«Noi»:
meglio saperlo in tempo, un’ideologia di obbedienza basagliana si
candida con Claudio Magris alla guida culturale del Paese...
Corriere 24.9.18
Dialoghi. Michele Zanetti affiancò Basaglia nella riforma che chiuse i manicomi. Ha scritto «Rendiconto» (Il miolibro)
Ricette per trasformare l’io in noi
Siamo tutti legati. Evitiamo sia chiusure identitarie sia i buonismi del «diverso è bello»
I valori cristiani sono utili in un oggi confuso tra un individualismo sfrenato e una rozza idea di democrzia
di Claudio Magris
Le
prime righe e la citazione che le precede dicono subito lo spirito più
profondo del libro, una ferma e calda umanità consapevole della brevità
dell’esistenza ma anche del suo sanguigno e forte significato;
consapevole soprattutto che nessun frammento di vita svanisce in un
nulla indistinto, ma è un tassello della vita intera, di cui si è
responsabili. «Rendi conto della tua amministrazione, perché non potrai
più tenerla» dice il passo evangelico (Luca, XVI, 2) scelto quale
sintesi essenziale, cui seguono le prime righe: «Ho vissuto più a lungo
di mio padre e di mio fratello maggiore…». La qualità della nostra vita
non finisce alla punta delle nostre dita ma comprende chi ci sta intorno
e, più oltre, l’esistenza di tutti. Michele Zanetti ha dato alla
politica più di quanto abbia ricevuto e ha pagato senza batter ciglio,
con tranquilla e ironica serenità, il prezzo per le sue iniziative più
coraggiose e dirompenti, come la Riforma Basaglia che potrebbe portare
pure il suo nome. La nostra fraterna amicizia dura da 68 anni, in cui
abbiamo condiviso alcune tappe essenziali del nostro crescere e
invecchiare, vicinanza nelle perdite affettive e momenti felici, da un
leggendario match di boxe, con tanto di contratto e ring piantato in
casa, alle gare su chi ricordava meglio a memoria i romanzi di Salgari.
Le immagini di Ugo Guarino, geniali espressioni di una bislacca,
irridente e calda fraternità umana, s’accompagnano coerentemente a
questo Rendiconto.
La vocazione politica di Michele Zanetti nasce
spontanea dall’incontro con le cose, fin dai tempi degli studi
universitari di giurisprudenza a Trieste dove, dopo un breve periodo di
insegnamento a Parigi, è stato docente di Diritto del Lavoro. Politica,
polis, la Città, il bene comune ossia di tutti o almeno di quanti più
possibile. Nel suo Rendiconto scrive raramente «io» e, molto più spesso,
«noi». Chi sono, gli chiedo, questi «noi» e dove finiscono (se
finiscono)?
Michele Zanetti — Il «noi» è importante per una
molteplicità di motivi: per ridurre il narcisismo, per contenere la
presunzione di chi ritiene di aver realizzato da solo qualcosa di
significativo e per riconoscere di conseguenza il contributo che altri, a
volte sconosciuti o restii ad apparire, hanno dato. Ma chi sono per te i
«noi»?
Claudio Magris — In linea di principio, ogni individuo
sulla terra è parte di noi. Naturalmente ci sono legami affettivamente
ben diversi tra chi condivide la nostra vita e chi non abbiamo mai visto
ma ciò non può cancellare il senso di una comune patria dell’umanità,
che abbraccia differenti persone, nazionalità e culture, pietre di una
casa comune. Ma due storture fatali minacciano quel senso del «noi». Da
un lato la livida chiusura identitaria, il rifiuto di chi vive
dall’altra parte della frontiera o anche solo alla periferia della
propria città o in un altro gruppo sociale, etnico o religioso. Anche la
famiglia può essere fondamentale per aprirci a un incontro con gli
altri o per chiuderci in un particolarismo ringhioso. Dante diceva di
aver imparato ad amar fortemente Firenze bevendo l’acqua dell’Arno ma
aggiungeva che la nostra patria è il mondo come per i pesci il mare.
Dall’altro lato c’è lo sciocco e ideologico buonismo che sproloquia
«diverso è bello» (dimenticando che anche Hitler era diverso), che si
entusiasma (a parole) per lo straniero e ignora il vicino di casa,
fomentando per reazione così le più grette chiusure localistiche,
aggressive e razziste. In che senso il tuo cattolicesimo ha influito
sulla tua azione politica?
Michele Zanetti — Ha influito
moltissimo, sia come ispirazione e bussola di orientamento, sia come
controllo e verifica di ciò che si sta facendo, soprattutto per
registrare e correggere errori e cadute che inevitabilmente accompagnano
l’attività di ciascuno. Il riferimento ai valori cristiani mi pare di
grande attualità e utilità nell’epoca presente che, dopo aver cancellato
le ideologie del Novecento, brancola in maniera confusa tra un
individualismo sfrenato, così poco fecondo e produttivo in ambito
socio-politico, e una visione rozza e riduttiva di democrazia quale
ricerca di un consenso purchessia che porti alla conquista del potere.
