mercoledì 12 settembre 2018

Il Sole Domenica 9.9.18
Oltre il mito. Giulio Guidorizzi riscrive la vita di Odisseo e squarcia la classica tela narrativa fatta di tempeste, ciclopi, sirene e perfide maghe. L’avventuriero è raccontato «da fuori», visto dai comprimari dell’epica vicenda
Ulisse, ora sappiamo chi sei
di Piero Boitani


L’imperatore Adriano, pare, domandò una volta all’oracolo di Delfi quale fosse l’origine di Omero e di chi fosse figlio. La Pizia rispose con un vaticinio in esametri che diceva: «Sconosciuta è la stirpe e la patria che mi domandi / della divina sirena. Ma sua sede è Itaca, / Telemaco il padre ed Epicaste di Nestore figlia / la madre, che lo generò tra i mortali di gran lunga in tutto sapiente (pánsophon)». Ulisse, secondo questi quattro versi, sarebbe insomma il nonno di Omero, Omero il nipote di Ulisse «onnisapiente». Ne deriverebbe, dopo l’uscita di questo libro, che Giulio Guidorizzi, in quanto discendente di Omero, è (n volte) pronipote di Ulisse. È divertente immaginarlo. Senonché Guidorizzi stesso dedica il libro a suo figlio … Ulisse. E allora tra nonni, padri e figli non si capisce più nulla, e sembra di trovarsi in un racconto di Borges come L’immortale, che proprio di Omero e Ulisse tratta.
L’apologo, però, contiene un nocciolo di verità. In primo luogo perché Giulio Guidorizzi ha già pubblicato Io, Agamennone (Einaudi, 2016: Sfidare Apollo, splendida follia, «Domenica» dell'8 maggio 2016), e sta per pubblicare Il grande racconto della guerra di Troia (Il Mulino). Con quest’ultimo verrà così a comporsi una (prima?) trilogia mitica che forse anche l’antenato di Guidorizzi, Omero, avrebbe invidiato. In secondo luogo, perché Guidorizzi condivide col padre o con il figlio, Ulisse, la straordinaria abilità di narrare. Quella che incanta i Feaci quando lo straniero che si è appena rivelato comincia a raccontare le sue avventure: «Troia era caduta per l’astuzia di quell’uomo che stava insieme a loro, questo era vero, lo dicevano tutti. Ma molto meglio che ascoltare i racconti del cantore era sentire le parole dello straniero; e vederlo mentre parlava e si guardava intorno con i suoi occhi acuminati come una spada. Nessuno fiatava, le loro menti erano prese in una rete. Le parole uscivano dalla bocca dello straniero come da una cascata; sapeva raccontare, sapeva alternare i silenzi con le parole e la sua voce era bellissima». Parola di Nausicaa. Le tue storie le racconti come uno che sa, come un aedo, dice il padre, il re dei Feaci Alcinoo, a Ulisse, nell’Odissea.
Nessuno può resistergli, quando racconta: non Circe, non Calipso, che devono aver trascorso parte degli otto anni ad Eea e a Ogigia stando a sentirlo; non Eumeo, non Penelope. E neppure, nei tremila anni che ci separano da lui, un Virgilio, un Ovidio, un Dante. No: non Tennyson, Conrad, Joyce, Giono, e tutti quelli che hanno provato a narrarlo di nuovo. L’Odissea, questo primo romanzo del mondo, Guidorizzi la srotola, la stende e la riavvolge come la tela che Penelope tesse di giorno e disfa di notte. Una tela che copre tutta una parete. Sottile, lavorata ad arte, piena di mostri, uccelli, piante; un polipo che circonda i pesci con i suoi tentacoli; guerrieri sui carri; il mare viola, una barca che si avvicina a un’isola. Penelope «ci ha messo la sua anima, tessendo d’istinto quello che le veniva in mente di giorno in giorno; poi la notte, quando la disfaceva, vedeva le forme annullarsi e svanire come ingoiate dall’aria; e il giorno dopo ritessendola ne creava di nuove». A Penelope piace fare e disfare e rifare, e vorrebbe continuare la tela anche dopo il ritorno di Ulisse.
