Repubblica 7.6.18
L’Authority nel mirino
Il pm anticorrotti in bilico paga la nomina del Pd
di Liana Milella
ROMA
Conte contro Cantone. Il neo premier con simpatie grilline attacca l’ex
pm che la camorra voleva uccidere e che Renzi, da capo del governo, nel
2014 ha messo ai vertici dell’Anac, l’Autorità contro la corruzione. Lo
stesso Renzi che, due anni dopo, ha portato Cantone con sé dal
presidente Obama presentandolo nel team degli italiani illustri. Ma
d’improvviso la situazione cambia. Prima al Senato, durante la replica
al dibattito, e poi ieri alla Camera, Giuseppe Conte pronuncia parole
critiche verso l’Anac che, come tutti sanno, è una creatura di Raffaele
Cantone. Lievitata in 4 anni fino a diventare un vero e proprio
ministero nella lotta agli appalti truccati. Un «modello» che lo stesso
Cantone ha tante volte portato all’estero, rivelando che più di uno
Stato straniero ha chiesto quale fosse la sua formula di successo.
Ma
ora Conte butta Cantone giù dalla torre. Spoil system? Un magistrato
troppo potente e quindi ingombrante per il neo governo? Forse ritenuto
troppo in simbiosi con Renzi prima e Gentiloni poi, una sorta di “agente
nemico” in quota Pd?
Stiamo ai fatti. Rileggiamo cos’ha detto Conte di Cantone.
Al
Senato martedì tutti sono stanchi quando il premier dice testualmente:
«Stiamo studiando un’iniziativa che riguarda il ruolo dell’Anac. Se
riusciremo a potenziare la sua fase di precontenzioso avremo una sorta
di certificazione autorevole per gli amministratori». E ancora: «Se non
riusciamo a superare la stasi generata dall’approvazione del codice
degli appalti pubblici non andiamo da nessuna parte».
È noto
quanto Cantone sia stato un fautore del nuovo codice, anche se non nega
la necessità di migliorie. E sul codice Cantone s’è trovato sul fronte
opposto rispetto a Piercamillo Davigo, l’ex pm di Mani pulite, la cui
visione della giustizia è condivisa dal neo Guardasigilli Alfonso
Bonafede. Per Davigo quel codice «è solo un ostacolo per le persone per
bene, mentre chi vuole delinquere continua a farlo». C’è stato del
freddo tra Davigo e Cantone, il primo a ripetere che «la corruzione non
si combatte con l’Anac perché non ha poteri di repressione».
Ma
sull’ultimo libro di Davigo (“In Italia violare la legge conviene.
Vero!”, Laterza) Cantone ha avuto parole di apprezzamento del tipo «l’ho
letto e in molti punti mi sono trovato d’accordo, vedo che non parla
più dell’agente infiltrato, ma di quello sotto copertura...».
E dunque, solo un buffetto quello di Conte? O c’è di più?
L’incarico
dell’ex pm, di sei anni, scade nell’aprile 2020, e non è rinnovabile.
Ma nelle parole del premier alla Camera c’è un giudizio negativo.
Testualmente Conte dice dell’Anac: «Cercheremo di valutare bene il suo
ruolo che non va depotenziato, ma non abbiamo in questo momento i
risultati che ci attendevamo. Forse avevamo investito troppo.
Possiamo
valorizzare l’Anac, ma in una funzione e in una prospettiva diverse, di
prevenzione. Per quanto riguarda il precontenzioso che oggi è davanti
all’Anac possiamo rafforzare questa fase, per avere una sorta di
certificazione anticipata per i funzionari, per gli amministratori
pubblici e poter procedere alle gare più speditamente». Le frasi di
Conte sono una doccia gelata per l’Anac. Le considerazioni del giorno
prima erano passate del tutto inosservate. Ma ieri quando le agenzie
battono quelle parole – «Non abbiamo dall’Anac i risultati che ci
attendevamo» – e Cantone ha modo di leggerle il suo «stupore» è
immediato. Lo consegna ai suoi collaboratori, poi si chiude nel più
totale riserbo. Dall’Anac non filtra più nulla, tranne la volontà di
«non fare polemiche» e la garbata notazione che, forse, «il presidente
del Consiglio non conosce tutto ciò che l’Anac fa per prevenire la
corruzione». Da qui l’invito a essere presente il 14 giugno alla
relazione 2018 sul lavoro dell’Authority. Chissà...
“Stupore” di
Cantone: “Forse il premier non conosce ciò che l’Anac fa”. Il nodo del
codice sugli appalti pubblici e i dissidi con Davigo