Anche tu hai avuto in gioventù una formazione simile alla mia…
Claudio
Magris — La fede è il senso dell’oltre, la resistenza al dominio delle
cose così come sono e che pretendono di essere le uniche e le
definitive, escludendo la possibilità di un futuro diverso dal sistema
dominante nel presente. Horkheimer, il grande maestro insieme ad Adorno
del pensiero negativo, non certo credente bensì caposcuola di un
marxismo esperto della terribile realtà dei tempi nuovi, ha parlato di
Dio come dell’«assolutamente Altro», sfida necessaria a un presente
irrigidito incapace di pensare un futuro diverso e più umano. Tra le tue
attività spicca quella, di particolare rilevanza pratica ed economica
per la città, di presidente dell’Ente Porto di Trieste. Come hai vissuto
questa tua attività?
Michele Zanetti — Se penso ai 13 anni di
presidenza del porto di Trieste, dei quali il primo è stato utilizzato
per imparare il «mestiere» di amministratore di una realtà complessa e
per me nuova, ho maturato alcune convinzioni sul rapporto tra tecnici e
politici. Per sua natura e vocazione il porto franco di Trieste vive se
ha buone relazioni internazionali che richiedono conoscenza e
comprensione delle esigenze dei partner. Al politico è necessaria la
conoscenza della materia grande o piccola che è deputato a trattare;
egli non deve delegare al tecnico le scelte sostanziali. Il politico
inoltre è chiamato a portare innovazione, anche se il nuovo può far
paura. Ero riuscito a intessere una vasta rete di relazioni che avevano
prodotto un buon numero di linee marittime, containerizzate e no, oltre a
cospicui investimenti nello scalo. Purtroppo i miei successori hanno
quasi azzerato il lavoro di 13 anni e soltanto oggi il porto si è
nuovamente immesso su quella strada.
Claudio Magris — L’esperienza
più importante e rivoluzionaria del tuo lavoro è il tuo ruolo
essenziale nella Riforma psichiatrica, la «Riforma Basaglia», che ha
cambiato il modo di vedere la sofferenza, l’esclusione, l’emarginazione e
ha ridato dignità di persona e diritti a chi era escluso dall’umanità,
ignorato se non disprezzato, recluso più che ricoverato. Non ha affatto
negato la malattia mentale, com’è stato detto; era il sistema precedente
che spesso accumunava i malati alle vittime dell’alcol, della droga,
della miseria, del rifiuto, del disagio sociale, anche di sé stesse. Ha
certo sottolineato l’importanza delle condizioni esterne; anche per un
cardiopatico non è la stessa cosa abitare al piano terra o al ventesimo
piano senza ascensore. La riforma psichiatrica — nonostante qualche
vacuità ideologica assemblear-pulsionale (l’eterno morbillo culturale
infantile che insidia la sinistra) — non ha tradito la concezione
classica della materia di cui siamo fatti e senza la quale non c’è vero
spirito, Logos che si fa carne, sinapsi di neuroni.
Michele
Zanetti — Si può e si deve curare il disagio e il disturbo mentale in
forme rispettose della libertà e della dignità delle persone sofferenti.
Perciò va abolito il manicomio che non solo toglie libertà, dignità e
diritti ai ricoverati, ma ne aggrava o talora addirittura provoca la
malattia mentale. Per fare ciò si è dovuto abbattere non soltanto gabbie
e muri ma ostacoli ben più grandi, quali una cultura e una legislazione
fondate sull’esclusione come garanzia di sicurezza per la società. Un
tema ricorrente, se si riflette sulle speculazioni politiche di oggi
sulla sicurezza, bene essenziale da proteggere in altri modi. Certamente
non è stato facile distruggere l’istituzione manicomio a partire da
un’altra istituzione come la Provincia chiamata a gestirlo. Ma dopo
quasi cinquant’anni, sebbene seppure possano esserci stati errori ed
esagerazioni, non è stata intaccata la validità e l’universalità del
movimento contro le istituzioni totali alienanti e totalizzanti, che
anzi deve essere continuato con impegno.
Claudio Magris — Siamo
entrambi uomini del Ventesimo e non del Ventunesimo secolo e talvolta,
anzi spesso, restiamo spiazzati dinanzi alle nuove forme che hanno preso
la politica e la lotta politica, dinanzi a tante trasformazioni del
mondo in cui la straordinaria creazione di nuove libertà si mescola e
talora s’intreccia a nuove terribili schiavitù. È difficile resistere
all’impulso di rifiutare tutto ciò o di assecondarlo passivamente. Come
ti senti sotto questo punto di vista?
Michele Zanetti — Come hai
detto, sono veramente spiazzato dinanzi alle attuali forme della lotta
politica, le condanno e le rifiuto. Se soltanto penso a quanto di
grottesco e di risibile, ma soprattutto di drammaticamente pericoloso è
avvenuto di recente per la ricerca di una maggioranza di governo (o a
come si avvia in maniera maldestra e inconcludente l’azione del governo
stesso), posso soltanto dedurre che siamo a un punto molto basso della
politica. Mi auguro vengano presto superati l’uso manipolatorio della
democrazia rappresentativa e la sua erosione da gran parte dei mass
media. Tuttavia, anche se io non riesco a intravederlo, mi auguro che si
manifesti sia pur parzialmente quanto di positivo e di innovativo sta
producendo l’attuale fase di transizione.