Corriere 22.10.18
La collana
Un mondo affamato di profondità ha ancora bisogno dei classici greci
Parte domani con il quotidiano la nuova serie interdisciplinare «Letteratura. Storia. Civiltà»
di Daniela Monti
Maestri infaticabili hanno posto le domande essenziali per l’umanità
La poesia di Omero, il pensiero di Socrate e di Platone, le grandi tragedie
«Ovviamente,
per frequentare questo corso è necessario conoscere il greco antico».
Emanuele Severino pronuncia queste parole durante la prima lezione di
Filosofia teoretica, quella in cui presenta il programma di studio per
l’anno accademico che va a cominciare. Siamo nella seconda metà degli
anni Ottanta: e a quel punto nell’aula sovraffollata — Severino è una
star, l’eretico allontanato dalla Cattolica di Milano perché il suo
pensiero è stato giudicato inconciliabile con il cristianesimo, le sue
lezioni calamitano studenti anche fuori dalla facoltà di Filosofia — una
buona metà dei ragazzi raccoglie le proprie cose e se ne va, lasciando
gli altri a spartirsi lo spazio fra i banchi.
Quello che Severino
chiedeva agli studenti — lo capiremo più tardi — non è semplicemente
saper leggere e tradurre il greco. Certo, anche quello, perché le
lezioni saranno tutte un rincorrersi di termini e concetti — a partire
dalla formula di Parmenide «l’essere è e non è possibile che non sia» —
nati nella lingua greca.
Ma quello che il professore intendeva
davvero con «conoscere il greco antico» è l’esperienza del corpo a
corpo, l’allenamento quotidiano, la familiarità con una cultura che
insegna a pensare e a vivere. I Greci, quasi tremila anni fa, hanno
elaborato una teoria, cioè una comprensione del mondo, che è ancora la
nostra, e di quella teoria si sono serviti come di uno scudo contro il
dolore dell’esistenza (scopo ultimo, in definitiva, di tutte le teorie,
di tutte le civiltà). Eravamo coscienti, noi che allora scaldavamo le
seggiole, di tutto questo?
Dalla nascita del pensiero, con il mito e
la poesia, alla nascita della filosofia e della storia, i Greci hanno
dato forma al nostro mondo, il mondo dell’immaginazione, della
giustizia, della democrazia, dei sentimenti. Hanno portato per la prima
volta alla luce il senso dell’essere e del nulla. La nostra cultura, che
pensa di potersi disinteressare del pensiero greco, si è sviluppata
all’interno delle categorie che da quel pensiero sono state espresse. E
così la nostra civiltà.
I Greci sono stati maestri infaticabili nel
porre domande, sollevare dubbi, avanzare risposte. Qual è il senso
dell’esistenza umana? Un quesito che, anche nella nostra età liquida,
non è ancora passato di moda. «Come le foglie, così le stirpi di
uomini», scrive Omero ben prima di Ungaretti, che torna a quell’immagine
per denunciare gli orrori della guerra. Che senso può avere qualcosa
che è destinato a scomparire, a morire? Questa la domanda centrale:
tutta la riflessione dei greci, non solo dei filosofi, si concentra nel
tentativo di offrire una risposta che resista allo scorrere del tempo.
L’Iliade
e l’Odissea — i primi e più grandi racconti dell’Occidente —, Le opere e
i giorni di Esiodo, i versi di Solone, i paradossi di Eraclito, l’uomo
misura di tutte le cose di Protagora, il percorso che porta dal mito al
logos con Platone e Aristotele.
Sono i miracoli della cultura greca,
insieme alla nascita della storia con Erodoto e Tucidide, alla tragedia
di Eschilo, alla lirica di Mimnermo e Saffo. Gli archetipi della poesia e
della prosa letteraria europea si trovano negli scritti dei Greci. E a
rendere possibile tutto questo è stato l’intrecciarsi continuo di
culture diverse, il crash fra saperi che prendono corpo in luoghi
lontani — dagli ambienti decisivi di Atene (la cerchia intorno a
Pericle, i socratici, Platone e l’Accademia, la scuola di Isocrate, il
Peripato, la cerchia intorno a Demostene) alla rete di grandi e meno
grandi luoghi culturali.
Che resta oggi di tutto questo? Persino i
miti, con i loro protagonisti dalla personalità complicata e dal destino
segnato, abissalmente più intensi e umani di tanti eroi di oggi, stanno
vivendo una nuova ondata di interesse: l’operazione di volgersi ai
Greci, per capire qualcosa di più su chi siamo, sta conquistando un
pubblico di giovani, affamati di profondità. E la filosofia? Di teorie
sotto i ponti ne sono passate tante dal tempo della grande Atene,
eppure, come scrive Mauro Bonazzi, «la filosofia contemporanea altro non
è che il tentativo di confutare Platone, mostrando che le sue risposte
sono sbagliate». E che renverser le platonisme, «rovesciare il
platonismo», sia il compito della filosofia contemporanea lo pensava
anche Gilles Deleuze (e Bernard Williams, allargando il campo:
«L’eredità lasciata dalla Grecia alla filosofia è la filosofia»).
«Le
domande di Socrate stimolano ciascuno di noi a mettersi in gioco, nel
proprio mondo e nella propria quotidianità, e avanzare verso l’unica via
che può avvicinare alla felicità: la conoscenza di sé in relazione con
gli altri», scrive Pietro Del Soldà nel suo Non solo di cose d’amore
(Marsilio). E in un mondo ossessionato dal raggiungimento della
felicità, rileggersi anche solo un dialogo platonico — il Simposio, per
esempio — può davvero salvare la vita, perché rimette in circolo la
voglia di conoscere, di domandare, di rispondere, di capire, riaprendo
un dialogo che, nella realtà sostanziale delle cose, non si è mai
interrotto.