il manifesto 9.9.18
La pillola amara del «non detto»
Medicina.
Molti ricercatori sono finanziati dalle società farmaceutiche.
Dovrebbero dichiararlo, ma un nuovo studio dimostra che i conflitti di
interesse vengono spesso nascosti. E a farne le spese sono i malati
di Andrea Capocci
«Quando
queste cose si verificano in politica, parliamo di corruzione. In
medicina, sono solo una nota a pié di pagina». Così scrive Vinay Prasad a
proposito dei conflitti di interesse che toccano settori sempre più
ampi della medicina. Prasad è un oncologo trentaseienne dell’università
di Portland, Oregon. Da anni denuncia con scientifica puntualità
l’influenza delle società farmaceutiche su coloro che dovrebbero
verificare l’efficacia e la sicurezza di farmaci e terapie. Anche se
queste relazioni pericolose influenzano i risultati delle ricerche, non
si tratta di pratiche illegali. Ai ricercatori finanziati dalle società
farmaceutiche è richiesto solo di dichiararlo in calce agli articoli
scientifici. Una riga e poco più, appunto.
Eppure, anche questo
minimo esercizio di trasparenza molto spesso viene eluso. Lo dimostra
una ricerca pubblicata dall’autorevole Journal of the American Medical
Association (Jama) e firmata da ricercatori delle università
dell’Oklahoma, del Texas e dell’Oregon.
SECONDO LO STUDIO, la
maggior parte degli oncologi che verificano l’efficacia dei farmaci
antitumorali approvati negli Usa ha ricevuto finanziamenti dalle società
farmaceutiche che producono quelle stesse terapie. E, cosa più
preoccupante, un terzo degli scienziati nasconde del tutto o in parte i
finanziamenti ricevuti.
Che i controllati finanzino i controllori è
una pratica poco tranquillizzante ma non deve stupire più di tanto,
visto come funziona il mercato farmaceutico. Prima di entrare in
commercio, un farmaco deve superare una serie di esami, detti «trial»,
per dimostrare che la nuova medicina è sicura ed efficace. Le società
farmaceutiche commissionano questi studi a ricercatori di università e
centri di ricerca pubblici e privati, molto spesso in cambio di
finanziamenti per loro o per i laboratori in cui lavorano. Gli
scienziati dovrebbero garantire che gli studi siano obiettivi e, nel
migliore dei casi, li pubblicano sulle riviste scientifiche, che con la
peer review operano un ulteriore filtro.
ALLA FINE DEL PROCESSO,
gli esperti delle agenzie pubbliche – la Food and Drug Administration
(Fda) negli Usa, e la sua omologa Agenzia Europea del Farmaco (Ema) –
controllano che i dati siano sufficienti ad autorizzare la
commercializzazione del farmaco. Dato che i medicinali producono lauti
profitti per le società farmaceutiche, esse hanno tutto l’interesse a
svolgere questo iter nel modo più rapido e con un esito positivo.
LA
PROCEDURA SI PRESTA a distorsioni anche quando le regole vengono
rispettate e i dati vengono raccolti e divulgati senza palesi
manipolazioni. Secondo uno studio del 2010, nei trial realizzati con
finanziamenti pubblici il 50% di essi ha esito positivo; se i soldi li
mette l’industria privata (dichiarandoli) questa percentuale sale
magicamente all’85%. Vietare alle società di finanziare i trial
garantirebbe una maggiore obiettività ma, senza un’iniezione di fondi
pubblici alla ricerca, impedirebbe a molti medicinali di arrivare nelle
farmacie e negli ospedali, e in fin dei conti ai malati.
Dunque la
Fda permette che le aziende farmaceutiche finanzino i ricercatori a
patto che dichiarino i loro conflitti di interessi. Questo compromesso
tra profitto e trasparenza è assai difficile da mantenere, come
dimostrano gli scandali ricorrenti e la sfiducia diffusa, monetizzata a
scopi elettorali dal M5S.
Il delicato equilibrio salta del tutto
se i dati vengono truccati e, come dimostra la ricerca su Jama, i
conflitti di interesse non vengono nemmeno dichiarati. Sul campione di
344 oncologi coinvolti nei «trial» di farmaci anti-tumorali approvati
tra il 1 gennaio 2016 e il 31 agosto 2017, i ricercatori hanno
confrontato i conflitti di interesse dichiarati e quelli che registrati
sulla banca dati «Open Payments», un sito Internet su cui le società
farmaceutiche pubblicano i finanziamenti erogati. È così emerso che il
32% dei ricercatori ha dichiarato per nulla o solo in parte i propri
conflitti di interessi alla Fda. Dei 216 milioni di dollari erogati
dalle case farmaceutiche (circa settecentomila euro a testa per i
ricercatori), alla Fda sono stati dichiarati solo 136 milioni di
dollari, il 63% del totale. Il 37% dei finanziamenti sono stati dunque
nascosti dai ricercatori.
