internazionale 1.6.18
La nascita di una lingua tra i sordi in Nicaragua 
Negli
 anni ottanta in una scuola di Managua, gli studenti sordi non potevano 
parlare a gesti. Ma nonostante il divieto crearono una loro lingua dei 
segni
Di Dan Rosenheck, 1843, Regno Unito
“Sarà 
anche un figlio di puttana, ma è il nostro figlio di puttana”. Sembra 
che nel 1948 l’allora presidente degli stati uniti Franklin Roosevelt 
definì così Anastasio Somoza, il dittatore del Nicaragua sostenuto da 
Washington. I connazionali di Somoza avevano pochi motivi per 
ringraziare la dinastia di governanti corrotti da lui fondata. Ma Hope 
Portocarrero, la moglie statunitense del figlio di Somoza, Anastasio 
Jr., cercava nella beneficenza un rifugio dall’infelicità del suo 
matrimonio. Tra le varie iniziative nel 1977 aveva fondato a Managua, la
 capitale del Nicaragua, una scuola per studenti con disabilità che poi 
prese il nome di Melania Morales, un’insegnante morta in un incidente. 
Gli eventi politici presto frenarono lo sviluppo della scuola. Nel 1979 i
 guerriglieri sandinisti rovesciarono il regime dei Somoza, ma il costo 
umano fu altissimo: la loro rivoluzione uccise un nicaraguense su 
settanta e ne lasciò uno su cinque senza tetto. Anche i sandinisti si 
rivelarono a loro modo autoritari, però lanciarono una campagna per 
superare il grave analfabetismo del paese. Alla Fine della dittatura 
solo un quinto dei contadini nicaraguensi sapeva leggere e scrivere. I 
sandinisti puntavano a istituire quattro anni di scuola per tutti e 
svilupparono l’istruzione per bambini con bisogni speciali. Nel 1984 
nella scuola Melania Morales c’erano già quattrocento studenti, e il più
 piccolo aveva sei anni. Il governo creò anche un istituto di formazione
 professionale dove gli adulti sordi potevano imparare un mestiere e 
studiare come falegnami o parrucchieri. Nonostante le buone intenzioni, 
la Melania Morales fu un fallimento per gli studenti sordi. In Europa le
 scuole per sordi avevano insegnato con successo la lingua dei segni in 
dal settecento, ma la pratica era quasi scomparsa dopo il 1880, quando 
una conferenza di educatori a Milano la vietò sostenendo che i sordi 
dovessero imparare la lingua parlata per realizzare appieno il loro 
potenziale. Al posto della lingua dei segni si scelse così un approccio 
“oralista”: gli studenti dovevano imparare a leggere le labbra e ad 
articolare suoni anche se non potevano sentirli. Negli anni sessanta 
nelle scuole degli stati uniti si cominciò a tornare a una combinazione 
di lingua dei segni e tecniche oraliste. Ma in Nicaragua i sandinisti, 
in guerra contro una rivolta di destra appoggiata da Washington, erano 
chiusi a ogni influenza della potenza egemone. Si attenevano alle 
indicazioni che arrivavano dall’unione sovietica e dalla Germania 
dell’Est, dove i vecchi dogmi continuavano a essere applicati con 
rigidità. Alla Melania Morales negli anni ottanta gli studenti sordi 
ascoltavano in cuffia dei suoni amplificati di tuoni e versi di animali 
per stimolare l’udito. Copiavano parole scritte dai loro insegnanti alla
 lavagna e cercavano d’indovinarne la pronuncia. Ma si limitavano a 
imparare a memoria: quando gli insegnanti li invitavano a formare delle 
frasi in spagnolo, rimanevano sconcertati. Nelle aule gli unici gesti 
consentiti erano i segni di un alfabeto manuale usato per indicare le 
singole lettere, per paura che, con la comunicazione visiva, gli 
studenti perdessero le tecniche oraliste. Se gli insegnanti vedevano un 
alunno muovere le mani in altri modi, gli ordinavano di metterle sul 
banco e di restare con gli occhi fissi sul professore. Anche se in 
classe si perdeva un mucchio di tempo, la scuola aveva un’influenza 
profonda sugli studenti. a differenza di tutte le generazioni precedenti
 di nicaraguensi sordi, gli alunni della Melania Morales erano 
circondati da altri bambini sordi di tutte le età. E ogni anno circa 
trenta alunni entravano in prima. Alla fine delle elementari, molti 
studenti passavano alla scuola professionale. Nei corridoi e negli 
scuolabus gli insegnanti non potevano impedire ai ragazzi di comunicare 
come volevano. a metà degli anni ottanta i professori della Melania 
Morales si accorsero che i bambini muovevano e contorcevano le mani 
appena suonava la campanella. Molti giovani docenti reclutati per il 
progetto di educazione speciale dei sandinisti non avevano mai avuto a 
che fare con ragazzi sordi e non conoscevano i sistemi d’insegnamento in
 vigore in altri paesi. Perfino chi sapeva che all’estero esistevano le 
lingue dei segni, liquidava quei gesti come se fossero una semplice 
mimica, dei movimenti esagerati da pagliaccio. 
