La Stampa 29.9.18
Il dado è tratto
Non esiste un piano B
di Marcello Sorgi
Come
previsto, un po’ peggio, un po’ meglio. Le reazioni alla decisione del
governo italiano di alzare il rapporto deficit-Pil al 2,4 % hanno
sollevato una tempesta sui mercati, con lo spread che per molte ore ha
viaggiato attorno ai 280 punti (300 è il limite dell’emergenza) e la
Borsa a picco, trascinata dalle banche piene di titoli di Stato da ieri
meno attrattivi e solidi. La Commissione europea, che non ha ancora
ricevuto alcun documento formale, ha risposto per bocca del commissario
Moscovici in modo meno perentorio di quanto ci si poteva aspettare,
rivolgendosi al premier Conte e al ministro Tria per avere al più presto
un chiarimento, a partire dal fatto che la Ue non è interessata a una
crisi con l’Italia.
D’altra parte, a sentire Di Maio e Salvini
(soprattutto quest’ultimo) il dado ormai è tratto e non c’è alcuna
intenzione di prevedere aggiustamenti né di fare marcia indietro. Anzi
il leader leghista annuncia che in caso di bocciatura europea il governo
«andrà avanti lo stesso», per nulla preoccupato del fatto che queste
affermazioni, lunedì, dopo il weekend di chiusura dei mercati, dovranno
fare il conto con la riapertura della Borsa e con ALLO SCONTRO CON
L’EUROPA NON CALCOLANDO LE CONSEGUENZE
di Massimo Franco
C’è
una disinvolta leggerezza, nella reazione del governo e delle sue
appendici istituzionali di fronte ai contraccolpi di una manovra
finanziaria solo annunciata. Si nota indifferenza per la crescita dello
spread, la differenza tra gli interessi dei titoli di Stato italiani e
tedeschi. Si sfidano eventuali sanzioni della Commissione europea dopo
la decisione di sfondare i vincoli di bilancio, ipotizzando un 2,4 per
cento nel rapporto deficit-Pil per i prossimi tre anni. E si
maramaldeggia contro Giovanni Tria.
Si sottovaluta l’impatto che
le dimissioni del ministro dell’Economia e del suo staff avrebbero; e
che tuttora sembrano da non escludersi, una volta presentata la Legge di
bilancio. «Siamo una famiglia di fatto», scherza il vicepremier e
leader leghista Matteo Salvini, negando qualunque contrasto. «Andiamo
d’amore e d’accordo». Il premier Giuseppe Conte, assicura di non temere
una bocciatura europea. E il ministro del M5S per i rapporti col
Parlamento, Riccardo Fraccaro, racconta: abbiamo «ricordato» a Tria «che
dobbiamo mantenere le promesse». Dopo lo strappo, la maggioranza sembra
pronta a affrontare ogni opposizione, interna e internazionale.
Qualcuno,
tra i Cinque Stelle, parla di «presa della Bastiglia» additando il
vicepremier Luigi Di Maio sul balcone di Palazzo Chigi, ieri sera,
trionfante per avere ottenuto il reddito di cittadinanza: spettacolo più
da Sud America che da Rivoluzione francese, in realtà. Ma dal punto di
vista delle forze di governo, l’entusiasmo si capisce. Non c’è nessuno
sguardo lungo. M5S e Carroccio guardano solo al proprio elettorato. Il
traguardo sono le Europee di maggio, e magari anche elezioni politiche
anticipate.
La scommessa arriva a quella scadenza, e i
«contraenti» pensano di vincerla per mancanza di avversari e abbondanza
di alleati nazionalisti e populisti in Europa. Per come hanno impostato
la politica economica, riuscendo a piegare Tria, il vero sfondamento si
registrerà nel 2019. Ieri si è avuto solo un assaggio: una strategia di
ritorsione contro un establishment percepito come fallimentare; e che
può essere sfidato nelle istituzioni italiane e a Bruxelles.
Il
presidente della Camera, Roberto Fico, puntella il governo parlando di
«iniezione di liquidità nell’economia reale»; e negando una volontà di
scontro con l’Ue: affermazione singolare mentre se ne creano le
condizioni. E i governi del Pd sono accusati di avere fatto proposte
simili, sul rapporto deficit-Pil. Se l’economia andrà male, la colpa
sarà scaricata magari su «chi soffia sullo spread». Eppure, i pasticci
sul decreto per la ricostruzione del ponte di Genova crollato a
Ferragosto, vistato ieri dal Quirinale, non depongono bene sulla
capacità di M5S e Lega di governare le crisi.gli spread. La sferzata di
ieri, per quanto a metà giornata abbia fatto temere il peggio, ha ancora
un che di interlocutorio, come se gli investitori internazionali
stessero valutando se la situazione dei conti italiani possa sfuggire al
controllo, e soprattutto cosa accadrà quando la manovra arriverà in
Parlamento, soggetta a un’ondata di emendamenti che se non tenuta a bada
dal governo comporterebbe altri sforamenti di deficit e debito.
Chiamati
come interlocutori da Moscovici, Conte e Tria, come s’è visto negli
ultimi giorni, non hanno margini per spingere i due vicepremier ad
atteggiamenti più responsabili. Malgrado la tempesta di ieri, insomma,
non c’è un piano B.