lunedì 22 ottobre 2018

Corriere 22.10.18
Trump riapre la corsa agli armamenti
Verso la fine dell’intesa. Il Pentagono: l’arsenale atomico Usa è da rafforzare. Mosca: molto pericoloso
di Giuseppe Sarcina


WASHINGTON I numeri forniti dal Pentagono hanno spinto Donald Trump ad annunciare, sabato 20 ottobre, il ritiro dal Trattato sui missili nucleari a corto e medio raggio. Da mesi il Segretario alla Difesa, James Mattis, avverte la Casa Bianca. Gli Stati Uniti dispongono di 1.797 testate atomiche che, sommate a quelle degli alleati francesi e britannici, diventano 2.207. Quasi un terzo in meno dell’arsenale russo: 3.587 testate. Inoltre una buona parte delle bombe americane sono obsolete, stoccate per lo più nei depositi europei dalla fine della guerra fredda. In Italia, nelle basi di Ghedi e di Aviano, ce ne sono 70.
L’uscita di Donald Trump, a margine del comizio in Nevada, non è stata dunque improvvisata. Già nel febbraio scorso, lo stesso Mattis aveva scritto in un documento ufficiale, «Revisione della posizione nucleare», queste parole: «I nostri avversari sono Russia e Cina. La Russia sta aumentando il peso degli ordigni atomici, espandendo e modernizzando le forze nucleari, violando i trattati sul controllo delle armi, mettendo in atto comportamenti aggressivi. È una disparità che va eliminata».
Nei prossimi giorni John Bolton, consigliere per la Sicurezza nazionale, vedrà Vladimir Putin a Mosca e gli comunicherà ufficialmente la fine dell’Inf, «l’Intermediate-Range nuclear forces treaty» firmato da Ronald Reagan e Michail Gorbaciov l’8 dicembre del 1987. L’accordo consentì la drastica riduzione dei missili schierati da una parte e dall’altra in Europa, bloccando l’escalation cominciata con l’installazione degli SS-20 sovietici.
La mossa di Trump ha accentuato la tensione già alta tra Casa Bianca e Cremlino. Il viceministro degli esteri russo, Sergei Ryabkov ha definito il «ritiro unilaterale» un’iniziativa «molto pericolosa», che potrebbe condurre a «ritorsioni tecnico-militari», per il momento non specificate. Lo stesso Gorbaciov, oggi 87 anni, è polemico: «A Washington si rendono conto di dove potrebbe portare tutto ciò?».
Le prime reazioni europee sono contrastanti. Il ministro della Difesa britannico, Gavin Williamson, dichiara al Financial Times: «Appoggiamo in modo risoluto la scelta degli americani. Il Cremlino si sta facendo beffe dell’accordo». Il ministro degli Esteri tedesco, Heiko Maas, è decisamente più cauto: «Il trattato è stato un pilastro della sicurezza europea per 30 anni. Sollecitiamo gli Stati Uniti a tenere conto delle possibili conseguenze».
Ma lo scenario su cui sta lavorando Mattis è un altro. L’ex generale dei marines ha spiegato a Trump e a Bolton quali siano i punti di forza e di debolezza dell’apparato nucleare: si può contare su una rapida capacità di risposta e sull’affidabilità delle «piattaforme», dai missili intercon-tinentali ai sottomarini; è urgente, invece, sostituire i vecchi ordigni, rilanciare i laboratori di ricerca e, se necessario, riattivare i test.