Enigma irrisolto 
Un
 giorno del 1990 Patricia gutiérrez, un’insegnante di 24 anni che non 
aveva mai frequentato l’università, vide una studente, Reyna Cruz, fare 
un gesto dall’aria violenta verso un gruppo di amiche. Reyna si era 
passata un dito sul collo e poi sull’avambraccio sinistro. Gutiérrez 
immaginò che la ragazza alludesse al sangue o a un taglio, ed ebbe paura
 che stesse minacciando le compagne. Poco dopo Cruz lasciò la scuola con
 due ore di anticipo. Il preside la convocò per farle una lavata di 
capo. Con grande sorpresa di Gutiérrez, quando si presentò al colloquio 
Cruz portò con sé tre adulti: un uomo sordo, Javier López, e le sue due 
sorelle udenti, María e Sandra. Le donne erano delle interpreti, anche 
se il preside non aveva idea di cosa dovessero interpretare. Ma quando 
Cruz cominciò a gesticolare, loro tradussero i suoi segni. spiegarono al
 preside che Cruz era andata via prima perché non aveva capito fino a 
quando doveva rimanere a scuola. Il gesto di portare il dito alla gola 
significava “sto dicendo la verità”, mentre il minaccioso movimento del 
braccio voleva dire “fratello”. I gesti di Cruz non significavano quello
 che sembravano rappresentare a livello visivo. Erano dei segni, e il 
loro rapporto con il contenuto era arbitrario proprio come il 
collegamento tra i suoni delle parole e il loro significato in spagnolo.
 “Ero stupita”, dice Gutiérrez. “Vedevamo i ragazzi muovere le mani 
fuori dall’aula, ma non sapevamo cosa facessero. Ora c’erano degli 
adulti udenti che muovevano le mani nello stesso modo. Era la prima 
volta che vedevo qualcuno parlare e contemporaneamente segnare”. Dopo la
 riunione con il preside Cruz non fu punita. Tutti gli insegnanti della 
scuola erano sconvolti. “Credevo semplicemente che i bambini 
gesticolassero molto”, dice Amy Ortiz, un’altra maestra di quegli anni. 
“Mi chiesi se muovevano le mani senza motivo o se stessero dicendo 
qualcosa. Poteva davvero essere una lingua?”. 
Sogni ambiziosi 
Di
 tutte le invenzioni umane, nessuna ha avuto più conseguenze della 
nascita del linguaggio. Prima del suo sviluppo la conoscenza di ogni 
individuo era limitata a quello che sperimentava in modo diretto. Dopo, 
grazie al linguaggio, chiunque poteva condividere con gli altri quello 
che imparava. tutte le forme di vita comunicano in qualche modo, ma solo
 l’Homo sapiens ha sviluppato un sistema di simboli abbastanza complesso
 e flessibile da permettere di accumulare e trasmettere le informazioni 
da persona a persona e di generazione in generazione. Eppure, malgrado i
 poteri straordinari che il linguaggio ci ha dato, non abbiamo risolto 
l’enigma della sua origine. Le lingue parlate non lasciano nessuna 
traccia materiale, perciò non ci sono prove per dimostrare o smentire le
 ipotesi che riguardano la loro genesi. Nel 1866 la società di 
linguistica di Parigi mise al bando ogni dibattito sull’argomento 
sostenendo che non era suscettibile di analisi scientifica. Perfino nel 
nostro secolo il titolo di un’antologia di ricerche sull’argomento si 
chiedeva se non fosse “il problema più difficile della scienza”. Oggi le
 teorie credibili sulle prime fasi della lingua sono quasi altrettanto 
numerose degli studiosi che lavorano in questo campo. In linea di 
massima i linguisti possono essere raggruppati in due schieramenti, che 
corrispondono grosso modo a natura e cultura. I nativisti o innatisti, 
associati soprattutto al linguista Noam Chomsky, credono che la capacità
 della lingua sia programmata nel dna umano. secondo loro le lingue 
umane, nonostante le differenze, condividono alcune caratteristiche 
strutturali di base, come la distinzione tra sostantivi e verbi. È 
