Il Sole Domenica 23.9.18
Bella scoperta. Ritrovato l’autografo
della celebre lettera galileiana inviata a Benedetto Castelli il 21
dicembre 1613, all’origine dello scontro con la Chiesa
L’autocensura di Galileo è riemersa a Londra
di Paolo Galluzzi
Direttore del Museo Galileo
Di
Galileo si pensa di conoscere ormai tutto o quasi. E con alle spalle
una tradizione storiografica più di tre secoli, non ci si aspetta certo
di trovare nuovi documenti che illumino episodi importanti delle sue
vicende biografiche. Ma le ricerche d’archivio riservano talvolta
sorprese, facendo riemergere testi che si consideravano
irrimediabilmente perduti. Ed è proprio quello che è accaduto alcune
settimane fa quando alla Royal Society Library di Londra è stato
rinvenuto l’autografo della celebre Lettera di Galileo a Benedetto
Castelli del 21 dicembre 1613. Un documento di inestimabile valore – la
prima delle celeberrime Lettere Copernicane – che è in realtà un breve
trattato in forma epistolare, nel quale Galileo espone per la prima
volta la propria visione dei rapporti tra scienza e religione,
rivendicando la piena autonomia della ricerca scientifica dalla
teologia, e difende il sistema copernicano dalle accuse di
inconciliabilità con la Sacra Scrittura.
La scoperta di questo
autografo – una delle acquisizioni più rilevanti degli ultimi decenni
per quanto attiene agli studi galileiani – è il frutto delle ricerche
intraprese grazie al PRIN (Progetto di rilevante interesse nazionale)
«Scienza e il mito di Galileo in Europa tra il XVII e il XIX secolo»,
finanziato dal MIUR e coordinato da Massimo Bucciantini dell’Università
di Siena, che vede coinvolti studiosi di diverse università italiane in
collaborazione con il Museo Galileo di Firenze. In tale contesto,
l’unità locale dell’Università di Bergamo, responsabile delle indagini
sulla fortuna di Galileo nell’Inghilterra del XVII secolo, ha incaricato
Salvatore Ricciardo, assegnista in quell’Ateneo, di verificare se nelle
edizioni di opere galileiane possedute da British Library e Royal
Society fossero presenti glosse marginali, commenti o note di lettura.
Ricciardo
ha notato che nel catalogo dei manoscritti della Royal Society era
segnalata una lettera di Galileo a Castelli, datata 21 ottobre 1613.
Ottenuto in consultazione il documento, si è accorto che la data in
calce era diversa: 21 dicembre 1613, perfettamente coincidente con
quella della lettera copernicana al Castelli. Vi ha inoltre verificato
la presenza di numerose cancellature e correzioni della medesima mano.
Ricciardo si è affrettato a inviarne una riproduzione fotografica a
Franco Giudice e a Michele Camerota, responsabili rispettivamente delle
unità locali dell’Università di Bergamo e di quella di Cagliari, oltre
che direttori, insieme a Massimo Bucciantini, di «Galilaena», la rivista
internazionale del Museo Galileo specializzata in studi galileiani.
Dopo accurati controlli, anche di tipo grafologico, i tre studiosi sono
giunti alla conclusione che la lettera della Royal Society è senza
dubbio di mano galileiana.
L’esistenza di questo importantissimo
documento non è stata mai segnalata in precedenza, nonostante fosse
registrato nel catalogo dei manoscritti della Royal Society fin dal
1840, e sia indicato nel catalogo online della prestigiosa istituzione
britannica. Finora la Lettera a Castelli era conosciuta soltanto
attraverso copie manoscritte: i dodici testimoni collazionati da Antonio
Favaro per l’edizione critica del documento pubblicata, nel 1895, nel
quinto volume dell’Edizione Nazionale delle Opere di Galileo.
Il
ritrovamento dell’autografo rappresenta molto più di una mera
acquisizione documentaria, poiché obbliga a riconsiderare non solo la
dinamica di stesura del testo, ma, soprattutto, la storia della sua
immediata ricezione e la funzione decisiva che recitò nel motivare le
autorità ecclesiastiche ad assumere un atteggiamento di risoluta
opposizione nei confronti delle novità celesti galileiane. La Lettera a
Castelli è infatti all’origine delle vicende che porteranno nel 1616
alla sospensione del De revolutionibus di Copernico e all’ammonizione
del cardinale Bellarmino a Galileo ad abbandonare la dottrina
copernicana.
