La Stampa TutoSalute 3.7.18
Vive meglio chi ascolta l’inconscio
“I consigli per gestire la doppia vita del cervello”
Ecco la lezione dello psicologo americano John Bargh
di Marco Pivato
Tutti
abbiamo una canzone, un luogo o un ricordo che ci fa emozionare ela
scintilla avviene istantaneamente, prima di spiegarne il motivo. E poi
c’è lui che preferisce le bionde e lei che si sceglie sempre i ragazzi
che la fanno stare male. Perché siamo quello che siamo e facciamo quello
che facciamo?
Già Sigmund Freud, teorizzando l’inconscio quale
burattinaio delle nostre scelte, aveva fornito una proposta. Ma partiva
da un dogma indimostrabile. L’esistenza dell’inconscio, oggi, può essere
invece discussa scientificamente: non tanto per affermarlo o negarlo,
perché le neuroscienze già ci insegnano che, effettivamente, siamo
governati da moti inconsapevoli, ma per gestirlo, comprendere le nostre
scelte e migliorare la salute. Le istruzioni sono quelle contenute in «A
tua insaputa. La mente inconscia che guida le nostre azioni» (Bollati
Boringhieri), un’opera di John Bargh, psicologo sociale alla Yale
University.
Nonostante le tecniche di «neuroimaging» provino che
il cervello «lavora» e ci indirizza senza che noi ce ne rendiamo conto, è
difficile accettare di non essere i padroni in casa propria. Ma Bargh
elenca molti esempi a dimostrazione di quanto l’inconscio sia
produttivo. Come quando guidiamo l’auto: non siamo consapevoli di i
tutti i compiti in contemporanea di una procedura così complessa, tra
cui calcolare la forza sull’acceleratore, bilanciare la frizione,
sterzare, esaminare la strada e, nello stesso tempo, chiacchierare. La
parte cosciente si limita, per l’appunto, a conversare o ad ascoltare la
radio, mentre il resto lo fa l’inconscio. A volte, però, questa doppia
vita del cervello crea un cortocircuito, come quando due inquilini non
si trovano d’accordo su come amministrare una casa.
Un mondo fittizio
L’inconscio,
per esempio, tende a presentare il conto di un vissuto traumatico
mentre la parte cosciente lo rifiuta. Da ciò nascono le nevrosi, gli
atti mancati, i lapsus. O, nei casi più gravi, l’individuo costruisce
per sé un mondo fittizio, dove si rifugia lontano dal trauma ma anche
dalla realtà. Qui interviene il primo consiglio del professore: «Per
migliorare il dialogo tra conscio e inconscio non forzatevi di essere
sempre razionali, concedetevi di essere istintivi: la coerenza a tutti i
costi reprime la “pancia”, che poi è l’inconscio». Il capitano di una
nave non tira dritto in barba a venti e correnti, ma corregge le
manovre, quando gli elementi sono contrari, altrimenti va alla deriva.
«L’autocontrollo non si ottiene con la forza di volontà - spiega Bargh,
uscendo dalla metafora della nave -. Le persone sane e sicure di sé
agiscono spontaneamente».
Gli americani poi, si sa, sono poco
filosofi. Quindi Bargh indica come mettere in pratica tutto quanto
sopra. Se vogliamo attuare dei compiti virtuosi ma problematici (seguire
una dieta, fare esercizio fisico o studiare con regolarità),
pianifichiamo quando, dove e come attuarli. Diamoci sempre lo stesso
orario e medesime regole. Solo questa parte è «razionale», perché
«quello che è all’inizio un imperativo, se praticato regolarmente,
diventa automatico: creare una routine di spazio e tempo promuove la
ripetizione di un compito, sfruttando stimoli naturali dell’ambiente sul
nostro comportamento». È il miglior modo per non distrarsi ed evitare
le tentazioni, cose che, invece, la ragione è brava a innescare.
Esperienze e destino
Sfruttare
le automaticità dell’inconscio, quindi, paga. La fatica consiste
nell’inserire, con regolarità, i compiti che vogliamo imparare sui suoi
inconsapevoli binari. Sapere di possedere queste automaticità, poi,
serve anche a conoscerci meglio. Le sfruttano le nostre emozioni, paure e
aspettative. Per esempio un’esperienza negativa, dato che viene
rivissuta a causa del suo carattere di trauma, instaura una routine che
ci rende cronicamente timorosi verso lo stesso stimolo. Vale per tutte
le esperienze, positive e negative, che si fissano nella mente e il cui
effetto si automatizza: tendiamo a riproporre situazioni penose,
cacciandoci nello stesso guaio e quindi pensiamo di essere sfortunati.
In altre occasioni invece tutto sembra andare liscio naturalmente. Ma il
destino non esiste. Siamo quello che siamo perché vi siamo educati
inconsapevolmente. Tanto vale allenarci a conoscerlo e controllarlo.