il manifesto 6.6.18
La sinistra ridotta a pensiero unico delle élites
Populismo.
Sono stupefatto di vedere che il buonismo di sinistra si limita
all’accoglienza ma non si pone mai il problema delle cause. Perché ci
sono oggi tanti migranti? Perché siriani e libici che fino
all’intervento dell’Occidente godevano di un tenore di vita elevato,
sono oggi profughi in terra straniera?
di Carlo Freccero
La
sinistra è oggi in crisi e si chiede come potrebbe parlare ai nuovi
populismi per ricondurli nei binari di una democrazia elitaria che
assomiglia più ad un’oligarchia che ad una democrazia in senso proprio.
Viceversa,
anche quando dice di voler ascoltare il malessere di cui i populismi
sono espressione, la sinistra si trincera nei luoghi comuni del
politicamente corretto. Mentre, secondo me, basterebbe un’autoanalisi
oggettiva per capire le cose da un’altra angolazione. La domanda è cos’è
oggi la sinistra e cos’era una volta la sinistra? Perché c’è stato un
così radicale cambiamento? So già la risposta. Ci sbagliavamo. E se ci
sbagliassimo adesso?
In ogni caso riflettere su cosa sia stata la sinistra alle sue origini, contiene già la risposta al problema del populismo oggi.
Prima
il populismo di destra non c’era perché molte delle istanze del
populismo di oggi erano a sinistra. E la crescita dei diritti del popolo
non era considerata reazionaria, ma progressista.
La grande
frattura a sinistra inizia con la cosiddetta terza via e la resa
completa dai progressisti nei confronti del neoliberismo. Da allora
siamo immersi nel pensiero unico tanto da aver perso la memoria di noi
stessi.
Nel 1968 avevo vent’anni ed ero di sinistra. Cosa
significava allora essere di sinistra? Credere nella lotta di classe e
nella coscienza di classe. Nessuno pensava allora che nel popolo ci
fosse qualcosa di sbagliato che le élites dovevano “raddrizzare” per il
bene del popolo stesso. Era il popolo che, assumendo coscienza, poteva e
doveva guidare la società. E questo concetto, prima che di sinistra, è
democratico.
Cos’è oggi essere di sinistra?
Essere
politicamente corretti. Accettare il pensiero unico in maniera acritica e
credere, presuntuosamente che, in quanto detentrici del pensiero unico,
le élites devono guidare un popolo ignorante e rozzo, irritante per la
sua mancanza di educazione.
È vero, questo popolo, il popolo che
si raccoglie sotto l’etichetta di “populismo” non ha nulla a che fare
con il concetto di “coscienza di classe” sulla base della quale, invece
il proletariato marxista era considerato in grado di fare le scelte
migliori per la società tutta. Ma è comunque un popolo che esprime un
malessere, che coglie delle contraddizioni che sono reali e drammatiche,
nella narrazione idilliaca del pensiero unico che vede nel neoliberismo
e nei suoi diktat “il migliore dei mondi possibili”.
In quanto
poi all’educazione al “politicamente corretto” che distingue le élites
del popolo e che dovrebbe costituire la ragione della loro superiorità
rispetto al popolo, siamo sicuri che sia “vera” e non sia piuttosto
frutto di propaganda?
Da quando studio la propaganda non credo più
al politicamente corretto. I diritti umani a cui abbiamo sacrificato i
diritti sociali, mi sembrano usciti direttamente dalla Finestra di
Overton, una metodologia per condizionare l’opinione pubblica con un
graduale e progressivo lavaggio del cervello.
Cosa resta di sinistra a sinistra?
L’apparente
solidarietà per gli ultimi. Oggi l’attenzione che ieri si tributava al
proletariato, viene tributata ai migranti. È evidente che usare un
linguaggio come quello della Lega e negare ogni forma di solidarietà è
disturbante, scandaloso.
Ma almeno attrae l’attenzione su un
fenomeno su cui, come altri considerati “naturali” dal pensiero unico,
non ci poniamo alcun interrogativo. Per le élites i migranti non
costituiscono problema perché risiedono in altri quartieri e insidiano
posti di lavoro e salari che sono appannaggio delle classi più
impreparate alla competizione neoliberista. Ma proprio ponendoci dal
lato dei migranti e dei loro diritti, quale maggior diritto dovremmo
riconoscere loro, se non il diritto a non emigrare, a non rischiare la
vita su barconi improvvisati, a non subire violenze ed abusi, a non
conoscere il disprezzo e il razzismo delle società che non vorrebbero
accoglierli?
Sono stupefatto di vedere che il buonismo di sinistra
si limita all’accoglienza ma non si pone mai il problema delle cause.
Perché ci sono oggi tanti migranti? Perché siriani e libici che fino
all’intervento dell’Occidente godevano di un tenore di vita elevato,
sono oggi profughi in terra straniera? Non sono forse vittime di quel
“politicamente corretto” che ci obbliga, come occidentali a continue
missioni di pace e di solidarietà per restituire la democrazia ai paesi
ancora al di fuori delle regole del neoliberismo? Non si tratta di
“aiutarli a casa loro” ma di lasciarli in pace a casa loro.
L’ottusa
opposizione populista all’immigrazione, segnala comunque un problema
che alle sinistre tradizionali sfugge, perché, nell’ordine del discorso
del pensiero unico dove tutto è “naturale”, e tutto è “irriformabile” e
l’unica risposta possibile non è la coscienza, ma la carità.
Ma
essere di sinistra non può ridursi ad un atteggiamento caritatevole,
richiede piuttosto una visione diversa della società, rispetto
all’ordine vigente.