Repubblica 26.9.18
L’alleanza gialloverde
Crisi di nervi in casa m5s
di Piero Ignazi
Il
Movimento 5 Stelle è un partito sull’orlo di una crisi di nervi. Si
rende conto, ogni giorno che passa, di essere impreparato a governare,
esattamente come era successo alla sindaca Raggi. Le complessità e le
interdipendenze di un Paese industriale ( ancora) avanzato, inserito in
un sistema di relazioni internazionali politiche, economiche e militari,
infrangono il semplicismo con cui sono stati affrontati i problemi nei
vari talk show, unico luogo pubblico frequentato dai grillini, vista
l’assenza di contradditorio (e sarebbe ora di cambiare registro).
Le
indicazioni fornite in campagna elettorale per giustificare i loro
costosissimi progetti peccavano di precisione e rigore, ma in quelle
circostanze nessuno brilla per accuratezza.
Era ipotizzabile, e
sperabile, che dietro i fuochi di artificio dei politici ci fosse
qualche esperto che aveva preparato un piano attuabile; e la presenza di
un brillante giovane economista come Andrea Roventini, indicato quale
futuro ministro del Tesoro, tranquillizzava.
Così come il doppio
linguaggio adottato spesso da Di Maio, arrembante di fronte alle folle,
ma rassicurante al cospetto di platee composte. Ora questa ottimistica
interpretazione sta mostrando la corda. Il "capo politico" del M5S non
sembra in grado di gestire gli oneri del governo e nemmeno quelli della
direzione politica. Del resto, se non c’è riuscito uno come Renzi...
Di
Maio soffre sul versante del governo perché non dispone delle
competenze giuridico- economiche necessarie per far avanzare il diamante
della corona pentastellata, il reddito di cittadinanza.
Di fronte
ai rilievi tecnici, se ne esce con espressioni sconfortanti di
infantilismo politico — «dateci i soldi» — in linea con quelle, più
grevi, veicolate da un personaggio televisivo transitato al governo (
uno scambio di ruoli, lascito grazioso del berlusconismo). Nel corpo a
corpo con la burocrazia ministeriale che, e questo è vero, spesso agisce
da freno per pura reazione pavloviana di rigetto a fronte di qualunque
innovazione, Di Maio agisce in maniera irruenta, e alla fine inefficace.
In questo modo, non solo Di Maio rischia di perdere la sua battaglia
decisiva, ma incrina anche quella immagine composta e tranquillizzante
che gli ha portato molti consensi.
Il nervosismo del leader
pentatellato è poi acuito dalla competizione con Salvini. Sono bastate
poche settimane perché emergesse in maniera clamorosa il differenziale
di esperienza tra leghisti e grillini.
Il sorpasso della Lega nei consensi dell’elettorato investe direttamente Di Maio quale leader del Movimento.
Per
ora tutto tace, a parte le sortite del presidente della Camera, Roberto
Fico, che però non smuove ancora nulla nel partito. Tuttavia, cresce la
sensazione di essere in trappola. Del resto, il M5S ha voluto governare
a tutti i costi, anche con il partito più lontano dai suoi programmi,
ad eccezione, e solo in parte, della politica sui migranti; e non si è
reso conto delle incomparabilmente maggiori risorse politiche della Lega
— governo dei territori, classe politica sperimentata, relazioni con le
associazioni di interessi — e, soprattutto, della sua ventennale
abilità nell’usare il doppio registro di partito di lotta e di governo.
In
una situazione come questa, il M5S può avere la tentazione di
rovesciare il tavolo se non ottiene qualcosa che possa "vendere" come
reddito di cittadinanza; se ci riesce, gratifica, e quindi consolida, il
suo elettorato, in particolare al Sud, e l’alleanza regge.
In
caso contrario, prende corpo la tentazione di un rilancio del
massimalismo, senza freni: uno scenario peronista, al centro del quale
non potrà che esservi il rientrato Di Battista.
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Il leader del Movimento non è capace di gestire gli oneri del governo e nemmeno quelli della direzione politica
Piero
Ignazi è professore di Politica comparata presso l’Università di
Bologna Il suo ultimo libro è "I muscoli del partito" (Il Mulino, 2018)
scritto con Paola Bordandini