Repubblica 27.6.18
La crisi e la povertà
Sono i giovani a pagare il conto
di Chiara Saraceno
Iminorenni
e i giovani fino ai 34 anni costituiscono quasi la metà — 2.320.000 —
di tutti coloro che si trovano in povertà assoluta in Italia. È un dato
ormai strutturale.
L’aumento della povertà assoluta avvenuto dal
2005, e in particolare dalla crisi del 2008, è fortemente concentrato
tra i più giovani. In un Paese in cui ci si lamenta che non nascono
abbastanza bambini, una percentuale altissima delle giovani generazioni
non ha abbastanza da vivere. E se qualche giovane si azzarda a formare
una famiglia prima dei 35 anni, corre seri rischi di povertà per sé e
per i suoi famigliari.
Sarà anche vero che c’è la ripresa. Ma non
ha ancora toccato le aree e i gruppi più svantaggiati, facendo anzi
aumentare i divari tra Centro-Nord e Mezzogiorno, tra giovani e anziani,
tra famiglie senza figli o con un solo figlio e famiglie con più figli,
oltre che tra famiglie giovani e famiglie di anziani. È un fenomeno che
non riguarda gli stranieri, che pure presentano tassi di povertà quasi
cinque volte più elevati rispetto agli italiani e corrispondono a un
quinto di tutti i poveri assoluti.
Se a questi dati si accostano
quelli sui Neet — oltre due milioni di giovani tra 15 e 29 anni che non
studiano né lavorano né fanno tirocini, anch’essi fortemente concentrati
nel Mezzogiorno — emerge lo spaccato di un paese che sta lasciando
andare alla deriva, insieme ad una parte sostanziosa delle giovani
generazioni, anche le proprie stesse risorse per il presente e il
futuro. E mi limito solo ai dati sulla povertà assoluta, i più
drammatici e incontrovertibili.
A fronte di questi numeri non c’è
più tempo da perdere. Sono necessarie azioni sistematiche a più livelli.
In primo luogo, occorre iniziare ad attuare gli obiettivi del reddito
di cittadinanza rafforzando ed estendendo il “Reddito di inclusione”:
alzandone il livello per avvicinarlo alla soglia della povertà assoluta e
finanziandolo in modo sufficiente da coprire almeno tutti i poveri
assoluti. In attesa di una riforma dei centri per l’impiego, che
richiede tempo e risorse, sarebbe opportuno affiancare al “Rei”, per
coloro che sono abili al lavoro, gli assegni di ricollocazione approvati
e finanziati dal governo precedente, ma mai veramente decollati. Ma
occorre anche rivedere il sistema frammentato e inefficiente di sostegno
al costo dei figli, in modo da evitare il più possibile la povertà
delle famiglie nonostante ci sia almeno un occupato (riguarda quasi il
12% delle famiglie con persone di riferimento operaio o assimilato, di
più se si considera la povertà relativa).
È anche indispensabile
investire in modo capillare, sul territorio, nell’individuazione e
accompagnamento dei Neet, offrendo loro occasioni stimolanti ed efficaci
di valorizzazione delle capacità. Infine, occorre investire nei servizi
di base, in quelli per l’infanzia, nella scuola, non solo per favorire
l’occupazione delle madri, ma per contrastare gli effetti della povertà
sulla salute e lo sviluppo, fisico e cognitivo, dei bambini, i più
danneggiati dall’esperienza di povertà.