Corriere 14.9.18
«Sfruttiamo l’arma dell’ironia per offrire spunti di riflessione»
Riparte «Propaganda Live». Zoro: mi farei tatuare gli elogi di Mattarella
di Renato Franco
«Uno
sguardo scanzonato ma mai banale sulla politica». L’applauso del
presidente della Repubblica Mattarella, Diego Bianchi — per tutti Zoro —
se lo farebbe scrivere sul corpo: «Potrebbe essere il mio primo
tatuaggio; è la sintesi perfetta di quello che facciamo e sono parole
che danno sostanza anche al nostro lavoro. Possiamo sembrare degli
amabili cialtroni che non prendono niente sul serio, usiamo diversi
registri e linguaggi — l’ironia è uno di quelli più importanti — ma
cerchiamo sempre di dare anche spunti di riflessione».
Quello non
era stato l’unico complimento di Mattarella, che aveva anche definito
Propaganda Live una trasmissione che «mi fa divertire». La giostra si
riaccende stasera alle 21.10 su La7. I compagni di Zoro sono quelli
consolidati: Makkox (Marco Dambrosio) con la graffiante satira delle sue
vignette, gli opinionisti Marco Damilano e Francesca Schianchi e
l’inviato Mirko Matteucci (per chi va in taxi Missouri 4). Oggi tra gli
ospiti in studio ci sono Giovanni Floris, Ottavia Piccolo, Lirio Abbate,
Aboubakar Soumahoro, Memo Remigi, Paolo Celata, Constanze Reucher. In
scaletta un reportage da Genova e — ovvio — la Social Top Ten.
Zoro, lei si è laureato nel 1994 con una tesi sulla Lega Nord. Ci aveva visto lungo?
«Il
mio professore era Domenico Fisichella ma alla tesi non venne perché
nel frattempo era entrato nel governo Berlusconi come ministro. Il mio
lavoro era concentrato su Milano, ai tempi la sfida era tra Formentini e
Dalla Chiesa. Allora si parlava di governo locale, poi la questione è
evidentemente degenerata».
Che ne pensa di questo governo?
«Mi
devo sempre ripetere che questo è il governo Conte, perché se no me lo
scordo. Ormai in Italia è passato il concetto che il presidente del
Consiglio non c’è. Siamo all’avanguardia».
Cosa la colpisce di più di Salvini?
«Mi
colpisce la totale immunità del suo elettorato a qualunque cosa dica —
anche la più sorprendente. Un discorso che vale anche per Di Maio: lo
sentivo parlare dei 49 milioni di euro fatti sparire dalla Lega e mi
sentivo in profondo imbarazzo, anche fisico, per lui. Come fai a essere
alleato con la Lega dopo aver parlato sempre di trasparenza e onestà? È
un esempio, ma potrei farne molti. Salvini e Di Maio sono riusciti ad
anestetizzare il loro elettorato».
E del Pd cosa la sorprende?
«La
lentezza ai limiti dell’autolesionismo. Mentre gli altri vanno avanti,
il Pd è nelle sabbie mobili della fase renziana. È un partito che si è
appiattito su posizioni che non sono mai appartenute alla sua storia: a
quel punto l’elettore decide di votare l’originale, non la copia».
La Rete ha sancito la vittoria dell’incompetenza?
«La
cultura è diventata un disvalore, ormai basta aver letto un libro in un
anno per essere considerato élite. Il web però è solo uno strumento,
non è negativo di per sé. Come non lo sono né la tv né i social. È l’uso
che se ne fa che gli dà una connotazione piuttosto che un’altra».
Lei è di sinistra...
«Non del Pd».
Da sinistra come ci si sente a raccontare le vittorie degli altri?
«Ci
aiuta l’illusione di partecipare. In questo momento politico la nostra è
una vita di indicibile sofferenze con sporadiche gioie».