davvero improbabile che tante lingue diverse con uno sviluppo autonomo 
abbiano sviluppato queste somiglianze, a meno che, come sostengono gli 
innatisti, non discendano dall’architettura del cervello umano. Un altro
 argomento a loro favore è il fatto che i bambini padroneggiano sempre 
tutte le sfumature della loro prima lingua, anche se sono esposti 
direttamente solo a una sua piccola parte. Poiché la loro conoscenza non
 può derivare solo dall’esperienza, dicono gli innatisti, tutto il resto
 dev’essere presente in loro fin dalla nascita. Il campo opposto è 
quello degli empiristi, secondo cui il linguaggio è solo un aspetto 
dello sviluppo più ampio di una cultura simbolica, privo di un 
imprinting biologico superiore, diciamo, a quello dell’andare in 
bicicletta. gli empiristi si divertono a fornire esempi che 
smentirebbero quella che Chomsky chiama “la grammatica universale”. Per 
esempio le lingue salish, parlate da alcune tribù indigene del Canada e 
degli Stati Uniti, fondono sostantivi e verbi in unità composite e 
flessibili. Il loro ruolo nella frase è determinato dalle parole 
circostanti. Gli empiristi osservano poi che i bambini apprendono la 
lingua in modo graduale nel corso di alcuni anni, rigurgitando frammenti
 a mano a mano che li ascoltano e facendo sempre meno errori di 
grammatica, una cosa molto diversa da un’abilità innata come camminare, 
che s’impara in un colpo solo. Quando ha cominciato a venire meno il 
divieto di studiare le origini della lingua, gli esperti di linguistica 
evolutiva hanno ideato nuovi metodi per trovare risposte parziali al 
mistero. Hanno individuato dei geni che sembrano necessari per produrre 
una vera lingua e hanno analizzato dna antichi per ricercarne la 
presenza. Poi hanno analizzato il numero di suoni diversi nelle lingue 
di varie regioni per stabilire dove e quando hanno cominciato a 
differenziarsi. L’ipotesi migliore è che sia stato nell’africa 
subsahariana qualche centinaia di migliaia di anni fa. Ma tutto il loro 
lavoro ha offerto solo sprazzi di comprensione per questa immensa 
questione. I sogni dei linguisti erano più ambiziosi. Nel 1976 lo 
studioso britannico 
Derek Bickerton propose un esperimento per 
testare la sua teoria secondo cui il genoma umano contiene un 
“bioprogramma” linguistico così dettagliato da specificare l’ordine di 
soggetti, verbi e complementi in una frase. Dopo aver potenziato la sua 
creatività con della buona marijuana hawaiana, Bickerton propose di 
prendere sei famiglie che parlavano lingue diverse e metterle insieme su
 un’isola disabitata per tre anni. Se la sua teoria era giusta, i 
genitori avrebbero formato un “pidgin”, cioè un idioma basato sulla 
mescolanza delle diverse lingue originarie, con un vocabolario limitato e
 concordato ma senza una vera struttura o complessità. I bambini, 
invece, avrebbero prodotto un “creolo”, cioè una lingua completa con una
 vera grammatica, corrispondente alle caratteristiche del bioprogramma 
che lui aveva ipotizzato. L’università della Hawaii approvò l’idea. Ma 
la National science foundation statunitense annullò il progetto temendo 
che fosse impossibile assicurarsi il consenso informato delle persone 
che partecipavano all’esperimento. A meno che i ricercatori non 
trovassero un gruppo di bambini che non erano stati esposti a nessuna 
lingua prima di stare insieme, questo fondamentale interrogativo sulla 
natura umana sarebbe rimasto senza risposta. E visto che non sono mai 
state scoperte tribù o popolazioni mute, sembrava una fantasia 
irrealizzabile. Ma all’insaputa di Bickerton, il suo sogno stava 
diventando realtà in Nicaragua. 
