l’espresso 23.9.18
La carica dei cristiani senza Dio
Di Marco Damilano
L’Europa
attuale è stata costruita dai leader cattolici che volevano unire
Chiesa e democrazia. Oggi vacilla di fronte all’attacco dei sovranisti
no
spettro si aggira per l’Europa, la vecchia sinistra socialdemocratica,
in picchiata ovunque nei consensi e in crisi di identità. La sua
versione italiana, raccolta sotto le bandiere del Partito democratico,
non riesce da mesi neppure a raccontare a se stessa e agli italiani le
ragioni di una perdita di milioni di voti ed è arrivata a dividersi
perfino sugli inviti a cena. È accaduto in occasione dell’improvvida
idea di Carlo Calenda, invitare a tavola un ristretto club di primi
della classe, Matteo Renzi, Marco Minniti, Paolo Gentiloni, che alla
fine hanno lasciato cadere scatenando l’ira dell’ex ministro.
L’opposizione continua a discutere di formule e contenitori, mentre la
coalizione di governo M5S-Lega litiga, si accapiglia, si divide sulle
cose da fare: misure, soldi, risorse per la legge di Bilancio. Occupa
tutte le zone del campo (destra, sinistra e centro) e continua a
crescere nei sondaggi, malgrado la confusione. Ma c’è un altro fantasma,
molto meno analizzato e raccontato, che spiega quanto sta succedendo in
Italia e nel resto d’Europa. Attraversa i paesi che ricalcano i confini
dell’antico Impero carolingio, Francia e Germania, e gli Stati oggi
uniti dal patto di Visegrad e poi l’Austria e il Lombardo-Veneto, culla
della Lega prima indipendentista e oggi sovranista: i territori che
furono dell’Impero asburgico. È una faglia che a Ovest e a Est
dell’Europa spacca i popoli che furono la culla della cristianità
europea nel Medioevo, nell’età moderna e nei cinquant’anni seguiti alla
fine della seconda guerra mondiale, dopo il 1945. L’Europa unita,
sognata dal laico Altiero Spinelli nell’isola di Ventotene, ben più che
dalle sinistre socialiste è stata inizialmente costruita dai tre leader
dei paesi fondatori: il francese dell’Alsazia-Lorena Robert Schuman, il
tedesco della Renania Konrad Adenauer, l’italiano venuto dal Trentino,
già deputato del Parlamento asburgico, Alcide De Gasperi. Tre leader
venuti da regioni di frontiera, testimoni degli eccidi e delle tragedie
del Novecento, tre cristiani interpreti di una potente idea politica:
l’incontro tra i cattolici e la democrazia, dopo secoli di guerre di
religione, di alleanze tra trono e altare e di separazioni sanguinose. E
dunque la fine della lunga stagione aperta in Europa dalla rivoluzione
francese del 1789, con la Chiesa e i cattolici relegati all’opposizione
della modernità, sul fronte della restaurazione. L’Europa e la
democrazia erano i due volti di un progetto ambizioso, insieme politico e
religioso, perché richiedeva una Chiesa non più arroccata sul fronte
della reazione, anticipava le conclusioni del Concilio Vaticano II. In
Italia significava la lunga egemonia del partito-Stato dei cattolici, la
Democrazia cristiana, in una logica non confessionale ma di autonomia
tra le due sfere, l’ordine temporale e l’ordine spirituale. La garanzia
che la democrazia italiana e l’orizzonte europeo avrebbero avuto una
base di massa, popolare: contadini, operai, ceti medi, l’immenso bacino
dell’elettorato cattolico. Il processo di costruzione dell’attuale
Unione europea e l’allargamento ai paesi dell’Est fu completato dagli
ultimi esponenti di quella tradizione: l’italiano Romano Prodi, il
tedesco Helmut Kohl, cui va aggiunto il più anziano Jacques Delors, che
da giovane si era formato nella gioventù operaia cattolica e nella
rivista “Témoignage Chrétien”, prima di aderire al partito socialista.
Era stato il papa polacco Giovanni Paolo II a coniare lo slogan
dell’Europa a due polmoni, uno orientale e uno occidentale, ben prima
della caduta del Muro. E alla fine del Novecento e nei primi anni
Duemila il progetto era sembrato trionfare.
Oggi, invece, c’è il
vuoto. Non ci sono due polmoni, ma l’asfissia. L’Europa non respira,
soffoca, ha le porte e le finestre sbarrate, all’esterno e all’interno.
