La Stampa 13.6.18
Pechino ora ha paura di restare ai margini
“Bisogna rivedere le sanzioni americane”
di Carlo Pizzati
E’
un summit senza perdenti, quello di Singapore. Vince Trump, vince Kim,
ma vincono anche Cina, Corea del Sud e Giappone. Tutti contenti. Confusi
e felici.
Soddisfatto il ministro degli Esteri cinese, il potente
e azzimato Wang Yi, che si congratula pubblicamente, ma ricorda il
ruolo cinese nello spingere colui che fino a poco fa veniva chiamato
“Little Rocket-Man” dall’inquilino della Casa Bianca, ad arrivare al
tavolo della trattativa. «Speriamo che i due leader realizzino davvero
questo accordo. Si deve senz’altro trovare un meccanismo di sicurezza
per la penisola coreana. E nessuno dunque può mettere in dubbio il ruolo
svolto dalla Cina per arrivare fino a questo punto - ha dichiarato il
capo della diplomazia di Pechino -. Oggi, il fatto che i leader di
questi due paesi possano sedersi uno accanto all’altro a chiacchierare
da uguali ha un significato importante e positivo che sta creando una
nuova storia. E la Cina sostiene questo nuovo corso storico perché è
esattamente ciò a cui abbiamo lavorato a lungo». Come dire: le cose sono
andate come volevamo noi e grazie a noi.
«Ci auguriamo che Trump e
Kim superino difficoltà e interferenze», ha fatto notare Wang Yi
ricordando che la partita non è chiusa «e che trovino un consenso sulla
denuclearizzazione della Corea del Sud».
Le risoluzioni dell’Onu
Parole
importanti, precedute da quelle del suo portavoce, Geng Shuang, che ha
chiarito il ruolo della Cina nell’ambito del rispetto delle risoluzioni
Onu. «Le sanzioni possono essere riviste, sospese o anche rimosse» ha
detto il portavoce del ministero degli Esteri cinese. «La Cina ha
insistentemente spiegato che le sanzioni non sono un obiettivo in sé. Le
azioni del Consiglio di Sicurezza devono essere mirate al dialogo
diplomatico per denuclearizzare la penisola coreana». Ovvero: ora che la
pace è fatta, togliamo le sanzioni e iniziamo il business.
Insomma,
la Cina vuol ricordare al mondo che se c’è stato un summit, è grazie al
lavoro calmo e lungimirante di Pechino. Ma, dopotutto, chi è più
avvantaggiato dalla pace in Corea del Nord, a parte i suoi cittadini
affamati?
Ovviamente la Corea del Sud, il cui presidente Moon
Jae-in si è detto felice del «coraggio e la determinazione dei due
leader» al summit. Più perplessi i suoi generali, che alla dichiarazione
di Trump sulla fine delle esercitazioni militari con la Corea del Sud
hanno reagito dicendo: «Dobbiamo capire il significato esatto o le
intenzioni dietro ai commenti».
Avvantaggiato anche il Giappone,
stanco di vedersi volare sopra la testa i missili di Kim. Difatti il
premier Shinzo Abe, congratulandosi, si è detto pronto a risolvere
bilateralmente il tema dei rapimenti di cittadini giapponesi da parte di
spie nordcoreane durante la Guerra Fredda.
Il commercio estero
Ma
ad avere più vantaggi economici dalla pace sarà, da subito, di nuovo la
Cina. A parte recenti lievi dissapori, la Cina resta l’alleato più
antico e saprà trarre vantaggio dall’accordo visto che rappresenta il 90
per cento del commercio estero nord coreano, e che ha sventato il
rischio di una costosa accoglienza per migliaia di profughi nord coreani
in caso ci fosse stato uno scontro nucleare.
«Stabilità tramite
la prosperità», sono queste le parole d’ordine di Pechino. Naturalmente
senza democrazia, concetto sempre più fuori moda nel mondo, di questi
tempi.
E chi è previsto otterrà i più lucrativi appalti per
costruire la nuova, moderna e non democratica Corea del Nord, con i
soldi americani? Con tutta probabilità toccherà sempre al grande vicino
cinese, con le sue aziende, il suo potere economico, le sue autostrade
pronte a portare materiali e competenze per ricostruire un paese che
molti descrivono come il set posticcio e decadente di un Truman Show che
ha fatto il suo tempo.