Un nuovo dizionario 
Negli 
anni ottanta il Nicaragua, devastato da vent’anni di guerra e disastri 
naturali, era ben diverso dall’atollo idillico e isolato del Pacifico 
immaginato da Bickerton per il suo studio. Ma per alcuni versi 
l’esperimento naturale che stava nascendo nel paese era superiore alla 
sua proposta. Bickerton aveva immaginato di mettere insieme famiglie che
 parlavano lingue diverse per vedere se i figli ne avrebbero creata 
un’altra ancora. ampliando la scuola Melania Morales e fondando la 
scuola professionale per sordi, i sandinisti avevano fatto di meglio: 
avevano preso centinaia di sordi che non avevano nessuna lingua e li 
avevano esposti l’uno all’influenza dell’altro fino all’età adulta. La 
Melania Morales non era l’unica fonte di creatività linguistica per i 
sordi del Nicaragua. a Managua c’era anche una casa gialla di un solo 
piano dietro a un centro commerciale. La chiamavano “la casa dei sordi” 
ed era gestita da Javier, María e Sandra López, le persone che Reyna 
Cruz aveva portato alla riunione con il preside. Javier López era nato 
nel 1961. In famiglia comunicava con segni rudimentali che il padre lo 
aveva aiutato a sviluppare attraverso i disegni. A scuola gli insegnanti
 cercavano di fargli pronunciare i suoni spagnoli torcendogli il mento. 
Da giovane si era guadagnato da vivere montando sedie a rotelle, ma 
aveva dedicato la maggior parte del suo tempo a un’attività che non 
richiedeva molti discorsi: l’atletica. Era un buon velocista, correva i 
cento metri in appena undici secondi, solo un secondo in più del record 
mondiale. López vide per la prima volta una lingua dei segni nel 1977, 
in un programma tv statunitense. Durante un viaggio in Venezuela per 
partecipare a una gara, comprò una guida alla lingua dei segni usata 
nella Costa Rica e la portò in Nicaragua. Ma nell’istituto professionale
 l’oralismo era imposto ancora più severamente che alla Melania Morales:
 gli insegnanti picchiavano sulle mani gli studenti sorpresi a 
scambiarsi gesti. un giorno gli insegnanti di López gli confiscarono il 
dizionario. Lui però non si fece intimorire: entrò nella stanza dove i 
professori avevano lasciato il libro, lo nascose in un costume da ballo 
popolare e se ne andò. López e alcuni suoi amici sordi cominciarono a 
riunirsi regolarmente per guardare il dizionario. All’inizio si 
sforzarono d’imparare i segni della Costa Rica, ma cercare di comunicare
 usando un manuale straniero era innaturale, perché nessuno di loro 
aveva mai usato segni del genere con la famiglia o con gli amici. “Non 
mi riconoscevo in quei gesti”, spiega López. “sentivo che dovevo trovare
 dei segni che ci appartenessero”. Così cercarono di creare un loro 
vocabolario. a ogni incontro i partecipanti analizzavano un elenco di 
concetti, spesso aprendo un giornale e indicando le foto o i fumetti. 
Poi proponevano dei segni e votavano per quello che avrebbero usato. 
Infine López, che era diventato un abile disegnatore grazie agli sforzi 
fatti da bambino per comunicare con il padre, riportava su carta ogni 
segno uscito vittorioso dalla votazione in modo da creare un archivio 
delle loro decisioni. Del gruppo facevano parte studenti più grandi e 
ragazzi appena usciti dalla Melania Morales, quindi i bambini della 
scuola potevano includere quei segni nella loro lingua nascente. López 
cominciò a chiedere contributi finanziari ai donatori stranieri e nel 
1988 una ricca associazione svedese che aiutava i sordi accettò di 
comprare la casa gialla. Il gruppo di López, l’associazione nazionale 
dei sordi del Nicaragua (ansnic), diventò l’ente dei sordi del paese. 
Dopo l’incontro della famiglia López e di Reyna Cruz con il preside 
della Morales, il gruppo avviò la formazione del corpo insegnanti della 
scuola, che abbandonò l’oralismo a favore di quella che oggi è nota come
 lingua dei segni del Nicaragua (Isn). Per i bambini sordi del paese fu 
la salvezza. Da piccolo Jordan Cienfuegos, un ragazzo di 25 anni pelle e
 ossa che si sta specializzando nell’insegnamento ai sordi 
all’università nazionale del Nicaragua, cominciò a frequentare una 
scuola per udenti. “Non volevo andarci”, ricorda, “mi sentivo solo”. 
Così rimase a casa, facendo il possibile per capire la madre leggendole 
le labbra. Quando aveva otto anni la mamma lo portò alla Melania 
Morales. “Avevo paura delle persone che facevano segni con le mani, ma 
mia madre mi spiegò che erano sordi”, dice. “Finalmente capii che non 
ero l’unico bambino sordo del mondo”. L’Isn è una lingua e anche una 
risorsa per la vita comunitaria. alla festa dell’ansnic a cui ho 
partecipato, Jefreey sadrac Mejía danzava davanti a una ragazza seduta 
che si copriva la bocca con i capelli per nascondere il sorriso. Ballare
 è la sua passione: non può sentire le vibrazioni della musica, ma 
osserva gli altri ballerini e “sente la musica nel corpo”. a scuola 
Sadrac Mejía aveva molti problemi e i genitori, entrambi lavoratori, 
erano troppo impegnati per aiutarlo. Così cominciò a frequentare la casa
 gialla: “Mi aiutavano a fare i compiti. Insieme a me c’erano tanti 
altri bambini sordi”, dice. “I miei voti migliorarono e io ero contento 
di aver trovato un posto così”. 