La stagione di quella che lo storico Timothy Snyder ha definito in “La
paura e la ragione” (Rizzoli, 2018) «la politica dell’eternità»: il
ritorno alla politica del suolo, della terra degli avi, contrapposto
alla «politica dell’inevitabilità», il culto dei parametri economici
come volto finale della liberal-democrazia. Due visioni entrambe
anti-storiche, scrive Snyder: «I politici dell’inevitabilità insegnano
che i dettagli del passato sono irrilevanti, perché qualunque cosa
succeda è acqua per il mulino del progresso. I politici dell’eternità
saltano da un momento all’altro, tra i decenni e i secoli, per costruire
un mito di innocenza e di pericolo». Oggi l’Economist si interroga sul
superamento di un liberalismo inteso come puro vincolo e austerità. Ma
intanto il vuoto si è aperto, nel cuore dell’Europa, e nel vuoto tornano
di moda parole antiche: Patria, Nazione, Identità. Radici. E il
cattolicesimo democratico e europeista è stato spazzato via. Al suo
posto c’è un’ideologia, cristianista più che cristiana, che si candida a
guidare culturalmente il fronte del sovranismo alle prossime elezioni
europee, in Polonia, Ungheria, Austria, Italia. Con un doppio obiettivo:
abbattere non solo l’Europa di Maastricht e di Schengen, ma anche
l’Europa dei diritti, che è stata una sorta di virtuoso vincolo esterno.
In nome della rivincita sulla modernità, la restaurazione, il
ripristino della Tradizione immutabile, contro quello che viene
considerato un interminabile catalogo di errori. L’Ungheria di Viktor
Orbán è l’apripista. Il premier ospitato nel vecchio Ppe, i
democristiani europei, in questi anni ha stravolto la Costituzione del
suo paese inserendo riferimenti continui al re Santo Stefano,
all’identità cristiana della Nazione, alla famiglia «basata sull’unione
volontaria tra uomo e donna», con il divieto di aborto e la difesa del
feto «fin dal concepimento». È la politica dell’eternità, che aggredisce
un’Europa svuotata dai suoi valori fondativi. L’Espresso racconta come
sta avvenendo questa metamorfosi anche in Italia. Può far sorridere o
inquietare, o entrambe le cose. Di certo è uno dei motori del sovranismo
italiano. Un movimento che raccoglie un partito, la Lega, un gruppo
trasversale di 150 parlamentari, il gruppo Famiglia e Vita appena nato,
un ministro, Lorenzo Fontana, per cui è stato appositamente creato un
ministero della Famiglia, di nessuna capacità di spesa ma di ampio
potere declamatorio, il leader Salvini che ha sventolato una copia del
Vangelo e una corona del rosario nel comizio finale della sua campagna
elettorale in piazza Duomo, nel silenzio imbarazzato della gerarchie
ecclesiastiche. Il movimento conta su potentissimi appoggi in Vaticano,
nell’ala curiale anti-Bergoglio, e su quella rete internazionale che
ruota attorno all’enigmatico ex consigliere di Trump Steve Bannon. C’è
una storia italiana che ci porta qui. La fine del partito dei cattolici,
la Democrazia cristiana, che raccoglieva la gran parte dell’elettorato
dei credenti e dei praticanti alla messa domenicale, ma aveva combattuto
ogni deriva clericale o sanfedista. La chiusura della Dc, avvenuta
esattamente un quarto di secolo fa, avrebbe dovuto lasciare spazio,
nella speranza dei sostenitori del bipolarismo, alla presenza di
cattolici in entrambi gli schieramenti, a far da lievito con la loro
cultura. Era questo il senso più profondo dell’operazione Ulivo: un
patto tra laici e cattolici pensanti, come li chiamava il cardinale
Carlo Maria Martini. Cattolici aperti alla modernità, laici curiosi del
fatto religioso. Quel patto è saltato quasi subito. Perché la gerarchia
ecclesiastica italiana, guidata con il pugno di ferro dal cardinale
Camillo Ruini, preferì puntare sullo schema opposto: la trasformazione
della Chiesa in una lobby, con l’inserimento in Parlamento e nei nuovi
partiti della Seconda Repubblica, da Forza Italia alla Margherita, di
figure politicamente sbiadite ma docili ai disegni della Conferenza
episcopale. Paola Binetti e Eugenia Roccella, per dire. Un disegno che
presupponeva la riduzione del mondo cattolico a pura massa di manovra,
da spingere in piazza come nel caso del primo Family Day del 2007 contro
il disegno di legge sulle unioni civili del governo presieduto dal
cattolico Prodi, e da rispedire a casa a piacimento se il momento
richiedeva trattative lontane dai riflettori. Il bilancio finale è stato
