martedì 26 giugno 2018

Repubblica 26.6.18
La volontaria della SeeFuchs “Abbiamo ubbidito agli ordini e visto sparire 120 migranti”
di Caterina Pasolini


ROMA «Ho ancora gli incubi e i sensi di colpa per quella notte. Quando 120 persone su un gommone sono probabilmente morte annegate avendo la salvezza vicina, dopo aver attraversato deserti e violenze. C’era infatti una nave mercantile che pur sapendo non si è mossa, c’eravamo noi della SeeFuchs, ma il coordinamento della capitaneria italiana a Roma non ci ha dato ordine di andare in soccorso. E noi abbiamo ubbidito, sbagliando. La mattina dopo un giubbotto galleggiante era l’unica cosa rimasta in mare».
Giulia Bertoni, 25 anni di Cesena è dottoranda alla Columbia University. Dopo esperienze tra i migranti nell’inferno di Calais, col fidanzato Peter dal 15 giugno era sulla piccola nave della ong tedesca Sea Eye addetta a ricerca e salvataggio dei migranti tra Libia e Malta. Tredici volontari, studenti, medici in pensione.
Cosa è accaduto?
«La notte del 18 ero di vedetta, turni di quattro ore sul ponte della barca, al radar a controllare il mare sempre più mosso. Il nostro segnale Ais ( Sistema automatico di tracciamento) non funzionava, nessuno poteva identificare la nostra posizione. Ad un tratto abbiamo sentito sul canale delle emergenze la conversazione fra un aereo che segnalava a 11 miglia un gommone con 120 persone e una nave mercantile vicina disponibile ad aiutare. Dopo vari scambi in realtà nessuno si è mosso in soccorso di quei disperati al buio con le onde che crescevano. Allora abbiamo deciso di chiamare il coordinamento a Roma».
Cosa vi hanno risposto?
«In sintesi: non ci riguarda chiamate la capitaneria libica. E noi, per rispettare il codice di condotta che obbliga a non superare 24 miglia dalla Libia a meno che non ci sia un ordine, ci siamo allontanati, non abbiamo soccorso il gommone in difficoltà».
Non avete chiamato i libici?
«Il capitano non ha voluto. Non so perché».
E i migranti?
«Quella notte la Lifeline, più grande di noi che ci occupiamo di primo soccorso, era molto lontana. La mattina è arrivata in zona e abbiamo pattugliato le acque dove avrebbe dovuto essere il gommone, rimanendo nei limiti. Di quelle persone nessun segno. Morte probabilmente, annegate mentre noi, e tutti stavano fermi. Della guardia costiera libica mai visto traccia».
Si sente colpevole?
«Io, noi, avremmo dovuto disubbidire al capitano, al direttore della ong che ci ha ordinato di allontanarci. Ci dovrebbero arrestare per aver ubbidito, per averli lasciati morire. Se volete arrestarci, arrestateci per questo. È come se dei pompieri si fermassero al semaforo di fonte ad una casa in fiamme. Se fossimo stati dei privati, la legge del mare ci avrebbe obbligato a soccorrere».
E a chi vi dice che fate il gioco di trafficanti?
«Risponderei che è falso, che questa menzogna costa vite ogni giorno. Da quando hanno fermato le navi delle ong, che si muovono su direttive delle capitanerie, le barche dalla Libia continuano a partire e i migranti a morire. La soluzione non è bloccare le navi delle ong, deve essere una soluzione politica»
L’Europa è razzista?
«Sono sicura che se ci fossero stati 100 tedeschi o italiani a bordo nessuno avrebbe dato o accettato questi ordini. E invece quel gommone è stato lasciato affondare. Con a bordo 120 persone che sono annegate e che vorrei ricordare».