L’uso dello spazio 
La 
nascita dell’Isn ha dato ai linguisti un’opportunità senza precedenti 
per assistere al passaggio dall’assenza alla presenza della lingua, un 
processo simile a quello che dev’essere avvenuto quando il linguaggio 
verbale è emerso per la prima volta. Il confronto non è perfetto: mentre
 crescevano i nicaraguensi sordi erano circondati da gente che parlava 
una lingua, a differenza dei loro antenati nella savana preistorica. 
Eppure, come disse Noam Chomsky in un’intervista del 1996, “questa è 
l’analogia più vicina che la natura può fornirci al tipo di esperimento 
che avremmo fatto se avessimo dato mano libera a Josef Mengele”, medico e
 criminale nazista. La prima linguista a rendersi conto di quello che 
stava succedendo fu Judy Kegl, un’ex studente di Chomsky. Nel 1986 
l’associazione statunitense Linguisti per il Nicaragua, che sosteneva la
 campagna di alfabetizzazione dei sandinisti, la mandò a Managua. Visto 
che Kegl aveva studiato la lingua dei segni americana (asl) al 
Massachusetts institute of technology (Mit), il ministero 
dell’istruzione nicaraguense le chiese di lavorare con i sordi. Il suo 
primo incarico fu all’istituto professionale, dove gli studenti più 
giovani avevano circa 18 anni. Tutti avevano sviluppato diversi segni 
per comunicare con le famiglie a casa, e si percepiva. In classe avevano
 concordato alcuni segni per indicare le parole più importanti del 
mestiere che stavano imparando. Erano in gran parte descrizioni semplici
 degli oggetti o delle attività a cui erano collegati. Ma questo 
vocabolario era limitato a un unico segno per ogni idea o avvenimento, e
 i segni non venivano combinati in frasi o paragrafi. Di solito i 
bambini più grandi hanno un linguaggio più elaborato. Ma quando Kegl 
visitò la Melania Morales scoprì che era vero il contrario. a differenza
 degli studenti dell’istituto professionale, tutti i bambini avevano un 
segno particolare per indicare se stessi. Non si conosce nessun sistema 
gestuale che assegni dei nomi ai suoi utenti. Inoltre, ogni studente 
dell’istituto professionale formava i segni concordati in modo 
leggermente diverso, e spesso dovevano provare molti movimenti per far 
capire all’interlocutore i loro messaggi. Gli alunni delle elementari, 
invece, si scambiavano gesti fulminei senza avere nessun problema 
d’incomprensione. Per cercare di decifrare questi segni, nei viaggi 
successivi Kegl portò con sé delle strisce a fumetti di Mr Koumal, un 
personaggio cecoslovacco le cui avventure si possono descrivere solo 
usando molti concetti e tempi verbali. Quando mostrò le strisce ai 
bambini chiedendogli di raccontare le storie con i segni, distinse nei 
loro gesti alcuni schemi chiaramente grammaticali che ricordavano da 
vicino le strutture di lingue dei segni straniere a cui i bambini non 
erano mai stati esposti. In particolare Kegl fu colpita dalla posizione 
delle loro mani quando segnavano. Per distinguere tra soggetto e oggetto
 l’inglese e lo spagnolo si basano soprattutto sull’ordine delle parole,
 insieme a qualche preposizione o pronome declinato. Il gruppo 
dell’istituto professionale aveva una tecnica simile e usava una rigida 
sequenza sostantivoverbosostantivoverbo (per esempio “lui dà, lei 
riceve”). Invece i bambini della Melania Morales facevano a meno di 
questa convenzione. Approfittavano di un espediente comunicativo 
fondamentale presente nel linguaggio manuale, ma assente dalla lingua 
parlata: l’uso dello spazio. Assegnavano un punto di fronte a sé 
all’uomo e un altro alla donna, e muovevano la mano da un punto 
all’altro facendo il segno del verbo “dare”, condensando così in un 
movimento solo i quattro segni che sarebbero stati necessari seguendo il
 metodo dell’ordine delle parole. “Nessuno si era ancora accorto che 
quei bambini sordi avevano una lingua”, racconta Kegl. “Ma con l’occhio 
della linguista, capii che era tutto lì. riuscivo a cogliere la 
grammatica, le ripetizioni e le espressioni facciali che avevano una 
funzione sintattica. a quel punto dissi: ‘aspettate un attimo, cosa sta 
succedendo?’”. Quando la notizia di quello che avveniva alla Melania 
Morales raggiunse i dipartimenti di linguistica di tutto il mondo, gli 
innatisti esultarono. Steven Pinker, uno dei maggiori esponenti di 
questa teoria, ne fece un caso di studio nel suo libro 
L’istinto del linguaggio. 
