Repubblica 23.6.18
La vita ai tempi dell’austerity
“Noi greci vediamo la luce ma per sopravvivere abbiamo ucciso i sogni”
di Ettore Livini
ALONISSOS Lo spread della vita, purtroppo, non mente.
La crisi della Grecia, assicurano politici e tv, è ufficialmente alle spalle.
Ma
tra i vecchi mappamondi e gli oggetti d’antiquariato di Gorgona, il
negozio di Dimitris Fragoulis nella Chora di Alonissos, l’allarme è
tutt’altro che finito. «Il peggio è forse alle spalle – prova a
consolarsi lui con l’incoscienza dei suoi 28 anni Quest’anno gli affari
vanno meglio». Gli incassi, magari, torneranno quelli di una volta.
La
sua esistenza – rivoluzionata dallo tsunami che ha travolto il paese -
no. «Otto anni fa ero uno studente di economia gestionale che pensava a
tutto tranne che a preoccuparsi del futuro – racconta mentre sistema
bacheche e rastrelliere prima della pausa di mezzogiorno - Ero sicuro di
trovare un lavoro ben pagato subito dopo l’università, come capitava a
tutti quelli che frequentavano il mio corso e di poter girare il mondo».
Quei sogni sono rimasti nel cassetto: «Né io nè i miei compagni siamo
riusciti a trovare un posto – spiega - Chi ha rimediato un impiego,
malgrado la laurea, prende tra i 400 e i 500 euro al mese». E Dimitris è
stato costretto a rimettere in valigia vestiti e ambizioni e a tornare
alle Isole Sporadi ad aiutare la madre a gestire il negozio di casa. La
sua è una storia normale. Meno tragica delle tante vite massacrate
dall’austerity in un paese dove i redditi delle famiglie si sono ridotti
di un quarto dal 2010 e i suicidi sono cresciuti del 35%.
«Io
sono stato fortunato – ammette – perché avevo le spalle coperte». Ma
proprio il racconto degli ultimi otto anni della sua ordinaria
quotidianità è lo specchio di una crisi che ha macinato le esistenze dal
basso e i cui effetti dureranno anche quando il rapporto deficit/pil di
Atene sarà sotto controllo.
«All’inizio né io né chi vive attorno
a me avevamo davvero capito la gravità della situazione», dice tornando
con il ricordo all’inizio della crisi.
Quando nell’autunno del
2009 il premier George Papandreou ha annunciato nello storico discorso
dall’isola di Kastellorizo che i conti erano stati truccati e il paese
era sull’orlo del crac, la Grecia viveva ancora in una sorta di bolla da
autostima collettiva.
Gonfiata dall’ingresso nell’euro, dal
successo delle Olimpiadi di Atene, dalla vittoria negli europei di
calcio e all’Eurovision Song contest del 2005. «Tutto allora sembrava
possibile – ricorda Dimitris - Mai e poi mai avrei pensato che si
sarebbe potuti tornare indietro». E invece è andata così. «Finita
l’università mi sono guardato in giro e ho inviato decine di curriculum -
spiega - Sapevo pianificare campagne web, gestire la comunicazione
digitale, parlo inglese. Ero disposto anche a fare lavoretti
sottoqualificati». Risposte zero.
E quando la troika è arrivata ad
Atene e lui ha capito che di entrate per garantirsi vitto e affitto
(«circa 600 euro al mese») non se ne parlava ha alzato bandiera bianca.
«In
fondo sapevo che prima o poi sarei tornato a casa – minimizza Mia madre
ha questo negozio da 38 anni, c’era bisogno di svecchiarlo lavorando a
una strategia digitale. E sulle isole turistiche, dicevano tutti, la
crisi non era arrivata». Aveva fatto i conti senza l’oste. «Appena
arrivato mi sono accorto che la realtà era diversa da come la
dipingevano - racconta - Tra il 2012 e il 2015 gli incassi sono calati
del 35% e noi siamo stati costretti a rivedere l’assortimento,
riempiendo la vetrina di oggetti da 5-10 euro perché nessuno aveva soldi
da spendere». Poi, tanto per gradire, ha iniziato a piovere sul
bagnato: sono arrivati i controlli sui capitali e la terza austerity
targata Troika ha dato la mazzata finale. «L’Iva è aumentata dal 13 al
23%, le spese per assicurare il personale sono cresciute del 15%, le
tasse sul negozio del 22%». Risultato: «Guardi il cartello sul bar qui
di fronte», suggerisce ridendo.
«Chiudo perché non ho più i soldi
per pagare le bollette», recita il foglietto ingiallito appeso sulla
serranda, abbassata da fine 2017.
Eppure Dimitris, come molti in
Grecia, non molla: si alza ogni mattina, si rimbocca le maniche e riapre
il negozio. E d’inverno si trasferisce ad Atene per arrotondare lo
stipendio con qualche lavoretto volante. «Che sacrifici ho fatto? Ho
rinunciato a viaggiare, ho dovuto rimandare il matrimonio perché non ho
abbastanza soldi. Mi è andata di lusso rispetto a molti altri greci che
hanno perso tutto». I sogni e la speranza – beata gioventù – resistono
ancora. «Qualcosa sta cambiando nel paese – dice – non ho votato
Tsipras, ma ammetto che negli ultimi due anni le cose vanno meglio, si
pagano un po’ di più le tasse, c’è più ordine e forse si vede la luce
alla fine del tunnel». Sperando, visto il debito rimasto sulle spalle
della Grecia, non sia il treno che arriva dalla direzione opposta.