Corriere 10.8.18
L’avanzata dell’ultradestra
Socialdemocratici
ancora primo partito in Svezia. Il partito dell’ultradestra sale ma non
sfonda. E per il Ppe si presenta il problema dell’ingresso nel gruppo
dei populisti. alle pagine 2 e 3
Il partito antimmigrazione al
17,6%. Sinistra in calo ma prima (26%) Parità tra il blocco rosso-verde e
il centrodestra. Governo difficile
Svezia, uno su 6 sceglie i sovranisti
di Francesco Battistini
STOCCOLMA
Go, Jimmie, go? Bisognerà sfogliare ancora per un po’ la margherita
gialloblù, il simbolo dei sovranisti, per sapere se gli svedesi l’amano
davvero: il populista antimigranti Jimmie Akesson avanza, sì, ma non
stravince. Lo vota quasi uno su sei, che nella sempre meno tollerante
Svezia è già molto. E fa il previsto balzo, dal 13 a una percentuale del
17,6. La sua Sd, Svezia Democratica, prende il vento antitutto che
spira dal resto d’Europa. Ma non approda alla leadership e forse non
sarà neppure secondo partito: gli eterni socialdemocratici calano
intorno al 26-28 per cento, quel che si sapeva, ma la loro è in fondo
una demolizione controllata. E restano pur sempre il primo simbolo del
Paese, anche se i loro alleati verdi rischiano fino a notte fonda
l’esclusione dal Parlamento. Ed è possibile che rimangano al governo,
nonostante il peggior risultato da un secolo a questa parte.
Come
in una sindrome, Stoccolma giura amore ai custodi di sempre, alle
coalizioni della stabilità e dell’europeismo. Il blocco del
centrosinistra cala di molto, quello di centrodestra sale un po’, e alla
fine s’equivalgono: più o meno al 39 per cento ciascuno, divise dal
buco nero di Jimmie. Il Riksdag è ingessato, le trattative per una
maggioranza sono aperte. Dalle alchimie della politica svedese, abituata
ai governi di minoranza, possono uscire una conferma dell’attuale
premiership socialdemocratica, o una grande coalizione di salvezza
nazionale, oppure un esecutivo di centrodestra basato sul buon risultato
dei Moderati (che a tarda ora sembrano sorpassare Akesson)… Varie ed
eventuali sono sempre possibili: le trattative durano anche mesi, a
Stoccolma, e sul piatto c’è il buon risultato della sinistra ex
comunista (favorevole, come l’estrema destra, a una Swexit dall’Ue), dei
cristianodemocratici, d’altre sigle che vogliono pesare. «Questo è un
voto a favore del nostro welfare. E di un’idea decente della
democrazia», è felice Stefan Loefven, 61 anni, il premier uscente e
magari rientrante.
«Il nostro risultato è un segnale a tutti», fa
il contento Jimmie, arrivando nella sede del partito, aria di festa
rovinata e luci soffuse e bottiglie di magnum e colori da discoteca che
fanno quasi credere d’essere finiti al Jimmy’z di Montecarlo, anziché al
tavolo di chi vuole sbancare la politica svedese. L’aria spavalda della
campagna elettorale diventa sguardo di fatica: Jimmie prese in mano Sd a
26 anni, ragazzino che non era mai riuscito a laurearsi ma se la cavava
benissimo al videopoker, quando qui comandavano ancora i neonazi e la
margherita era una torcia fiammante, i militanti mettevano la camicia
bruna e lo spot del partito era una vecchietta svedese travolta da una
folla di donne in burka. Come tutti i leader incendiari, per non restare
fuori dai giochi, Jimmie ha capito che è l’ora del pompiere. Parla poco
di Swexit, perché domani aprono le Borse e questo è pur sempre il Paese
dei colossi Volvo ed Electrolux, Spotify e Ikea. Ripete che «siamo
conservatori sociali». Legge le congratulazioni di Salvini. E intanto
aspetta le mosse degli altri. «Secondo i grandi esportatori di vino — è
l’idea della scrittrice Ulrika Kärnborg —, per essere sicuri che una
bottiglia funzioni nel mondo, bisogna prima che funzioni in Svezia. È il
benchmark, la valutazione del consumatore medio globale. Il Paese che
assegna il marchio di conformità, ai prodotti come alle idee politiche e
sociali». A mezzanotte si sfoglia la margherita e si brinda lo stesso,
nel quartier generale di Jimmie. Ma il giovane vinello del sovranismo sa
ancora di tappo. E il vecchio vino del modello svedese non è ancora
diventato aceto.