ad Arbizzano. Qui vive Matteo Castagna, giornalista e direttore del circolo “Christus rex-traditio”, uno che si definisce “cattolico integrale” e pure “all’estrema destra del Padre”. Non riconosce la chiesa e la chiesa non riconosce i suoi, ma è amico personale del ministro Fontana: “Abbiamo iniziato insieme a militare nella Lega. Poi io sono uscito dal partito, ma rimane uno dei nostri interlocutori”. Un interlocutore è Fontana come pure Andrea Bacciga, consigliere comunale per la lista identitaria “Battiti per Verona”, considerata vicina agli estremisti di Fortezza Europa, un nome che riecheggia direttamente il Terzo Reich. Hanno sostenuto il sindaco Federico Sboarina e ora hanno otto consiglieri. “Siamo simpatizzanti di Fortezza Europa, una forza politica populista e sovranista. Non è fascista, quella è una categoria superata”.
Nel salotto di casa Castagna: “Dobbiamo distinguere le femmine dalle femministe che vogliono sovvertire il diritto naturale”
C’è una bandiera gialla sulla parete, quella del Sacro Romano Impero: “Perché a quell’epoca ci fu l’apogeo della Civitas Christiana”, dice mentre si mette in posa con le braccia incrociate. Vuole una foto con lo stemma. “Si vede?”. Castagna ha 40 anni e di politica che conta ne ha vista già tanta: è stato a fianco di Flavio Tosi “prima che tradisse i suoi ideali” e pure con Borghezio in Europa. E ora è ottimista: “Dietro ogni grande politico c’è un grande tradizionalista. Dopo 60 anni di politica sovversiva dell’ordine naturale si sta assistendo al fallimento. C’è un risveglio nel mondo: penso a Trump, Orbán, ma anche al nostro governo. Non a caso a Verona ci sarà il World Congress of Families l’anno prossimo”.
“Noi siamo per la tutela della vita e riteniamo pericoloso il calo demografico in Italia che favorisce popoli che ci vorrebbero sostituire”. Castagna quando parla si sistema gli occhiali come per mettere a fuoco: dosa ogni parola. “L’aborto è una forma di omicidio. Nessuno che abbia buon senso può contravvenire al comandamento ‘non uccidere’. Noi siamo contrari a ogni forma di contraccezione. Il piacere non è contemplato, non lo neghiamo, ma è finalizzato alla riproduzione”. E le donne? “Dobbiamo distinguere le femmine dalle femministe che vogliono sovvertire il diritto naturale. La donna è un essere meraviglioso che Dio ha creato come compagna dell’uomo. Prima di tutto è moglie e madre. Ci sono donne che si rivolgono a noi in lacrime perché la società dei consumi le costringe a lavorare”.
Dalle “testarde” alla cattoliche: sono tutte contro il nuovo (o meglio antico) modello femminile
Verona è la terra dove le destre e la Cesa, la Chiesa come la chiamano qui, comandano da sempre. Ma qualcosa sembra essersi incrinato dopo il voto sull’aborto. La foto delle femministe di “Non una di meno” vestite da ancelle che osservano come statue il consiglio comunale è entrata nella storia. E ora le attiviste sentono la forza di chi ha fatto partire una scintilla. Martedì scorso hanno organizzato un’assemblea pubblica e oggi si trovano davanti alla stazione per una manifestazione nazionale. “È un risultato enorme”, dice Laura, seduta sugli scalini del Comune. Da quelle parti ora le chiamano “le testarde”. Quelle matte che sono state così irriverenti da andare “mascherate” a un consiglio comunale e che hanno macchiato il buon nome della città mostrando quella che semplicemente era la realtà. “Sono due anni che siamo attive – continua Giulia –. Ci battiamo per riprenderci uno spazio. L’antifemminismo ora ha una sponda nel governo e il corpo della donna è tornato a essere un campo di battaglia”.
Tra loro c’è anche Laurella, attivista trans dagli anni 70: “Da sempre a Verona le destre sperimentano quello che poi vogliono fare a livello nazionale. Qui era terra della Repubblica di Salò e qui ci sono le origini dello stragismo italiano. Nel 1995 la giunta approvò una delibera contro la parità dei diritti degli omosessuali. Non è mai stata cancellata. I dieci anni di amministrazione Tosi sono stati fondamentali per preparare il campo”. Rispetto al passato però c’è “Non una di meno” che, a un anno dal #MeToo, vuole far invertire una rotta. “Siamo pronte a uno stato di mobilitazione permanente”, dice Anna. “La mozione sull’aborto è una prima tappa. Poi ci sarà il ddl Pillon e le politiche di Matteo Salvini contro le donne migranti. Non staremo a guardare”.
