il manifesto 22.6.18
In mare l’illegale è Salvini
Immigrazione.
Anche senza l’Aquarius le navi delle ong continuano le operazioni di
soccorso. Il direttore di Open Arms denuncia la politica italiana e gli
accordi criminali con la Libia
di Òscar Camps
Non
abbiamo la pretesa di cambiare il mondo, neppure di sradicare tutte le
ingiustizie del pianeta, ma solo di fare ciò che è nelle nostre
possibilità per evitare che gente innocente muoia annegata nel
Mediterraneo.
Noi, che siamo soccorritori e soccorritrici, non
potevamo continuare a lavorare nelle spiagge piene di turisti e sapere,
al tempo stesso, che il nostro mare si stava trasformando in una macabra
fossa comune a causa della politica ipocrita degli stati europei,
apparentemente inarrestabili nella loro ossessione di far diventare
l’Europa una fortezza.
La decisione del governo italiano di
chiudere i suoi porti all’Aquarius e al resto delle navi di salvataggio
umanitario è illegale e avrà, come conseguenza, l’aumento delle morti
nel Mediterraneo.
Più morti, e nient’altro che questo: perché, in mare, le cose sono o bianche o nere, pochi minuti separano la vita dalla morte.
In
alto mare le precarie imbarcazioni sovraccariche di persone sono
un’emergenza e, davanti a un’emergenza, non vi è altra priorità che
salvare vite ed evitare di metterne in pericolo altre. Questo,
semplicemente, è ciò che facciamo noi organizzazioni di salvataggio,
nonostante molti sembrino augurarsi che tutte queste persone vengano
inghiottite dal mare, senza lasciarne traccia.
CON L’AQUARIUS
condannata alla sua infinita Via Crucis nel Mediterraneo e con l’Open
Arms in cantiere in Spagna per riparazioni sono solo due le navi
umanitarie rimaste nella zona dei soccorsi di fronte alle coste libiche:
la SeeFuchs e la Lifeline. Il ministro degli interni Italiano di
estrema destra Matteo Salvini ha, di fatto, già avvertito che non
permetterà a queste navi lo sbarco in Italia.
Navi mercantili che
transitano nella stessa zona, non preparate a mettere in atto operazioni
di salvataggio così complicate, hanno soccorso più di 500 persone.
Nessuno sa quante ne siano annegate senza lasciare traccia.
Tutti e tutte sappiamo che ciò che è accaduto all’Aquarius non dovrebbe ripetersi.
In
primo luogo perché nessun essere umano si merita tale trattamento
disumano: dopo mesi passati da vittime di ogni tipo di abuso e tortura
in Libia, 629 persone, inclusi minorenni, hanno dovuto sopportare sette
giorni di navigazione in penose condizioni per riuscire ad attraversare
metà del Mediterraneo, con onde di quattro metri, a bordo di navi che
sono equipaggiate per accogliere i naufraghi solamente per poche ore.
Per
caso, avete dei dubbi che tutto ciò sarebbe stato classificato come
inammissibile, se si fosse trattato di cittadini e cittadine europee?
In
secondo luogo, durante tutto questo tempo ci è stato impedito di fare
ciò che avremmo dovuto fare: salvare vite in concreto e reale pericolo
di morte. E questo oltretutto, oltre che inumano, è un assurdo spreco di
denaro: il costo di questi giorni di traversata (migliaia di euro al
giorno) non può essere sopportato dalle Ong che si dedicano a salvare
vite nel mare.
Infine, anche mettendo da parte le considerazioni
etiche e morali, la decisione del governo italiano di chiudere i porti
alle navi umanitarie è illegale.
SECONDO IL DIRITTO marittimo
internazionale – che ovviamente non fa distinzione tra navi umanitarie,
commerciali o militari – l’Italia aveva il chiaro obbligo di offrire un
porto sicuro all’interno del proprio territorio. Il ricatto messo in
atto sulla pelle di 629 naufraghi e naufraghe è inammissibile e crea un
pericoloso precedente nel Mediterraneo e nell’Unione Europea che ne è
altrettanto responsabile. Tutte e tutti inoltre sappiamo che la nuova
idea di stabilire porti di sbarco al di fuori del territorio europeo
contribuirà solo a peggiorare le cose.
È inoltre illegale
l’appoggio alla autoproclamatasi «guardia costiera» di Tripoli –
istruita, rifornita e finanziata dal precedente governo italiano – che
non risponde a nessun governo eletto e che è stata protagonista di
gravissime azioni che hanno causato morti nel mare, oltre a minacciare a
suon di armi da fuoco i nostri equipaggi in più di una occasione.
Ogni
volta che dall’Italia si «coordina» un’azione di questi gruppi armati
nel mare si commette un’ulteriore illegalità: un respingimento
collettivo che obbliga persone che potenzialmente sono rifugiate a
essere riportate in luoghi nei quali la vita umana è in pericolo.
Ciò
è stato dichiarato dall’Onu e dagli stessi giudici italiani che, dopo
tre anni di indagini contro le Ong di soccorso in mare da parte del
procuratore siciliano Carmelo Zuccaro, hanno stabilito che la nostra
attività non contribuisce ad aumentare l’immigrazione illegale.
SALVINI
HA INTENZIONE di visitare Tripoli con l’obiettivo di rafforzare gli
accordi con la Libia. In parole povere, per poter contrattare la
vigilanza delle frontiere europee con personaggi che non hanno alcun
tipo di scrupolo e per le quali la vita delle persone più vulnerabili
non ha valore alcuno.
Per questi motivi, ritorniamo in zona di
soccorso a mettere in atto ciò che abbiamo imparato a fare di fronte al
disinteresse degli stati europei: andare dove vi sono vite in pericolo
per cercare di evitare che il nostro mare continui a inghiottire donne,
uomini, bambini e bambine. E anche per far sì che, mentre la barbarie
continua, almeno ci sia qualcuno che la possa raccontare.
* l’autore è fondatore e direttore della ong Proactiva Open Arms. Questo articolo è pubblicato su il manifesto e su El Pais