il manifesto 28.6.18
Gli ultimi vincenti di un duello secolare
«L’età della moneta» di Rita Di Leo per il Mulino
di Andrea Fumagalli
Presentare
un affresco di storia europea (e non solo) lungo sei secoli sapendo
cogliere i momenti essenziali della dinamica del rapporto, ora
controverso, ora sinergico, tra potere e le élites non è un compito
facile. E farlo con un linguaggio semplice, immediatamente
comprensibile, costellato anche da un certo immaginario umanista, è
ancor più difficile.
EPPURE L’ULTIMO LIBRO di Rita Di Leo (L’età
della moneta, Il Mulino, euro 19, pp. 190) riesce in questa difficile
impresa. In poco meno di centottanta pagine, la nota studiosa del
comunismo sovietico, da giovane appartenente al primo operaismo italiano
dei Quaderni Rossi di Raniero Panzieri e Mario Tronti, descrive la
storia dei mutevoli rapporti di forza tra uomini della moneta, della
spada, del lavoro, dei libri, fra élite economiche ed élite politiche.
Le pagine descrivono una parabola che attraverso il feudalesimo, il
nazionalismo, l’imperialismo, il socialismo, la democrazia e la
finanziarizzazione dell’economia, giunge al tempo presente
dell’information technology. Grazie agli algoritmi dopo secoli di
subalternità dell’economia al potere politico, si è passati al conflitto
per la guida della società, che vede prevalere gli «uomini della
moneta» con una vittoria di cui la stessa costruzione europea è massima
espressione.
L’ATTUALE EGEMONIA degli «uomini della moneta» è
l‘esito di una successione di conflitti che ha inizio nel medioevo
quando «gli uomini della spada» erano in grado di comandare perché
detentori del monopolio della difesa del territorio, fonte di produzione
naturale da cui dipendeva la possibilità di sopravvivenza e di
riproduzione del genere umano. Sarà solo con l’affrancamento degli
«uomini dei libri» e lo sviluppo di un autonomia del ruolo intellettuale
come strumento di controllo e di indirizzo del potere sovrano che a
partire dal periodo del mercantilismo e soprattutto dopo la rivoluzione
industriale e francese, con il sorgere del capitalismo, che gli «uomini
del lavoro» e «della moneta» cominciano ad assumere un ruolo rilevante.
Gli
«uomini del lavoro» nascono dopo che gli uomini della moneta hanno
cominciato a muovere i primi passi, con lo sviluppo del sistema
creditizio e bancario del XVII e XVIII secolo (ad esempio, i Fugger), in
grado di condizionare il finanziamento dei progetti di espansioni degli
«uomini della spada». Come scrive Di Leo, «gli uomini della moneta
creano gli uomini del lavoro». Riproponendo un’intuizione trontiana, gli
«uomini della moneta» hanno però vitale bisogno degli «uomini del
lavoro» mentre non è vero il viceversa. Da qui la necessità di
subordinarli.
NASCE COSÌ LA DIALETTICA conflittuale moderna tra
capitale (uomini della moneta) e lavoro, con il tentativo di liberare il
lavoro dal capitale, esemplificato dall’esperimento sovietico nel XX
secolo.
Di Leo, grande esperta di questa materia, mostra come tale
tentativo non avrebbe potuto avere successo. Gli uomini del lavoro si
traformano in «uomini del piano», cercando di sostituire gli uomini
della moneta.
LA CONSEGUENTE «gestione popolare dell’economia –
scrive Di Leo – salva il ruolo del partito (bolscvico, n.d.r.), ma via,
via, consegna il paese alla logica del capitale». La logica del capitale
è quella della competizione: «La concorrenza tra l’economia del
socialismo e l’economa del capitalismo è stata la scelta che ha fatto
fallire l’esperimento sovietico e franare l’universo del lavoro nel
mondo intero». Così: «l’uomo della moneta si è affermato nel ruolo guida
all’alba del XX secolo». E tale affermazione dipende anche dal fatto,
con un implicito riferimento alla Nuova ragione del mondo di Pierre
Dardot e Christian Laval, che «l’uomo della moneta è antropologicamente
oltre l’uomo economico nella definizione che si ritrova nella
letteratura dei filosofi, degli economisti dei politologi» (il concetto
di homo oeconomicus di Stuart Mill).
Se il concetto di Stuart
Mill, si riferiva al comportamento utilitaristico come base
dell’attività di scambio (tra un dare e un avere), l’antropologia
culturale dell’uomo della moneta «sta nel vedere l’uomo così come è,
nelle sue capacità di autodirigersi o di concerto di accettare di essere
autodiretto».
Ne consegue che, in modo naturale, «esiste la
divisione tra capaci e incapaci, tra forti e deboli: sono due universi
paralleli che non si incrociano come nel passato era successo
all’universo del capitale e all’universo del lavoro».
IN TALE CONTESTO, anche gli «uomini del libro» diventano inutili così come il loro «pensare».
C’è
una vena di pessimismo nelle conclusioni di Rita Di Leo quando scrive:
«Nell’età della moneta, l’uomo si riconosce primariamente nella
condizione originaria di animale asociale». Una concezione ben diversa
da quella aristotelica, secondo la quale l’Homo Sapiens è un «animale
che ha linguaggio» e un «animale politico».
C’è tuttavia una
considerazione finale che preme fare. Rita Di Leo nel suo racconto
storico parla sempre di «uomini», al maschile, crediamo non casualmente.
Sappiamo che le donne hanno contributo in maniera determinante
all’evoluzione progressista della società umana. È arrivato il momento,
per fermare la deriva attuale, che ne diventino le principali
protagoniste.