Repubblica 22.6.18
Gli “avvisi” dei Casalesi
Da anni sotto tiro della camorra Perché lo scrittore è sotto tutela
di Conchita Sannino
Roma
Nel mirino, sì. Anche se spesso impegnato all’estero. Innanzitutto
perché ad indicarlo come bersaglio, addirittura da un’aula di giustizia
nel 2008, sono stati i casalesi, il gotha criminale poi decapitato. E
perché il tiro brutale contro Roberto Saviano è passato a osservatori,
intellettuali e politici: alle cui legittime critiche o taglienti
ostilità, va detto, l’autore di Gomorra ha sempre risposto con la stessa
moneta. Come ha fatto con Salvini, ieri, nel surreale scontro
rilanciato dal ministro dell’Interno.
Parole su cui a sera arriva
la severa bocciatura di una toga d’assalto vicina al M5S, il pm
antimafia Nino Di Matteo. « Mi sarei aspettato che questioni così
delicate fossero trattate dagli organi competenti. Chi ricopre cariche
istituzionali dovrebbe conoscere bene la mentalità dei mafiosi in modo
da evitare che certe dichiarazioni siano interpretate come un segnale di
indebolimento », avverte il magistrato. «In terra di mafia molti di
quelli che erano scortati sono morti - ammonisce- E’ un paese che non
può perdere la memoria. Spero che questo governo decida di considerare
la lotta alla mafia una priorità».
L’autore considerato narratore-
simbolo dell’Italia inquinata dalle mafie oggi arriva alle
manifestazioni pubbliche con 3 blindate e 7 e carabinieri (nei giorni
“ordinari” diventano 2 auto e 5 militari). Ma, dietro, c’è un dossier
lungo dodici anni.
Comincia tutto con un volantino: pistola alla
tempia di Saviano e la scritta “Condannato”. È il 2006, dopo l’uscita
del bestseller. A settembre, l’autore è in piazza a Casal di Principe,
lancia accuse sul clan: alla fine dell’intervento, gli organizzatori
decidono di accompagnarlo, il malumore è palpabile. Nell’ottobre 2006
scatta la scorta, basso livello. L’anno dopo, lo scrittore torna a
Casale: e stavolta si trova in piazza il padre del boss Francesco
Schiavone (oggi ergastolano), Nicola. Che lo affronta: «Qui a Casale ci
sono gli uomini, non come te, fai bene il tuo lavoro».
Nel 2008,
il pentito Carmine Schiavone svela l’idea di un attentato al tritolo
contro Saviano, poi ritratta, conferma però che i casalesi lo vogliono
morto. Ma la vicenda più allarmante si consuma durante il processo
d’appello di Spartacus: Saviano è messo all’indice platealmente.
Scatta
l’istanza di rimessione, testo che i giudici di primo grado
riconosceranno carico di “ capacità intimidatoria”: quella lettera ha
nel mirino Saviano, oltre alla cronista Rosaria Capacchione e i
magistrati Federico Cafiero de Raho e Raffaele Cantone, considerati
responsabili di un clima di pressione sfavorevole ai padrini imputati. E
a leggerla è l’ex difensore del padrino del clan Francesco Bidognetti,
l’avvocato Michele Santonastaso.
Il legale sarà condannato nel
2014, in primo grado, a un anno di carcere per le minacce a Saviano -
mentre ne escono assolti i boss Antonio Iovine e Francesco Bidognetti.
Ma è un pronunciamento poi cancellato in appello: i giudici rimandano
per competenza gli atti a Roma, dove incombe la prescrizione.
È lo
stesso Santonastaso a cui vengono poi inflitti undici anni di carcere
per associazione mafiosa. Episodi rimasti quindi o anonimi o impuniti. E
un avvocato ritenuto organico alle strategie della cosca. Quella che
tra i suoi nemici, piaccia o no, conta anche Saviano.