L’autografo della Lettera permette di ricostruire
anche il modo nel quale Galileo reagì alla notizia che la missiva al
Castelli era finita nelle mani degli occhiuti censori. Vivamente
preoccupato dalla vasta circolazione del documento, il 7 febbraio 1615,
il domenicano fiorentino Niccolò Lorini ne aveva infatti inviata copia a
Roma, denunciando come «sospette e temerarie» le teorie espostevi da
Galileo; il quale – prese cura di sottolineare – «seguendo le posizioni
di Copernico» ardiva presentare come vera un’opinione «in tutto
contraria alle Sacre Lettere». Una settimana più tardi, Galileo inviò a
Roma al fidato amico Monsignor Piero Dini la versione della Lettera
redatta «nel modo giusto che l’ho scritta io», manifestando il sospetto
che «forse chi l’ha trascritta può inavvertitamente aver mutata qualche
parola», facendo «apparire le cose molto diverse dalla mia intenzione».
Galileo chiese a Dini di far leggere la versione “autorizzata” della
Lettera al matematico gesuita Christoph Grienberger e soprattutto al
cardinale Bellarmino, il principale teologo del Sant’Uffizio.
Rispetto
agli altri testimoni pervenutici, la copia trasmessa a Roma da Lorini,
conservata presso l’Archivio Segreto Vaticano (contrassegnata dalla
sigla Pr), contiene un significativo numero di varianti, che evidenziano
il ricorso a espressioni più dirette e perentorie sulla mancanza di
autorità delle Scritture Sacre nelle questioni naturali. Favaro segnalò
quelle varianti, ma, giudicando l’esemplare vaticano lontano dalla
«lezione genuina», esemplò la propria edizione sugli altri testimoni.
Esattamente come Galileo, Favaro sospettava che Lorini avesse
interpolato il testo della Lettera per farne risaltare maggiormente le
pericolose implicazioni teologiche.
L’autografo appena riemerso
dal lungo oblio racconta una storia diversa. Anzi, capovolge i termini
stessi della ricostruzione fin qui dominante. Le numerose parole e
intere frasi cancellate ed emendate nel manoscritto della Royal Society
trovano infatti corrispondenza speculare nella copia trasmessa a Roma da
Lorini. A titolo di esempio, Galileo aveva originariamente scritto che
la Bibbia contiene «molte proposizioni false quanto al nudo senso delle
parole». Tale espressione, che ricorre tale e quale in Pr, venne
successivamente sostituita da quella, meno censurabile teologicamente,
tramandata dal resto della tradizione manoscritta: «molte proposizioni
le quali, quanto al nudo senso delle parole, hanno aspetto diverso dal
vero».
L’accurato esame dell’autografo induce a concludere che Pr
rappresenta una copia fedele del testo inviato a Castelli da Galileo, il
quale, venuto a conoscenza della denuncia, si preoccupò di moderare le
espressioni che temeva potessero urtare la sensibilità degli
inquisitori. Il documento della Royal Society impone dunque non solo di
riconsiderare il processo di compilazione della Lettera a Castelli, ma
getta nuova luce sulle vicende che nel marzo 1616 portarono alla
condanna del copernicanesimo.
La scoperta fornisce solida base
documentaria alla tesi formulata da Mauro Pesce in un saggio del 1992
apparso su «Filologia e critica», nel quale contestò che Pr fosse stato
artatamente manipolato da Lorini. Pesce vi sostenne – oggi possiamo dire
a ragione – che il codice dell’Archivio Segreto conteneva la copia
fedele della stesura originaria della Lettera a Castelli modificata
successivamente da Galileo. L’autografo spiega, tra l’altro, perché,
nonostante le pressanti richieste degli inquisitori, Benedetto Castelli
non consegnò mai l’originale della lettera galileiana in suo possesso:
avrebbe infatti dovuto spedire ai censori un testo identico a quello
trasmesso a Roma da Niccolò Lorini.
Camerota, Giudice e Ricciardo
pubblicheranno a breve una nuova edizione critica e un dettagliato
studio storico sull’autografo della Lettera a Castelli, che lascia
intravedere promettenti prospettive di approfondimento delle
ricostruzioni tradizionali dei drammatici eventi innescati dalla
trasmissione alle autorità ecclesiastiche romane della copia della
lettera galileiana del dicembre 1613.