disastroso: l’episcopato, finita l’era Ruini, si è presentato senza
leadership e capacità di lettura della nuova realtà italiana, oscillante
tra un populismo pasticciato e le buone intenzioni, incapace di
proporre nei conclavi del 2005 e del 2013 un candidato all’altezza del
papato. Il serbatoio dell’associazionismo, dei movimenti, del sindacato
(la Cisl) che forniva i quadri di una classe dirigente diffusa e
popolare, con i suoi personaggi di spicco nell’establishment, i Bazoli,
gli Andreatta, i Prodi, e gli intellettuali ascoltati dalla cultura
laica come Pietro Scoppola, si è esaurito nel conformismo, nella
ripetizione delle formule astratte (ieri i principi non negoziabili, la
vita e la famiglia, oggi un certo appoggio di comodo alle indicazioni di
papa Francesco di cui si coglie l’aspetto più edulcorato, il meno
impegnativo), nella distanza dalla sfera della politica, considerata
nella stagione precedente lo sbocco privilegiato dell’impegno nella
storia, forse obbligato, di certo il più nobile. E, quel che è peggio
dal punto di vista della ragione sociale della Chiesa, l’annuncio del
messaggio cristiano nel mondo, c’è stato un arretramento vistoso: le
chiese vuote, l’ignoranza religiosa, l’incredulità pratica, il silenzio
di Dio di cui parla Giuseppe Genna a pagina 34. La riduzione del
cattolicesimo dalla dimensione del mistero della vita, del dolore e
della Resurrezione alla estenuante difesa quotidiana sui preti pedofili,
le beghe curiali che trasforma la Chiesa in una multinazionale corrotta
e in disarmo. In questo vuoto si è compiuta la secolarizzazione, «il
salto nel vuoto etico», come l’ha definita Scoppola. Quell’attitudine
contemporanea a non credere in un dio o in una religione che è finita
per capovolgersi nel nichilismo, ovvero nell’impossibilità o
nell’incapacità di credere a qualcosa. E, sul fronte opposto, la
crescita della reazione. Un cristianesimo dell’eternità, ben
rappresentato dal ministro Fontana e dalla sua guida spirituale don
Wilmar Pavesi, raccontato da Elena Testi. Un’eternità, però, che ignora
il trascendente, perché la partita si gioca tutta qui e ora, su questa
terra, in questa Europa e in questa Italia, nella politica, una sfera
non più distinta dalla religione. Un processo lungo: già all’inizio
degli anni Novanta il Centro Lepanto attaccava il Trattato di
Maastricht, «la più grave minaccia contro gli Stati nazionali europei, e
dunque contro la stessa Europa, in questo dopoguerra», lo definiva il
professor Roberto De Mattei, animatore del centro che aveva promosso
l’attacco contro la moschea di Roma e la veglia di preghiera contro il
Gay Pride del Duemila: «L’omosessualità è un vizio infame. Ci auguriamo
che Sodoma, la città della depravazione, non sia il modello del
Parlamento europeo». Già allora il Centro Lepanto aveva intrecciato una
serie di importanti relazioni con l’Heritage Foundation, una delle culle
del pensiero neo-conservatore Usa, ma restava minoritario e isolato.
Oggi, invece, tra i fedeli solo il 33 per cento è critico con Salvini,
il 57 per cento è d’accordo con il capo della Lega, nonostante la
predicazione di papa Francesco e le ripetute prese di posizione del
quotidiano Cei, Avvenire. E concetti fino a poco tempo fa impresentabili
risuonano dalla bocca di un prete che un ministro della Repubblica
frequenta ogni mattina. C’è una semplice domanda per il ministro Fontana
che ha giurato fedeltà alla Costituzione repubblicana: condivide quanto
ha detto all’Espresso il suo consigliere spirituale e politico, perché
per i neo-reazionari la distinzione tra le due sfere non esiste? Se sì,
Fontana sarebbe un ministro che considera le donne incapaci di studio,
l’omosessualità un frutto del diavolo e l’alleanza trono-altare un
progetto possibile. Un caso unico in Occidente, almeno per ora.
All’interno della Chiesa si muove una lobby potente di mezzi e di
relazioni, spara i suoi cannoni dalla stampa di destra o da siti
influenti e militanti. Nell’indifferenza della cultura laica, ormai
insensibile al fatto religioso. Ma è un errore, perché è da questa nuova
frattura tra cristianesimo e modernità, tra cattolici e democrazia che
nasce il più feroce attacco ai diritti di tutti. Quelle chiese deserte
rappresentano un vuoto più profondo che riguarda tutti. In cui avanza un
cristianesimo in fondo ateo. Senza Dio perché senza l’uomo, senza
l’altro.