mercoledì 12 settembre 2018

Repubblica 12.9.18
Intervista a Piotr Stasinski (Gazeta Wyborcza)
"Così in Polonia hanno messo il bavaglio ai media"
Il vicedirettore del quotidiano: "Pubblicità solo a giornali e tv amici del governo"
di Rosalba Castelletti


«Da quando il partito Diritto e Giustizia (PiS) ha preso il potere nell’ottobre 2015, in Polonia sono aumentate le pressioni politiche nei confronti dei media. E tutto è iniziato con lo stop delle pubblicità delle aziende a controllo statale sui giornali che si oppongono al governo». Piotr Stasinski, 65 anni, combatte da sempre per un’informazione libera. Dopo anni di militanza in Solidarnosc ai tempi della legge marziale, oggi è il vicedirettore del quotidiano polacco Gazeta Wyborcza.
Anche il vicepremier italiano Luigi Di Maio sostiene che le aziende partecipate dovrebbero smettere "di fare pubblicità sui giornali". Che cos’è successo in Polonia?
«Il partito Diritto e giustizia innanzitutto ha insediato uomini di fiducia nei posti chiave delle compagnie a controllo statale.
Dopo di che, le aziende partecipate hanno ritirato la pubblicità dai media liberali, come la rete tv privata Tvn, i settimanali Newsweek e Politika e il nostro quotidiano Gazeta Wyborcza, e l’hanno spostata sui media filo-governativi. Il dato sorprendente è che dal 2015 al 2017 è aumentato di 15 volte l’ammontare dei cosiddetti "spot governativi" sui cinque quotidiani e settimanali filo-governativi che nel frattempo hanno perso lettori. Perdono audience, ma prendono più soldi dal governo».
In quali altri modi il governo di Kaczy?ski minaccia la libertà di stampa in Polonia?
«Appena arrivato al potere, ha preso il controllo della tv e radio pubblica Tvp. Da allora 300 giornalisti, presentatori e operatori sono stati licenziati, sono stati costretti a dimettersi o sono andati via perché non volevano lavorare per un "media di propaganda". La radio-tv pubblica è stata battezzata "nazionale" perché deve essere a servizio della "nazione". Da allora i programmi di notizie in prima serata attaccano quotidianamente noi media liberali definendoci "traditori" o accusandoci di "servire gli interessi stranieri". E, dopo che il PiS ha preso anche il controllo della magistratura, ci ha citati in giudizio due volte. Una causa l’abbiamo persa. La rete privata Tvn, invece, viene regolarmente richiamata dall’authority dei media. Siamo diventati il "nemico". Cercano d’indebolirci in tutti i modi: privandoci di entrate economiche, citandoci in tribunale o screditandoci sulle tv di Stato».
Che cosa si nasconde dietro questi attacchi all’informazione?
«Siamo sulla strada verso uno Stato di Partito. Diritto e Giustizia sta distruggendo tutte le istituzioni di una democrazia liberale. Ha preso il controllo dei media e delle aziende pubbliche, poi della magistratura. Attacca i parlamentari d’opposizione o le donne che si battono per il diritto all’aborto. Ora, i parlamentari del partito al governo lo dicono apertamente, non resta loro che sbarazzarsi della stampa libera.
Media come la Gazeta o Tvn sono scomodi per il governo perché coprono tutte le proteste antigovernative e denunciano gli abusi. In ottobre ci saranno le elezioni locali e Gazeta Wyborcza ha 20 edizioni locali. Per cercare di contrastarci, il governo preme sul gruppo editoriale nostro concorrente perché venda. Usa i soldi delle compagnie statali per comprare i giornali».
Vede somiglianze tra quello che è accaduto in Polonia e quello che sta accadendo in altri Paesi dove sono al potere governi cosiddetti "populisti"?
«Ci sono molte somiglianze con quel che sta accadendo in America. Il governo ci attacca ogni giorno così come Trump se la prende ogni giorno con la stampa americana. Kaczy?ski si professa amico del premier ungherese Viktor Orbán. In Ungheria non ci sono più media indipendenti, solo qualcuno marginale online. È il futuro che probabilmente ci aspetta. Tutti i media diventeranno marginali, verranno rilevati dal governo o vedranno la loro libertà sempre più ristretta. Non è in gioco solo la nostra sopravvivenza. Sono in gioco le libertà civili. È in gioco la nostra democrazia».