il manifesto 22.9.18
Le coscienze scosse da Rebibbia e la rivoluzione copernicana necessaria
Carcere. Tossicodipendenti e malati psichici nelle celle
di Patrizio Gonnella
Le
carceri sono stracolme di persone che hanno problemi di salute fisica e
psichica, nonché di persone che in qualche modo hanno avuto una storia
più o meno lunga di dipendenza con le sostanze stupefacenti. Non è
facile censirle tutti, ma una sorta di indagine globale penitenziaria
biografica potrebbe forse ben dimostrare che la maggioranza delle
persone recluse è costituita in qualche modo da potenziali utenti del
sistema del welfare.
Quando accadono fatti tragici come quello
recente di Rebibbia ci si stupisce, indigna, commuove. La morte di due
bimbi innocenti sconvolge le coscienze. È però importante che le
coscienze sconvolte si trasformino in coscienze critiche. In carcere vi è
la sofferenza delle nostre periferie, si incontrano gli scartati di un
sistema di welfare in crisi. Accade però che le istituzioni si lavino le
coscienze sospendendo dal servizio funzionari di alto profilo umano e
professionale e non guardino minimamente al modello sociale e penale
dentro cui stiamo tutti affondando.
La vicenda è trattata in modo
non complesso come se quelle due vite tenere potessero essere salvate
tenendo ammanettata a vita la mamma oppure ponendo madre e figlia sotto
controllo ossessivo. Non ci si interroga invece sul fatto che il modello
proibizionista e securitario produce dolore, violenza, ghettizzazione.
Non ci si interroga sul fatto che in Italia è morto il dibattito intorno
a un differente trattamento della questione droghe, che invece continua
a essere chiusa dentro il circolo vizioso di una ideologia repressiva e
illiberale. Quante vite avremmo salvato, a partire da Stefano Cucchi,
se i nostri giovani non avessero dovuto rischiare la libertà personale
in quanto consumatori di sostanze?
Nelle scorse settimane è stata
pubblicata la nuova edizione di uno straordinario volume scritto dal
compianto Massimo Pavarini e da Dario Melossi (Carcere e fabbrica, Il
Mulino). Andrebbe letto e spiegato a chi semplifica la tragedia di
Rebibbia e la tratta come un fatto di custodia male organizzata.
Il
carcere è selettivo e seleziona sulla base della classe di
appartenenza, della nazionalità, del censo, della salute psico-fisica.
Il carcere, grazie a molti operatori (direttori, poliziotti, educatori,
assistenti sociali, medici, psicologi) appassionati e bravi come quelli
che operano nella sezione femminile di Rebibbia diventa una sorta di
tempo supplementare dove a volte è possibile rientrare in contatto con
il mondo perso dei servizi. Doppie e triple diagnosi sono spesso per la
prima volte certificate dentro gli istituti di pena. Detenuti con gravi
problemi psichici o di dipendenza sono talvolta affidati alle sole mani
dello staff penitenziario.
Ci vorrebbe invece una rivoluzione
copernicana, a partire da un’inversione delle politiche proibizioniste
sulle droghe (come ha fatto di recente il Sudafrica) fino a un massiccio
investimento di risorse nel sistema socio-sanitario.
In attesa
della rivoluzione copernicana speriamo che, così come molte associazioni
laiche e cattoliche hanno richiesto, si riammettano in servizio le
brave e qualificate dirigenti del carcere femminile di Rebibbia sospese
dal ministro di Giustizia Bonafede.