Negli
 anni successivi nacque una piccola industria specializzata nella 
ricerca sulla lingua dei segni del Nicaragua. I lavori più rigorosi 
pubblicati negli ultimi anni non abbracciano l’interpretazione innatista
 più estrema, secondo cui la lingua è apparsa perfettamente formata 
dalla sera alla mattina, come Atena dalla testa di Zeus. Però sostengono
 gli innatisti lasciando intendere che i bambini hanno una facoltà 
linguistica congenita separata e distinta dall’intelligenza generale 
degli esseri umani. 
Schema ricorrente
Ann Senghas, una 
professoressa del Barnard college di New York, studia l’Isn dal 1989, 
concentrandosi soprattutto su come ogni gruppo successivo di studenti 
cambia il suo modo di comunicare. In uno studio Senghas ha misurato la 
“modulazione spaziale”, cioè se chi segna attribuisce una posizione 
coerente e diversa nello spazio a ogni persona o cosa di cui sta 
parlando in base al suo ruolo in una frase. Senghas ha scoperto che 
mettere insieme dei bambini piccoli non bastava a produrre questa 
caratteristica distintiva di una lingua dei segni matura: molte persone 
del primo gruppo di madrelingua, entrate alla Melania Morales tra il 
1977 e il 1983, si affidavano all’ordine delle parole per collegare 
sostantivi e verbi oppure cambiavano le posizioni da una frase 
all’altra. Nel secondo gruppo, però, quasi tutti usavano la stessa 
regola spaziale. Inoltre le persone del secondo gruppo che non usavano 
la regola spaziale avevano in comune un dato molto significativo. Molti 
linguisti credono che gli esseri umani imparino come madrelingua solo la
 lingua a cui sono esposti da piccoli, molto prima dell’inizio della 
pubertà. Gli innatisti sottolineano questo “periodo critico” a 
dimostrazione di un istinto biologico: se i bambini sono molto più bravi
 degli adulti a imparare le lingue, ma meno bravi ad apprendere quasi 
ogni altra cosa, quest’abilità linguistica dipenderà dal genoma. E in 
effetti mentre gli abili gesticolatori del secondo gruppo avevano in 
comune di essere entrati alla Melania Morales prima di compiere sei 
anni, quelli che non avevano il controllo totale di tutte le 
sottigliezze della lingua l’avevano imparata da più grandi.
Questo
 schema – gli esseri umani possono creare una lingua completa solo se 
sono circondati fin da piccoli da persone più grandi che producono 
simboli linguistici come suoni o gesti – suggerisce un solo meccanismo 
plausibile per l’origine della lingua. I primi a usare il precursore 
dell’Isn, tra cui López e le persone più anziane dell’ansnic, avevano 
creato un vocabolario limitato senza sviluppare una grammatica per 
collegare una parola all’altra. Il primo gruppo di madrelingua cominciò a
 essere esposto a questa serie di segni non collegati tra loro all’età 
di cinque anni. È il periodo in cui gli esseri umani hanno una 
predisposizione congenita a individuare e a riprodurre le regolarità 
linguistiche, una caratteristica emersa forse da una mutazione genetica 
favorevole in qualche fase della preistoria. “Quando i bambini 
osservavano qualcosa che sembrava uno schema ricorrente, pensavano 
sbagliando che fosse una regola”, scrive il marito di Kegl, James, che 
ha fondato una scuola per sordi sulla costa atlantica del Nicaragua. Le 
regole appena inventate si diffondevano con rapidità tra i compagni di 
gioco e di classe. Quando il secondo gruppo cominciò a frequentare la 
scuola, le regole erano diventate abbastanza comuni da far sì che ogni 
persona giovane della generazione successiva le riproducesse alla 
perfezione. “La mente dei bambini trova schemi ovunque”, dice Senghas. 
