il manifesto 3.7.18
Que viva Mexico! Svolta a sinistra nel nome di Obrador
Americhe. Vince con il 54% «Amlo» e il suo movimento anticorruzione e per la giustizia sociale, nato come costola del Prd
di Fabrizio Lorusso
LEON
(MESSICO) Il Messico cambia direzione dopo una giornata elettorale
storica, celebrata per le strade. I partiti conservatori al potere negli
ultimi decenni hanno subito una pesante sconfitta alle presidenziali di
domenica scorsa. Per la prima volta il centrosinistra governerà,
guidato da Andrés Manuel López Obrador, noto come «Amlo».
«La
terza è quella buona», ripeteva Obrador in campagna elettorale, e dopo
aver perso nel 2006 e 2012 ora ha vinto col maggior numero di voti della
storia. I problemi non sono mancati durante il voto: in alcuni Stati
gruppi armati hanno rubato o distrutto le schede e ci sono stati cinque
omicidi legati alla violenza politico-criminale. Durante la campagna
elettorale e subito prima sono stati ben 140 i politici o i candidati
assassinati.
OBRADOR-AMLO era in testa di 20 punti nei sondaggi
sugli oppositori – Ricardo Anaya del conservatore Partido Acción
Nacional (Pan), José Antonio Meade del centrista Revolucionario
Institucional (Pri) e l’indipendente Jaime Rodríguez – ma i conteggi
preliminari hanno superato le aspettative e il presidente dell’Istituto
elettorale ha comunicato che, con un’affluenza del 64%, Obrador ha il
54% delle preferenze, Anaya il 22%, Meade il 15 e Rodríguez il 5%.
La
vittoria del suo Movimiento Regeneración Nacional (Morena) si conferma
nella capitale, con Claudia Sheinbaum come prima governatrice donna
della città, e nei governi di Chiapas, Morelos, Tabasco, Veracruz. Il
Pan prende lo Yucatan e Guanajuato, ed è in bilico con il Morena a
Puebla. Il Pri perde ovunque. Nel Jalisco vince il Movimiento Ciudadano,
partitino di centrosinistra alleato col Pan.
GLI SCONFITTI e lo
stesso presidente in carica, Enrique Peña Nieto, hanno subito
riconosciuto il risultato, augurando «per il bene di tutto il Messico»
che il prossimo presidente abbia successo e garantendo un’opposizione
«responsabile e democratica». Amlo, coi suoi 64 anni spesi quasi tutti
in politica, è un dirigente navigato.
DOPO GLI INIZI NEL PRI e gli
incarichi ricoperti nel suo Stato natale, il Tabasco, s’è proiettato
sulla scena nazionale come un leader della sinistra, raccolta intorno al
Partido Revolución Democrática (Prd), e come sindaco di Città del
Messico, incarico che ha ricoperto dal 2000 al 2005.
Dopo la
sconfitte alle presidenziali del 2006 e 2012 con il Prd e la svolta
destrorsa del partito, oggi alleato del Pan di Anaya, Obrador ha fondato
il suo movimento contro le politiche neoliberali di Peña, costruendo
una formazione progressista che, tuttavia, resta gerarchica e centrata
sul leader. Amlo ha anche moderato il suo discorso politico e cercato
collaboratori vicini al mondo dell’imprenditoria per non spaventare le
classi medie e l’establishment finanziario internazionale, dato che per
anni i suoi oppositori hanno usato lo spauracchio del Venezuela e di
Chávez contro di lui.
IL MORENA ha anche stretto una discutibile
coalizione (Juntos Haremos Historia, «Insieme faremo storia»), col
Partido Encuentro Social (Pes), tradizionalista e legato alle chiese
evangeliche. L’alleanza ha ottenuto un’ampia maggioranza in Parlamento,
ma l’ala sinistra potrebbe subire i ricatti del Pes su temi come
l’aborto e le libertà civili.
«Obrador ha trionfato, malgrado
alcune incognite sul governo che verrà, perché la sua diagnosi è giusta:
il Messico è stato depredato dall’élite e da corporazioni corrotte e
ora il pendolo va a sinistra, dopo anni di concentrazione della
ricchezza, dev’esserci ridistribuzione», commenta la politologa Denise
Dresser.
Da vincitore ha esordito: «Inizia la quarta
trasformazione del Messico, la rivoluzione delle coscienze ha vinto,
questo trionfo appartiene a tutte e tutti», dinanzi a decine di migliaia
di sostenitori che hanno riempito l’immenso Zócalo, la piazza centrale
di Città del Messico, al grido di «Non sei solo», «Ce l’abbiamo fatta» e
«Fuori Peña».
Nel suo comizio ha parlato della necessità di una
riconciliazione nazionale nell’interesse generale, strizzando l’occhio a
imprenditori e investitori privati, cui ha promesso «rispetto» e il
mantenimento dell’autonomia della Banca centrale. Ha annunciato una
revisione dei contratti derivati dalla liberalizzazione del settore
energetico e l’abolizione della riforma educativa, simile alla «Buona
scuola» renziana. Il suo martellante discorso contro la corruzione e la
«mafia del potere», cioè i circoli ristretti dell’élite imprenditoriale e
politica messicana, è stato vincente perché ha catalizzato
l’indignazione generale per i numerosi scandali e sprechi di questi
anni.
«PER IL BENE DI TUTTI, prima i poveri», ha ribadito Obrador,
dichiarando come priorità la giustizia sociale, il lavoro e la lotta
contro le disuguaglianze. Recuperare l’intervento statale con politiche
keynesiane e redistributive, riformiste rispetto al neoliberismo finora
imperante, nel rispetto delle diversità e dell’opposizione politica,
sono altri punti programmatici fondamentali del Morena. In serata sono
arrivate le congratulazioni, tra gli altri, di leader come il canadese
Trudeau, il russo Putin, il boliviano Morales, lo spagnolo Sánchez e
persino di Trump, il quale ha twittato che è ansioso di lavorare con lui
perché «c’è molto da fare nell’interesse di Usa e Messico».
«Fino
all’insediamento del primo dicembre lavorerò coi membri del nuovo
governo, non perderemo tempo: raddoppieremo subito le pensioni per gli
anziani, garantendo l’universalità, e tutti i disabili poveri avranno un
sussidio», ha intanto annunciato Amlo. «Garantiremo il diritto allo
studio e al lavoro dei giovani e lanceremo progetti di sviluppo da Sud a
Nord per far restare i messicani nella loro terra», ha proseguito.
IN
CORTEO sventolavano bandiere arcobaleno del movimento Lgbtq e si
sentivano cori di giubilo. Ma la gente ha anche intonato la conta da 1 a
43 e la rivendicazione di giustizia per i 43 desaparecidos di
Ayotzinapa e gli altri 36mila, come a sottolineare che i movimenti
continueranno a portare avanti le loro domande. «Il voto a Amlo non è un
assegno in bianco», ribadiscono gli attivisti in piazza. Popoli
indigeni, comunità Lgbtq e diritti umani sono stati i grandi assenti
della campagna dei quattro candidati, ma si faranno sentire dal basso
indipendentemente da chi governi.