Allo stesso modo procede il racconto di Ulisse: come la sabbia increspata dal mare, che disegna sulla riva un’esile, scura linea appena percettibile, cancellata a ogni respiro delle onde e subito rifatta. Così, per esempio, l’incontro con Polifemo si trova, insieme alla tela, in un capitolo non per nulla intitolato Diéghesis: cioè racconto. Che, sin dall’inizio, sembra immerso in un sogno, come quello che avvolge le notti di Penelope. Ma è un sogno vividissimo, quasi fossimo ne Il mondo come meditazione di Wallace Stevens, dove Penelope, nel dormiveglia del mattino, sente una forma di fuoco che si avvicina alle sue cretonne e dubita e medita, e la meditazione è il mondo: «È forse Ulisse che sopraggiunge dall’oriente, / interminabile avventuriero?». Un sogno creatore, dalle partiture perfettamente cadenzate: Onéirata, Xenía, Aoidé, Eschatiá, Kóre, Diéghesis, Nóstos, Mégaron: le parole greche non appaiono vezzi di studioso, ma danno struttura e forma alla narrazione, come i titoli dall’Odissea negli schemi dell’Ulisse che Joyce distribuiva agli amici. Costruiscono impalcature narrative, segnando progressi, scarti, regressi, pause, sorprese e suspense: perché allo stesso tempo riscrivono e interpretano la narrazione originaria, l’Odissea. Perciò, il lettore che conosce l’originale omerico si gode Ulisse doppiamente, come chi, osservava il filosofo, ascolti musica che già conosce: la prima volta, infatti, si trattava di «acquisire conoscenza», ma la seconda di «riconoscerla».
Nella sequenza cangiante di Ulisse c’è polifonia da contrappunto: il racconto è molto spesso fatto dai, o dalle, protagoniste, in prima persona, ma queste voci hanno il medesimo ritmo incantatorio: attorno al sogno, unificano. Conferiscono urgenza interiore, danno l’impressione di rivelare i motivi che muovono i personaggi, al punto che Ulisse avvince come un romanzo psicologico moderno. Irresistibile, per esempio, la voce di Nausicaa, la kóre al centro del libro. In quella voce vediamo per la prima volta Ulisse da fuori, quale lo vede lei – e lei invece come riverbero: «Ha cominciato a parlare da lontano, appena fuori dal canneto, tendeva le mani a supplicare e ho capito che non mi avrebbe fatto del male. Aveva una voce profonda e armoniosa, non ho mai sentito una voce così bella, e sceglieva le parole giuste…Mi ha pregato; ha detto che ero bellissima, come una giovane palma: così ha detto, una palma, e mi ha stupita perché da noi nessuno paragonerebbe una persona a un albero. Ha lodato i miei capelli biondi e i miei occhi celesti come acqua chiara, dicendo che solo le dee li hanno così... Ho sentito qualcosa d'insolito nel cuore, mai nessuno li aveva paragonati a un cielo così bello».
La morte che s’agita sul fondo di Ulisse con le misteriose Sirene e l’incontro con la madre all’Ade non riesce a turbare né la felicità che Ulisse e Penelope tenacemente perseguono per vent’anni né quella di Guidorizzi narratore: il quale assomiglia sempre di più a quel che Aristotele dice di se stesso: più invecchio, più mi scopro amante del mito. Nell’ultima pagina di questa bellissima riscrittura Ulisse e Penelope sono finalmente a letto insieme. Allora, dopo l’amore e i racconti, Penelope prende la spada del suo uomo e squarcia, infine, la tela.
Il Sole Domenica 9.9.18
Ulisse. L’ultimo degli eroi
Giulio Guidorizzi
Torino, Einaudi, pagg. 195, € 14.
In libreria dal 4 settembre