Verona non è solo culla di integralismi. È anche terra di pensiero e filosofia, pure in campo femminista. La comunità di Diotima, quella a cui fanno riferimento le filosofe del pensiero della differenza Luisa Muraro e Chiara Zamboni, è nata qui. E sempre qui, all’università, si tengono seminari aperti alla cittadinanza. Alcune di loro saranno in piazza oggi: “È necessario esserci nelle urgenze del momento – spiega Sara Bigardi – che richiedono presa di coscienza e capacità di leggere ciò che accade. È il momento di interrogare i nostri privilegi di occidentali e proporre delle pratiche di pensiero e delle esperienze che possano essere positivamente contagiose”.
Nell’ultimo libro curato proprio da Diotima, parla anche Ida Dominijanni che ricorda come sia “il conflitto con l’esterno, e dall’interno, a mantenere in vita il femminismo”. E questo è quello che dicono le attiviste a Verona: “Il femminismo è vivo”.
Il Centro Aiuto alla Vita Diocesano, una delle associazioni che dovranno ricevere finanziamenti dal Comune dopo la mozione sull’aborto. Si trova a pochi minuti a piedi dalla chiesa di Santa Toscana. Quina, nigeriana, aspetta fuori dalla porta che inizi la distribuzione delle medicine. Le sue due bimbe giocano con una bambola sedute sul marciapiede. “Qui sono cattolici? Non lo so, a me non hanno mai chiesto niente della religione. Solo se avessi bisogno d’aiuto”. In portineria due signore che fanno le volontarie, nella sala d’attesa il poster di un bambino con la scritta “Io sono unico e irripetibile”. La direttrice Maria Paola Cinquetti ci pensa un po’, poi accetta di parlare. È tesa. “I più integralisti tra i cattolici dicono che non mi batto abbastanza contro l’aborto; gli altri, sul versante opposto, che costringo le mamme a partorire. Ma qui semplicemente ascoltiamo e offriamo alternative. Abbiamo visto e ascoltato troppe storie per essere contro le donne che abortiscono. Noi non colpevolizziamo nessuno”.
Il centro solo nel 2017 ha aiutato 586 donne, e i progetti vanno dall’accoglienza di mamme e bambini in strutture all’inserimento lavorativo. “Mi accusano di prendere soldi pubblici. Ma lo sanno che forniamo servizi gratuiti dove lo Stato laico non arriva?”. Lei, donna cattolica e a guida di un centro per la vita, sul modello femminile però non si trattiene: “Non possiamo tornare alla famiglia patriarcale. La maternità è un valore in più, ma garantendo la libertà di scelta”.
Due sere fa, un’altra seduta del Consiglio comunale
Sui banchi della maggioranza i consiglieri parlottano. I fotografi cercano Carla Padovani, l’eletta Pd che ha votato contro l’aborto ed è stata sfiduciata. Lei cammina avanti e indietro. Un ragazzo che viene da un circolo democratico la insegue per chiarire. Lei lo gela: “È tardi”. È giovedì scorso, sei giorni dopo il voto sull’aborto, il Consiglio comunale si riunisce per votare la presa di distanza dal leghista Alberto Zelger. Il problema, dicono, non è stata la sua mozione sulla 194, ma le dichiarazioni omofobe che ha rilasciato nei giorni successivi. “I gay sono una sciagura per la riproduzione e la conservazione della specie”, ha detto alla Zanzara su Radio 24. E pure: “L’aborto non è un diritto, ma un abominevole delitto”.
Si aprono i lavori e Zelger prende la parola: “Mi scuso se vi siete sentiti offesi”, dice ai colleghi in aula. “Le mie frasi esprimevano una posizione personale”. Dalla tribuna arriva un grido: “Vergogna”. Sono Angelo e Andrea, coppia omosessuale che un mese fa è stata aggredita davanti a casa con della benzina: un uomo incappucciato ha tirato il liquido in faccia ad Andrea che ha rischiato di perdere l’occhio. Sul pianerottolo sono state disegnate due svastiche ed è comparsa la scritta. “Vi metteremo tutti nelle camere a gas”. Angelo grida contro Zelger: “Sono queste le scuse? È colpa di voi politici se poi vengono ad attaccarci sotto casa”. L’Aula finge di non sentire e il consiglio viene sospeso per quasi due ore per riscrivere la presa di distanza da Zelger: si è scusato e la maggioranza spera che possa bastare così. Quando i consiglieri tornano, il testo è epurato: sono state tolte tutte le frasi choc, che così non rimarranno mai agli atti. Il documento passa con i voti di tutti tranne uno (Michele Bertucco di “Sinistra in Comune”). Il sindaco, assente. Aveva un altro impegno: la sagra della polenta.