venerdì 8 giugno 2018

Repubblica 8.7.18
Prodi
“Un governo di destra basato su idee inconciliabili L’alternativa? Non la vedo”
intervista di Silvia Bignami


BOLOGNA Romano Prodi tra il “governo di cambiamento” gialloverde e la sinistra tutta da rifare. Tra la crisi dei partiti e quella dell’Europa. Accolto da una ovazione al Teatro Comunale di Bologna per la serata d’apertura della “Repubblica delle Idee”, l’ex premier ha risposto per un’ora e mezzo alle domande del direttore di Repubblica Mario Calabresi e di quello dell’Espresso Marco Damilano.
Professore, lei ha detto l’8 marzo, dopo le politiche, che “non c’è nulla di irrimediabile in politica, che c’è sempre futuro”. Ora però è nato il governo del cambiamento tra Lega e 5 Stelle. Lei crede al cambiamento che promettono?
«Il governo del cambiamento non è il cambiamento del governo, sono due cose distinte. Cambiamento su quale programma, innanzitutto? Il problema è vedere cosa c’è dentro questo cambiamento. Bisogna capire qual è il compromesso reale di questo accordo. Io non condanno mai prima, ma ci sono blocchi di pensiero inconciliabili al governo insieme».
Ecco, partiamo da qui. Lei pensa che sia possibile attuare contestualmente misure come il non aumento dell’Iva, il taglio delle tasse, il reddito di cittadinanza...
«Se ho detto inconciliabile ho detto inconciliabile... Ma il problema vero è un altro.
Ascoltavo il dibattito alla Camera, e mi viene da ripetere quello che ha detto il mio amico Arturo Parisi: “Io vedo una opposizione senza vedere una alternativa”. Ma non si puo fare opposizione senza alternativa, questo è il punto. L’alternativa è parte essenziale del sistema democratico».
Per costruire una alternativa bisogna capire se questo sia un governo di destra o di sinistra. E se destra e sinistra esistano ancora. È di destra questo governo, secondo lei?
«Questa per me è una soluzione di destra. E penso anche che questo discorso che non c’è piu nè sinistra nè destra è un discorso che non ha senso. Ci sono decisioni che in economia e in tutti i campi sono di sinistra oppure di destra. Oggi sono in crisi irreversibile i grandi partiti che rappresentavano sinistra e destra, ma la sinistra e la destra esistono ancora. Lo vedi nelle cose. In quello che fai, nella scuola o nel welfare ad esempio. Perchè dire che non c’è più la destra e la sinistra?
Questo è un problema serio».
Prima di questo esecutivo ha governato l’area che tradizionalmente è di sinistra...
«Ah sì?».
Lei dice di no?
«Io dico che c’è una crisi fortissima dei partiti tradizionali. Non solo della socialdemocrazia. C’è una gara a chi perde piu voti. Qui il problema è proprio ripartire ridiscutendo progetti politici del paese».
Magari partendo da un nuovo laboratorio politico per la sinistra. L’Italia è stata laboratorio per il berlusconismo, e poi per l’Ulivo. Oggi del grilloleghismo. Può aprirsi un nuovo laboratorio per la sinistra?
«Io sono un osservatore non partecipante...».
La sua tenda ora dov’è?
«La tenda è ancora sulle spalle... Però è chiaro che se vuoi offrire una alternativa devi aprire grande dibattito collettivo.
Quello che è mancato è proprio il ‘dibattito collettivo’. Non voglio dar colpa a nuovi mass media che hanno individualizzato tutto, ma se tu non coinvolgi sindacati, Confindustria, imprenditori e non si ricomincia a discutere in modo approfondito del futuro del Paese, questo Paese non riparte. Io non voglio fare il nostalgico dell’Ulivo, ma se facemmo un programma di 200 pagine è perchè avevamo discusso mesi mesi e mesi. La democrazia se perde questo aspetto di discussione e di confronto non è piu attrattiva».
Lei dice che il governo Conte è di destra, ma quale visione ha secondo lei questo governo? Qual è il suo vero collante? Forse la disintermediazione? La fine dei corpi intermedi?
«Sì. Però c’è un momento in cui “l’avvocato” finisce di parlare e arriva il giudice. Bisognerà vedere cosa fa, quali decisioni verranno prese...».
Se quel qualcosa fosse l’uscita dall’euro? Il famoso piano B del ministro Savona... Secondo lei è fattibile?
