Il Fatto 22.6.18
Leggende fondative: come fu che Romolo stracciò il contratto con Remo e fece Roma
Corsi e ricorsi - L’Italia non è rivoluzionaria perché al parricidio preferisce il fratricidio (U. Saba)
di Salvatore Settis
Come
mostrano tutte le statistiche e quotazioni di Borsa, le sfere di
cristallo e altri articoli e congegni mirati al vaticinio vanno forte
sui mercati. E gli analisti concordano: come, se non mediante aruspici e
veggenti, prevedere la sorte e gli esiti del governo uno e trino
Salvini-Conte-Di Maio?
Nelle aree più arretrate del Paese, anziani negromanti scrutano i fondi di caffè, con risultanze spesso discordi.
Intanto
si affannano i formulatori di formule, gli arrotondatori di tavole, i
contatori di Repubbliche (1, 2, 3, 4… and counting), i giustificatori di
scusanti, gli elogiatori di incompetenze ed altri acrobati. Oppure, ed è
l’alternativa preferita dagli intellettuali (populisti e non), si
ricorre a sudatissime ricerche d’archivio per rispolverare oscuri e
dimenticati testi profetici. Tra i quali emerge il seguente:
“Vi
siete mai chiesti perché l’Italia non ha avuto, in tutta la sua storia –
da Roma ad oggi – una sola vera rivoluzione? La risposta – chiave che
apre molte porte – è forse la storia d’Italia in poche righe. Gli
italiani non sono parricidi; sono fratricidi. Romolo e Remo, Ferruccio e
Maramaldo, Mussolini e i socialisti, Badoglio e Graziani. ‘Combatteremo
– fece stampare quest’ultimo in un suo manifesto – fratelli contro
fratelli’. Favorito, non determinato, dalle circostanze, fu un grido del
cuore, il grido di uno che – diventato chiaro a se stesso – finalmente
si sfoghi. Gli italiani sono l’unico popolo, credo, che abbiano, alla
base della loro storia, o della loro leggenda, un fratricidio. Ed è solo
col parricidio, con l’uccisione del vecchio, che si inizia una
rivoluzione. Gli italiani vogliono darsi al padre, ed avere da lui, in
cambio, il permesso di uccidere gli altri fratelli” (Umberto Saba,
Scorciatoie e raccontini, 1946).
E infatti, raccontano gli
storici, i due fratelli Romolo e Remo, dopo aver stipulato fra loro un
contratto per la fondazione di Roma, non riuscirono a mettersi d’accordo
su chi dovesse esserne il re, e decisero che avrebbe vinto chi vedesse
più rapaci dall’alto di un colle.
Remo, dall’Aventino, ne vide
sei, e poco dopo Romolo, sul Palatino, ne vide dodici. Il partito di
Romolo lo voleva re, perché aveva avuto più “voti”, quello di Remo
obiettava che i suoi voti erano meno ma valevano di più perché arrivati
prima (Tito Livio).
Invano tentarono una mediazione attraverso uno
sconosciuto scelto a caso tra i passanti. Allora Romolo decise di
passare all’azione: tracciò con l’aratro il perimetro delle mura di
Roma, e al grido di #Prima i Romani! vietò agli stranieri di entrarvi.
E
il povero Remo, che magari avrebbe voluto ammettervi qualche migrante
dai paraggi, senza tanti complimenti fu ucciso dal fratello (Plutarco).
Risultato: Romolo re di Roma, Remo sepolto, il contratto stracciato, il
mediatore rispedito a casa nonostante il curriculum. Perché, allora come
ora, “è l’aratro che traccia il solco, ma è la spada che lo difende”
(B. Mussolini, 1934).