“Qualunque cosa diventa grammatica”. Anche tra gli innatisti rimane 
molta incertezza su quali abilità linguistiche possano essere acquisite a
 pieno solo dai bambini. Individuare queste abilità sarebbe forse il 
modo migliore per identificare quali aspetti della lingua hanno una base
 nella biologia e quali nella cultura. un altro studio di Senghas si è 
avvicinato come mai in passato a questo difficile obiettivo. La studiosa
 ha preso dieci persone da tre diversi gruppi che usavano l’Isn e dieci 
nicaraguensi che parlavano lo spagnolo. Poi gli ha mostrato lo stesso 
fumetto di un gatto che, dopo aver ingoiato una palla da bowling, rotola
 giù da una collina. Infine li ha registrati mentre raccontavano quello 
che avevano visto. tutto quello che dicevano le persone udenti era 
irrilevante, l’unica cosa importante erano i gesti che accompagnavano le
 loro parole. Senghas ha concentrato l’attenzione su un aspetto, cioè se
 i soggetti dell’esperimento spezzavano la “modalità” del movimento 
(rotolare) e la “direzione” (verso il basso) in gesti diversi, oppure se
 li lasciavano uniti in un’unica ricostruzione del movimento. Per la 
comunicazione semplice di quello che è successo, il movimento combinato 
dà maggiori informazioni: dimostra che il rotolamento e il movimento 
verso il basso sono avvenuti simultaneamente invece che, per esempio, 
con un rotolamento orizzontale seguito da una caduta. Però i movimenti 
separati sono più flessibili: possono essere riadattati per descrivere 
ogni tipo di rotolamento o qualsiasi movimento verso il basso. I 
risultati di questo esperimento hanno segnato una linea di demarcazione 
netta tra le forme più avanzate di comunicazione non linguistica, usate 
da molte altre specie, e i tipi più rudimentali di linguaggio, che hanno
 solo gli esseri umani. tutti gli udenti e gran parte delle persone 
sorde del primo gruppo mimavano il movimento in un unico gesto. La 
maggioranza delle persone sorde del secondo e terzo gruppo, invece, 
riproduceva modalità e direzione con segni diversi, e molte ripetevano 
il primo segno – cioè “rotolarescendererotolare” – per chiarire che i 
movimenti erano simultanei. Era questa l’essenza di ciò che rende una 
lingua tale. Solo la comunicazione linguistica, scrive Senghas, è 
“discreta e combinatoria”: scomponendo le cose in pezzi (parole) e 
rimontandole in modi nuovi consente a chi parla di produrre “una serie 
infinita di espressioni con una serie infita di elementi”. “La modalità e
 la direzione del movimento non sono mai separati nel mondo reale”, dice
 la studiosa. “Ma noi le smontiamo e le associamo a cose separate in una
 frase. Un gatto osserva un evento, ma non lo distingue in soggetto 
dell’azione, azione e oggetto dell’azione. Cosa fa la parte linguistica 
del cervello? Smonta le cose in pezzi che poi vengono modellati in 
blocchi di linguaggio”. 
Una questione politica 
Dalla sua 
comparsa all’inizio degli anni ottanta fino a oggi l’Isn ha continuato a
 crescere. In seguito a una vivace campagna di protesta all’inizio degli
 anni duemila per permettere ai sordi di proseguire gli studi dopo le 
elementari, due istituti secondari pubblici di Managua hanno cominciato a
 usare gli interpreti. In una di queste scuole, nel quartiere di Bello 
Horizonte, tre studenti su cinque nelle classi miste dell’istituto sono 
sordi. Molti alunni udenti hanno imparato la lingua dei segni per fare 
amicizia con i compagni e per frequentare le ragazze sorde. L’università
 pubblica sta formando una nuova generazione di interpreti che per la 
prima volta offriranno ai sordi l’opportunità di studiare con docenti 
madrelingua Isn. Nel 2009 il governo ha dichiarato l’Isn una lingua 
ufficiale. Perciò ora i discorsi ufficiali sono tradotti e i giudici, i 
sacerdoti e i medici studiano la lingua. Ma se da una parte l’Isn ha 
contribuito a integrare i sordi nella società nicaraguense, la lingua ha
 dovuto evolversi per tenere il passo. Negli anni ottanta il vocabolario
 dell’Isn è cresciuto in modo organico, con nuovi segni che apparivano 
quando ai sordi mancava una parola per un’idea che volevano comunicare. 
