giovedì 13 settembre 2018

Repubblica 13.9.18
Il Quirinale e l’equilibrio dei poteri
di Stefano Folli


Il richiamo di Sergio Mattarella alla Costituzione, cui tutti devono deferire, non è il primo passo di uno scontro istituzionale. Certo, chiunque ha inteso che le parole del presidente della Repubblica erano rivolte a Salvini.
Ma non è nell’interesse di nessuno che sia varcata la soglia che separa il monito — come si dice in questi casi — dall’apertura di un conflitto devastante. Non è questo che vuole il capo dello Stato, non a caso attento a calibrare con scrupolo ogni parola. E a ben vedere non è nemmeno nell’interesse del frenetico ministro. Il quale non può non sapere che il suo consenso pubblico, ormai imponente, ha pur sempre un tallone d’Achille. Ed è il rischio di generare instabilità e incertezza presso un elettorato, che vuole sicurezza e un freno agli immigrati, ma apprezza poco tutto ciò che minaccia il lavoro, la produzione e il mercato.
Salvini si muove sempre sul crinale.
Attacca i magistrati, rinfaccia loro di "non essere eletti", lascia intendere che le inchieste che lo riguardano a proposito della nave Diciotti sono parte di un’operazione politica, ironizza, appende l’avviso di garanzia sulla parete dell’ufficio... insomma si comporta come nessun ministro dell’Interno ha fatto in tempi recenti.
Il meno che poteva attendersi è che Mattarella lo redarguisse con un "memento" circa i doveri istituzionali, il primo dei quali è il rispetto dei propri ambiti e degli altri poteri dello Stato. Ma sarebbe un errore non leggere l’altra parte dell’intervento del presidente.
Laddove ricorda anche ai magistrati — e non è la prima volta — i loro doveri: il primo dei quali consiste nel non abusare dell’autonomia garantita dalla Costituzione. Fare politica con la toga è un peccato civile, si potrebbe dire, che scardina l’equilibrio generale, creando le premesse per un’eterna sfida all’Ok Corral.
In breve, ora tocca al leader leghista mostrare senso della misura. Tutti i sondaggi registrano un successo così ampio del messaggio nazionalista che adesso la scommessa è un’altra: riuscirà il vicepremier a fermarsi per consolidare sul piano istituzionale la propria immagine? Ovvero proseguirà a testa bassa a costo di rendere inquieto il suo stesso elettorato? Le parole di Mattarella, sotto questo profilo, sono un buon test (uno "stress-test", si potrebbe dire) per valutare quale indirizzo prevarrà.
Continuare infatti a contrapporre il successo elettorale al diritto, cioè alle regole di fondo di una democrazia, è una strada che porta in un vicolo cieco.
Mattarella in fondo ha fornito a Salvini un buon consiglio, se saprà coglierlo senza dar retta agli oltranzisti.
Altra cosa è il dibattito politico con il contrapporsi delle opposte propagande.
Ci sono pochi dubbi che siamo agli esordi della campagna elettorale per le europee di maggio. Sarà una campagna aspra. Il voto che ha condannato Orbán a Strasburgo equivale all’inizio di una corsa senza esclusione di colpi.
Europeisti contro sovranisti, viene sottolineato. Nella speranza che la guerra non porti alla dissoluzione dell’Unione.
Vero è che mai come il prossimo anno l’Europa sarà protagonista del voto, nel bene o nel male. Sulla carta gli europeisti prevalgono (come nel voto anti-Orbán), ma nessuno oggi può dirsi sicuro vincitore. Anzi, la debolezza del fronte europeista è duplice. Primo, il rischio di dover difendere l’Europa così com’è, con tutte le sue storture. Secondo, non disporre di un leader davvero credibile.
Dovrebbe essere Macron, ma la sua popolarità ai minimi termini e la sua inimicizia verso l’Italia in Libia complicano il quadro in modo imprevisto.