il manifesto 22.6.18
L’inaccettabile avviso del ministro a Saviano
di Andrea Colombo
Possono esserci decine di buone ragioni per revocare una scorta, o anche solo per paventarne la revoca.
Ma
ce n’è una certamente sbagliata: l’aver criticato il ministro degli
Interni. La minaccia di Matteo Salvini, forse resa ancora più grave
dallo stile scelto, l’avvertimento implicito, non è faccenda che
riguardi lo scrittore Roberto Saviano, sul quale ciascuno può pensare
ciò che vuole. Attiene solo allo stile del ministro e vicepremier, e
all’idea di potere che ne traspare.
«Saranno le istituzioni
competenti a valutare se corra qualche rischio, anche perché mi pare che
passi molto tempo all’estero», così il responsabile del Viminale, tra
una dichiarazione di guerra alle Ong e l’altra, giusto all’indomani di
una critica acuminata mossagli dallo scrittore napoletano. Decidere in
materia non spetta al ministro, e lo sa anche lui. Come sapeva benissimo
di non poter censire etnicamente nessuno. Ma è il suo stile e sarebbe
un errore scambiare i ringhi in questione per pure boutade
pubblicitarie.
Sono segnali e in quanto tali pericolosi. A volte come e anche più delle stesse misure concrete.
Un
ministro che minaccia un nemico politico, che lascia capire di non
gradirlo affatto, dà coraggio e forza a chi in un modo o nell’altro
vorrebbe sbarazzarsene, proprio come un ministro che minaccia di censire
i Rom legittima e autorizza chiunque non veda l’ora di sfogare
frustrazioni e pregiudizi.
La reazione è stata corale. La scorta di Roberto Saviano non verrà rimossa.
Ma
non era questo l’obiettivo di Salvini. Il segnale è arrivato comunque e
non solo all’autore di Gomorra. Ora chiunque si senta troppo in vena di
criticare, inclusi moltissimi meno visibili e dunque meno protetti di
Saviano, sa che ciò non sfuggirà allo sguardo del nuovo alto loco, sente
olezzo di editto bulgaro, registra il brutale invito a moderare i toni e
a esercitare la debita autocensura.
Prima che intervenga la
censura vera e propria. Non è il cambiamento promesso, ma l’eterno
ritorno dell’uguale, delle mire censorie, delle allusioni minacciose
seguite spesso dagli interventi brutali, che nella politica italiana
equivale spesso al peggio.