«Se qualcuno si vuole male esce dall’Europa. Noi di fronte a Stati Uniti e Cina, noi singoli paesi siamo nulla. Se l’Europa non mette insieme le sue idee va in frantumi. Io poi non voglio fare l’anti italiano ma dove lo trovate un paese che inventa un proverbio: ‘Francia o Spagna purché se magna’. È il simbolo di aver subito nel cuore l’umiliazione di questo Paese. Io spero ancora in Macron, ma se la Francia pensa di poter guidare la politica estera, e la Germania risponde ‘allora io sono padrona dell’economia’ allora l’Europa è finita».
L’entusiasmo di quella notte in cui nacque l’euro, quando lei a Vienna fece un bancomat e regalò i fiori a sua moglie, però non c’è più.
«Sì, allora c’era festa nelle strade. Ma è vero che l’euro doveva esser accompagnato da tutta una serie di decisioni economiche. Lo diceva anche Helmut Kohl. Il fatto è che sono cambiati i governi e l’Europa è rimasta un pane mezzo cotto e mezzo crudo: se vogliamo mangiare dobbiamo cuocerlo, altrimenti arriva chi dice che bisogna tirarlo fuori dal forno.
Kohl mi disse che i tedeschi erano contro l’euro ma che lui lo aveva voluto perchè suo fratello morì in guerra. È la visione di un banchiere o una visione per la pace? Altrimenti finiremo col dire, noi italiani, ‘0 America o Cina purché se magna..’”.
Oppure Russia. Questo governo ha aperto alla Russia di Putin. Ha fatto bene?
«Io ritengo che abbiamo alleanze che dobbiamo assolutamente rispettare. Da parte degli Stati Uniti dividere l’Europa dalla Russia non va bene. Le sanzioni per me non sono utili ma noi siamo in un sistema difensivo e il cambiamento deve avvenire in un accordo di questo sistema».
Al di là del tema delle sanzioni però, cresce nelle democrazie occidentali la fascinazione verso l’uomo forte. Putin, ma anche Orban. Perchè accade?
Manca la capacità di decidere alle democrazie europee?
«C’è una grande contraddizione, ci sono tempi diversi di reazione. La forza dell’economia obbliga a decidere in fretta, invece la politica nazionale fa fatica a seguire in tempi brevi. C’è una discrasia, che abbiamo visto anche negli Stati Uniti. Anche lì c’è un desiderio di autorità, per fortuna in un Paese che ha pesi e contrappesi».
È preoccupato da Matteo Salvini ministro dell’Interno?
Teme la sua politica muscolare sull’immigrazione?
«Il problema dell’immigrazione c’era anche prima. Ma io penso che finché non ci sarà pace in Libia, il problema dell’immigrazione sarà molto difficile da risolvere».
E la sinistra intanto rischia di perdersi. In questi anni i governi di sinistra si sono molto dedicati ai diritti civili, ma meno ai diritti sociali. Lo pensa anche lei?
«Perché, sono forse incompatibili?».
Appunto, lei è d’accordo?
«Se avessimo una unità di misura direi che secondo me sì, è così. C’è la sensazione che il concetto stesso di welfare sia in ritirata. Nelle trasmissioni televisive c’è questa accusa al sistema sanitario che sembra quasi dire che è meglio quello privato, benchè quello italiano sia ancora uno dei primi al mondo. E poi c’è la scuola, l’abbiamo lasciata andare. le scuole tecniche sono roba per i figli degli imigrati. Si è interrotto l’ascensore sociale, vuol dire che abbiamo peccato nel trattare i diritti sociali».
L’immagine di Conte tra Di Maio e Salvini ha ricordato a molti la foto di lei, premier, tra D’Alema e Rutelli...
Quanto durerà Conte?
«Il punto è che bisogna durare bene. Non è la durata sono le cose che si fanno. Quella mia foto rappresentava un dualismo tra governo e partito.
E qui è lo stesso. È una gara che bisogna vedere come va a finire. Se i partiti sono suggeritori della politica quotidiana allora abbiamo un premier assolutamente debole. Quel che è certo che il premier è stato costruito sui due partiti.
Vedremo».
Ma intanto lei e i padri nobili del Pd non dovreste dare una mano alla sinistra?
«Il problema è ricominciare a costruire una aggregazione di forze su diritti civili, sociali, difesa dello stato sociale, su questo non c’è alcun dubbio».
Ma lei sarà della partita?
«Io sono totalmente fuori. In politica o si sta fuori o si sta dentro. A stare in mezzo all’uscio si soffre soltanto. Una cosa la devo dire però: il prezzo del rottame in questi anni è molto salito. E questo mi consola».