Il Fatto 27.6.18
Il dibattito tra Calenda e Salvini a Tor Bella Monaca: un incubo
di Antonio Padellaro
Questo
diario ha fatto un(brutto)sogno. Siamo a Roma e in una piazza di Tor
Bella Monaca (cassonetti colmi, cinghialotti a zonzo), Carlo Calenda –
l’ultimo e forse proprio ultimo iscritto al Pd – sfida in un duello
dialettico Matteo Salvini. Ricordo solo poche battute. Salvini: “È
finita la pacchia” (vivi applausi degli astanti). Calenda: “Non rispondo
alle fesserie di Salvini. Occorre un piano Marshall per sconfiggere
l’analfabetismo funzionale e così riassociare il futuro alla speranza”
(una voce: “basta co ’sti negri”). Salvini: “La pacchia è strafinita”.
Calenda: “Occorre un fronte repubblicano per andare oltre il Pd, una
segreteria costituente larga che progetti una grande assise…” (la folla
lo circonda minacciosa, lui con un balzo inforca lo scooter e scappa in
direzione Parioli).
Per fortuna era solo un incubo. Purtroppo però
le frasi dell’ex ministro dello Sviluppo, compreso il piano Marshall,
sono proprie le sue (intervista al Messaggero di martedì). Purtroppo
(per il Pd) domenica scorsa eravamo stati facili profeti nel
pronosticare un’ulteriore fuga degli elettori di sinistra verso
l’ignoto. Avevamo invitato i dirigenti del Nazareno a uscire dal sonno, a
dire qualcosa, a indicare una via d’uscita a un popolo, il loro, sempre
più smarrito. Purtroppo ci hanno dato retta.
Oltre alla lotta di
Calenda contro “l’analfabetismo funzionale” si è udita forte e chiara la
voce del reggente Maurizio Martina. “Dobbiamo scrivere una pagina
nuova”, ammette, “riconoscere gli errori per non rifarli”. Insomma
“cambiare e ricostruire con umiltà e coraggio” (Corriere della Sera). Ha
mancato solo di aggiungere non ci sono più le mezze stagioni e dobbiamo
tornare tra la gente (forse consapevole dei rischi connessi).
Allusivo
Nicola Zingaretti: “Non bastano semplici aggiustamenti e tantomeno
povere analisi di circostanza” (boh). Senza confini Matteo Orfini:
“Serve lavorare a un soggetto europeo che vada da Macron a Tsipras”. In
sintonia con Calenda, Romano Prodi teorizza l’oltrismo (“necessario
andare oltre il Pd”). Ventennale copy di Ferdinando Adornato, con il
celebre saggio Oltre la sinistra (“c’è solo la destra”, subito chiosò
Massimo D’Alema e infatti Adornato finì con Berlusconi). Su di giri il
renzianissimo Andrea Marcucci: “Il Pd ha perso anche senza Renzi”. A cui
fa eco un esultante Michele Anzaldi: “Senza Renzi e con i vecchi
notabili non si vince”. Sono soddisfazioni ma almeno costoro esprimono
senza ipocrisie l’unico sentimento che accomuna il gruppo dirigente Pd:
l’odio vigilante (per il vicino di banco). Nell’attesa di assistere allo
scontro finale tra oltristi, renzisti , repubblicani, rettiliani e
vesuviani qualche banale osservazione.
Primo: dopo aver ingrossato
le file del M5S, nei ballottaggi di domenica molti ex elettori Pd si
sono rifugiati nell’astensionismo. Dove sono destinati a rimanere fino a
quando l’attuale sinedrio non mollerà la presa (Massimo Cacciari: “I
nuovi capi siano estranei al passato”). Vastissimo programma.
Secondo:
battere la canea leghista non è impossibile. Come dimostrato, per
esempio, dal successo della tavolata multietnica (10mila persone)
organizzata dal sindaco di Milano Giuseppe Sala al Parco Sempione. C’è
un problema: organizzare, condividere, coinvolgere, cucinare,
apparecchiare e sparecchiare costa fatica. Più comodo progettare nuovi
soggetti, segreterie costituenti e grandi assise.
Una volta a chi
gli chiedeva la formula della buona letteratura Ernst Hemingway rispose:
“Uno per cento ispirazione creativa, novantanove per cento
traspirazione, impegno, sudore”. “Ma questo”, aggiunse, “vale per tutte
le cose che contano”.