Il Sole 12.6.18
Le «praterie» di Salvini e le spine di Di Maio
di Lina Palmerini
I
voti si pesano e non si contano: sembra che questa regola che il
banchiere Cuccia applicava alle azioni non valga solo in finanza ma pure
in politica e Salvini ne è diventato l’interprete. Non solo ha gestito
la metà dei consensi avuti il 4 marzo rispetto ai 5 Stelle con
un'abilità tale da risultare l'azionista forte della alleanza ma ieri ha
pure incassato il dividendo in una elezione amministrativa in cui lui
ha fatto il pieno mentre il partito di Luigi Di Maio arretra. E la
vicenda di questi giorni della nave Aquarius è illuminante di come
detenga una leadership effettiva sul Governo. E qui non basta dire che
lui è il ministro dell'Interno perché ha occupato talmente tanto la
scena da farci dimenticare che esiste un premier. E che esiste un’altra
forza della coalizione – i grillini – che però sono andati completamente
al traino della Lega, figurando solo come i portatori di acqua. È vero
che sull’immigrazione si può essere arrivati a una piena sintonia tra i
due partiti, ma per i 5 Stelle il problema è dove trovare gli spazi per
fare loro da traino e non giocare solo di rimessa. Il dilemma, insomma, è
se ce la faranno mai a ribaltare il gioco di Salvini. Al momento non
sembra.
Innanzitutto perché l'immigrazione è stata trasformata dal
leader leghista in una “prateria” politica: nella sua “narrazione” sta
lì la causa principale di molti dei mali italiani, dalla sicurezza
all’economia e al lavoro. Non è detto che la strategia del ministro
dell’Interno funzioni, anzi. La vicenda Aquarius ha mostrato i rischi -
al di là dell'aiuto offerto dalla Spagna - che si riproporranno con i
prossimi sbarchi. Tuttavia, anche solo cambiare il linguaggio e fare
prove di forza – adesso – può bastare agli italiani e comunque rafforza
l’immagine di un Governo ritagliato su Salvini. Ma quello che più conta è
che la Lega sa gestire la propaganda tanto quanto la sostanza con posti
di potere. Per esempio, a Palazzo Chigi il ruolo di Giancarlo Giorgetti
è di quelli che pesano soprattutto se – come si dice – prenderà lui la
gestione del Cipe. Cosa vuol dire? Di fatto gestire le infrastrutture e
“oscurare” il ministro grillino Toninelli perché è lì che si decidono i
fondi. Su Tav e Tap esisteva una versione a 5 Stelle diversa dalla Lega
ma anche su questo fronte – a quanto pare - si curva a destra. Proprio
in questa chiave - di equilibrio reale tra i due partiti - diventa
interessante vedere come finirà sulle nomine.
Ma al netto di
quelle caselle, ai 5 Stelle cosa rimane? Luigi Di Maio, come titolare
dello Sviluppo e del Lavoro ha in mano solo i dossier con le spine: le
crisi aziendali, i numeri della disoccupazione, il reddito di
cittadinanza che non partirà subito, la riforma della Fornero che
potrebbe deludere elettori leghisti e grillini. Tanto più che al Mef il
ministro Tria ha già tracciato una linea netta pro-Europa e rispettosa
dei vincoli che stringe i cordoni della borsa. La vera sponda per Di
Maio potrebbe essere il premier ma questo, per Conte, vorrebbe dire
assumere un profilo sempre più marcatamente grillino. E forse a non
volerlo non sarebbe solo Salvini ma anche Di Maio che avrebbe un
competitor in più e proprio a Palazzo Chigi.