sabato 16 giugno 2018

Repubblica 16.6.18
Memorie dal sottosuolo
Così il cervello riscrive i brutti ricordi
Il segreto svelato studiando i topi: il trauma iniziale registrato dai neuroni viene modificato ma non cancellato
Prima e dopo In verde i neuroni attivi con il ricordo del trauma.
In rosso gli stessi neuroni quando il ricordo non è più traumatico
di Giuliano Aluffi


Riscrivere i ricordi non è solo un desiderio fantascientifico come quello di Jim Carrey e Kate Winslet nel film Se mi lasci ti cancello: si può davvero, e anzi è l’unico modo per liberare il cervello da episodi traumatici e ansiogeni. Lo suggerisce il primo studio a far luce sui meccanismi neurologici che rendono efficaci le terapie cognitive contro le fobie e il disturbo da stress post traumatico, pubblicato su Science da neuroscienziati del Brain mind institute del Politecnico di Losanna.
Per liberarci di un ricordo traumatico, la terapia oggi più usata è l’esposizione: invece di evitare a tutti i costi lo stimolo ansiogeno, per esempio stare lontani dai cani perché da piccoli si è stati morsi, ci si espone gradualmente, e in maniera crescente, allo stimolo, ma in un contesto controllato e sicuro.
Finché, piano piano, non si impara ad associare lo stimolo a una sensazione di sicurezza. La strategia funziona, ma finora non si conosceva il suo reale effetto sul cervello: l’esposizione crea un nuovo ricordo sereno che va a rimpiazzare del tutto il ricordo traumatico iniziale, oppure modifica il ricordo iniziale senza cancellarlo? Queste le due ipotesi dibattute tra gli scienziati.
Per risolvere la questione il gruppo svizzero guidato da Johannes Gräff ha utilizzato topi geneticamente modificati perché i loro neuroni diventassero fluorescenti quando attivi. Ad ogni topo è stato insegnato ad associare un contesto preciso (una scatola ben riconoscibile) a una scossa elettrica. Al momento dello shock, un gruppo di neuroni del giro dentato (area dell’ippocampo importante per il consolidamento della memoria) è diventato fluorescente: erano i neuroni che hanno memorizzato il trauma. Un mese dopo, si è provato a guarire il topo dalla sua paura, ricorrendo alla terapia di esposizione, ossia rimettendolo nella scatola ma senza più dargli alcuna scossa.
Una volta superata la paura, si è visto che non solo i neuroni associati al ricordo iniziale erano ancora attivi, ma che anzi più erano attivi, più il topo appariva sicuro e a suo agio. «Abbiamo capito che i neuroni del giro dentato immagazzinano i ricordi negativi, ma sono anche importanti per guarire dai traumi psicologici» spiega Johannes Gräff. «Poi abbiamo preso un altro topo che aveva vissuto lo stesso trauma, e abbiamo disattivato con un farmaco il gruppo di neuroni associato al suo ricordo traumatico: sorprendentemente, questa volta la terapia di esposizione falliva. Il topo continuava a essere impaurito ogni volta che lo si metteva nella scatola. Questo ci ha fatto capire che il gruppo di neuroni del ricordo iniziale era non solo utile, ma indispensabile per poter vincere la paura. In più abbiamo visto che se, durante la terapia, invece di spegnere i neuroni del ricordo iniziale li eccitiamo, il topo diventa ancora più coraggioso». Il cervello funziona quindi come un hard-disk: richiama i ricordi e li riscrive, invece di cancellarli del tutto o rimpiazzarli con qualcosa di nuovo. «In psicoterapia si sapeva – ma solo a livello empirico, vedendo i risultati dei vari trattamenti – che più rievochi le tue paure, più le supererai. Ma il fenomeno non era mai stato studiato a livello cellulare» spiega Gräff . «La nostra è una conferma che la riattivazione del trauma è cruciale. Il prossimo passo è capire cosa succede a neuroni e geni per ottenere questo effetto curante. Perché allora sì che potremmo pensare a terapie del tutto nuove». Per Gräff è una sorta di sfida familiare: «A sei anni chiesi a mio padre cosa fosse la psicoterapia, visto che lui la stava seguendo. Prese un foglio e disegnò una faccina sorridente e una triste, con segni sulla fronte, come cicatrici. Mi disse che la psicoterapia era ciò che poteva cancellare quei segni e far tornare la faccina a sorridere».