LA PRATICA RIGUARDA soprattutto gli
autori degli studi più prestigiosi, che dovrebbero essere al di sopra
dei sospetti, pubblicati sulle riviste più autorevoli in ambito medico:
Lancet, New England Journal of Medicine, e lo stesso Journal of the
Medical Association che pubblica la denuncia. Dunque, anche il filtro di
qualità delle riviste scientifiche dimostra di non funzionare. Eppure, i
dati sono pubblici: basterebbe cercarli su piattaforme come «Open
Payments».
Negli Usa, dichiarare alla Food and Drug Administration
i propri legami con le case farmaceutiche è un obbligo stabilito per
legge, ma le violazioni delle regole sono numerose e sostanzialmente
impunite. Ne risente la qualità delle ricerche, meno controllate e
scientificamente inaffidabili. A farne (letteralmente) le spese sono i
malati. Una ricerca del 2017 dello stesso Prasad dimostra che oltre la
metà dei principi attivi anti-tumorali approvati dalla Fda e dall’Ema
tra il 2009 e il 2013 non è risultata più efficace di quelli già in
commercio, nonostante i farmaci innovativi avessero superato
brillantemente i trial clinici. Però, mentre per quelli più «anziani»
sono disponibili gli equivalenti «generici», le nuove medicine costano
molte migliaia di dollari in più, a carico dei sistemi sanitari pubblici
o delle assicurazioni private. Soldi che potrebbero essere dedicati
allo sviluppo di terapie più valide.
Il problema non riguarda solo
i medici (e i malati) statunitensi: nella stragrande maggioranza dei
casi, i farmaci sono autorizzati in Europa sulla base degli stessi dati
presentati negli Usa. Dunque, i conflitti di interesse dichiarati o
nascosti dai ricercatori americani influenzano anche il mercato
farmaceutico europeo.
Inoltre, gli studi sui conflitti di
interesse tra società farmaceutiche e ricercatori riguardano
direttamente anche l’Europa, e l’Italia in particolare. Secondo una
ricerca del 2016 pubblicata dalla rivista BMJ Open, il 65% delle
associazioni mediche italiane è sponsorizzato da società farmaceutiche,
ma solo il 6% di esse le riporta in un bilancio annuale.
NEI
PROSSIMI MESI la questione potrebbe diventare scottante anche per l’Ema,
dove vengono autorizzate le medicine per il mercato europeo. L’Ema sta
per trasferirsi da Londra ad Amsterdam a causa della Brexit, ed è
prevedibile che molti dipendenti lascino l’agenzia per ragioni
personali. Attualmente, il personale che lascia l’agenzia per due anni
non può lavorare per una società privata che abbia a che fare con
l’agenzia stessa. La norma serve ad impedire, ad esempio, che una
società farmaceutica assuma un controllore particolarmente severo per
sfruttarne le competenze dall’altra parte della barricata. Ma in un
rapporto pubblicato in aprile, l’Ema ha annunciato che, per facilitare i
trasferimenti nel periodo di transizione, la regola anti-conflitto di
interessi potrebbe essere sospesa.
SCHEDA
Dal 17 luglio, gli
abbonati a Netflix possono vedere in esclusiva The bleeding edge,
documentario diretto da Kirby Dick disponibile anche nella versione in
italiano. È un durissimo atto di accusa contro le case farmaceutiche,
responsabili di aver messo in commercio dispositivi medici pur
conoscendone l’inefficacia e la pericolosità. Attraverso immagini
esplicite, dati e interviste ai pazienti (soprattutto donne), il doc
racconta come l’industria farmaceutica influenzi le agenzie che
dovrebbero vigilare, e convinca i medici a servire i suoi interessi. La
Bayer, produttrice del contraccettivo femminile Essure (al centro di una
delle vicende narrate), ha bollato come «manipolatorio» il film,
citando documentazioni scientifiche favorevole al suo prodotto.
Nonostante questo, ha annunciato il ritiro dal mercato di Essure dal
mercato statunitense alla fine del 2018. A causa delle segnalazioni, il
dispositivo era già stato ritirato dal mercato europeo.