Ora che la lingua viene usata per insegnare discipline come scienza, 
storia e matematica, il processo si è rovesciato: affinché gli studenti 
sordi possano capire un concetto accademico preciso, occorre prima 
inventare un segno. Anche l’avvento degli smartphone e dei social 
network ha prodotto un rapido cambiamento. anche se per 
l’alfabetizzazione non serve l’udito, i sordi hanno difficoltà con la 
comunicazione scritta, perché non riescono a mettere bene in relazione 
una lettera con il suono corrispondente. Con gli emoji è diverso, e oggi
 le persone sorde inviano messaggi pieni di simboli pittografici. 
un’opzione ancora migliore sono le videochiamate: gli adolescenti sordi 
del Nicaragua sono bravissimi a segnare con una mano sola mentre tengono
 il telefono nell’altra. Come per tanti altri aspetti della vita del 
paese centroamericano, la questione di come cambia l’Isn e di chi ne 
influenza lo sviluppo ha assunto una forte connotazione politica. Per 
chi simpatizza con la rivoluzione sandinista, il solo fatto che sia nata
 la lingua dei segni è un trionfo dell’autodeterminazione nicaraguense. 
Per decenni i difensori dei sordi negli stati uniti hanno cercato 
d’incoraggiare la comunità internazionale dei sordi diffondendo la 
lingua dei segni americana in tutto l’emisfero. Ma nel Nicaragua dei 
sandinisti gli “imperialisti linguistici” non hanno fatto presa, dando 
alla lingua dei segni locale la possibilità di mettere radici. Da quando
 Javier López decise d’ignorare il suo prezioso dizionario dei segni 
della Costa Rica, lui e l’ansnic hanno lottato per scongiurare ogni 
“contaminazione” straniera. Il governo si rifà all’associazione sia per 
produrre il dizionario usato nelle scuole sia per formare e accreditare 
gli interpreti. “altri paesi centroamericani copiano il dizionario dei 
segni americano, gli cambiano il nome e lo chiamano per esempio lingua 
dei segni dell’Honduras”, dice Maria López. “Noi diciamo: ‘Questo è un 
segno dei gringos e non vogliamo usarlo. Nessuno può inquinare la lingua
 qui’”. È un atteggiamento molto apprezzato dai linguisti che studiano 
l’Isn – quasi tutti statunitensi – perché ha contribuito a conservare 
intatto quest’esperimento naturale per quarant’anni. Ma resta da vedere 
se tutta questa sorveglianza risponda davvero agli interessi dei sordi 
del Nicaragua. Nonostante la rapida crescita dell’Isn, in tutto il mondo
 ci sono forse solo 2.500 persone che parlano la lingua e qualche decina
 d’interpreti che sono in grado di tradurlo. Invece solo negli stati 
uniti ci sono almeno 500mila persone che usano perfettamente la lingua 
dei segni americana, la lingua franca dei sordi in tutta l’America 
Latina. Proprio come imparare l’inglese può migliorare le prospettive di
 chi parla spagnolo, la lingua dei segni americana può aprire molte 
porte alle persone sorde. Secondo Cynthia Fornos, che è sorda perché sua
 madre aveva contratto la rosolia durante la gravidanza, il 
protezionismo linguistico dell’ansnic sta rallentando lo sviluppo 
dell’Isn. “Secondo l’associazione ogni persona sorda deve parlare la 
versione della lingua dell’ansnic”, dice. Ma il dizionario dell’ansnic 
contiene solo 1.200 parole e non viene aggiornato da vent’anni. “Quando 
una parola manca, viene presa in prestito da un’altra lingua”, spiega. 
“La mia lingua dei segni si è fusa con lo spagnolo e con le lingue dei 
segni di altri paesi. L’ansnic sostiene di rispettare i nostri segni, ma
 non è così. Quando parliamo con loro, ripetono sempre: ‘aderite 
all’associazione, cambiate il vostro modo di parlare’”. Javier López non
 rinuncerà mai ai suoi sforzi per mantenere puro l’Isn. Ma il suo vero 
progetto di vita è l’adozione di massa della lingua. I suoi sforzi hanno
 avuto tanto successo che ora l’Isn ha troppi utenti perché l’ansnic 
riesca a controllarla. Raggiungendo un numero sempre maggiore di 
persone, l’Isn continuerà a crescere e ad assimilare prestiti 
dall’estero. Questo lo renderà meno prezioso per i ricercatori, ma 
sempre più funzionale per chi lo usa. Al di là del suo valore per i 
linguisti, l’Isn ha aiutato soprattutto i nicaraguensi sordi, che sono 
passati dall’isolamento all’inclusione nell’arco di una generazione. 
“Imparare i segni mi ha aiutato a capire e a conoscere tante cose”, dice
 Jordan Cienfuegos. “Ora non mi vergogno più di essere sordo, di andare 
per strada, perché posso usare i segni. Finalmente mi sento una persona 
come le altre”.
 
