Il Fatto 10.6.18
Storia d’Italia: ora non c’è ritorno
di Furio Colombo
Riassumiamo:
c’è un presidente del Consiglio part-time. È part-time perché,
costituzionalmente e politicamente, quando non è in scena, non c’è. Col
dovuto preavviso si presenta in aula vestito da Quirinale, incluso il
fazzoletto bianco al taschino, che sarebbe ormai in disuso. Ma i
professionisti non sono alla moda, sono in divisa. Quando è il momento
“il presidente” enuncia, senza la minima vibrazione o emozione o
passione (non sarebbe professionale) ciò che è stato concordato sulle
schede preparate dai suoi datori di lavoro.
Il suo lavoro è
rappresentare un governo che non si è mai formato, nel senso che non c’è
unione o condivisione su nulla, né vi sono progetti o passioni in
comune. D’altra parte tutta la gente che vediamo al governo, alcuni fino
a un momento fa del tutto estranei a ciò che gli sta succedendo, tutta
quella gente è stata eletta da due masse diverse e contrapposte di
elettori, che volevano mondi diversi. A essi hanno spiegato che, date le
circostanze, solo unendosi fra estranei si può governare. A questo
punto inizia lo show. Prevede che arrivi un signore sconosciuto che si
presta a pronunciare il discorso. Poi lo show deve continuare, e non
sarà quel bravo signore vestito da premier part-time a guastarlo. Lo sa
anche lui, come lo sanno i cittadini-spettatori dell’evento unico al
mondo, che lui è il presidente di nessuno. Ma questo non vuol dire che
lascerà il lavoro a metà. Perciò prende l’aereo e va in Canada, in una
missione anomala: presentare al mondo il nuovo governo italiano da cui
non è stato eletto, per cui non ha lavorato e in cui non conosceva
nessuno. E prendere, in nome dell’Italia, decisioni mai discusse da
alcun Parlamento. Compito difficile, se volete imbarazzante. Ma non più
che presentare il “governo del cambiamento” agli italiani, che non
avevano mai sentito parlare del loro presidente del Consiglio fino al
giorno del giuramento, e che del cambiamento adesso conoscono solo il
nuovo amore italiano per Putin, il progetto di “rimpatriare” subito 600
mila immigrati (detti “clandestini” benché siano sempre in vista se
qualcuno di razza bianca ha in mano un fucile), la “tassa piatta”
rifiutata con dignità e sdegno dal presidente dei Giovani Industriali
italiani “perché è un dono ai ricchi”, la contiguità del ministro della
Difesa del cambiamento con una ditta che assume mercenari (contractor)
per le aree a rischio del mondo (ricordate Quattrocchi e la frase per
cui ci hanno chiesto celebrazione “adesso vi faccio vedere come muore un
italiano”?). Era un alunno dell’università del cambiamento. Ci sono due
vice primi ministri, accanto al professionista dell’apparenza di cui
stiamo parlando. Per fortuna ciascuno dispone di un ministero o due per
esistere. Ma il mestiere di vice primo ministro (ovvero sostituto del
capo del governo) nessuno dei due lo potrebbe fare mai perché sarebbe
come scendere all’improvviso da una altalena. L’altro cadrebbe. Infatti
quello dei due che assumesse, anche per un istante le funzioni di
governo, come vice in sostituzione del capo, romperebbe il “contratto”
diventando, magari solo per poche ore, più importante dell’altro. Per la
stessa ragione il premier part-time non può essere davvero e
legittimamente chiamato premier, designazione che, nella Costituzione
italiana, non significa primo ministro, ma primus inter pares. Il
designato italiano non può perché non ha pares. Ha datori di lavoro. E
non ha colleghi, perché i ministri dipendono direttamente o da Salvini o
da Di Maio. Infatti non ci sono, almeno per ora, tracce di relazione
anche solo di conversazione tra il presidente del Consiglio part-time e i
ministri che fanno capo ai due vice.
D’altra parte il “contratto”
che sembra vincolare tutta questa strana macchina organizzativa, è un
oggetto, ignoto e privo di significato in politica, perché vincola
individualmente i contraenti solo in quanto privati. Strano che un
simile paradosso (fondare sul diritto privato il funzionamento di un
governo, che è il vertice della cosa pubblica) venga messo, sia pure
part-time, nelle mani di un docente di Diritto privato, che avrebbe
dovuto, per prima cosa, chiarire l’equivoco. In conclusione, abbiamo un
presidente del Consiglio part-time che non ha una sua idea, non
appartiene a un partito, non ha un leader, non è un leader, lavora per
due grandi clienti, e pare che la sua bravura sia nell’armonizzare, o
almeno tollerare, due gruppi incompatibili. C’è da domandarsi se, in
caso di difficoltà, che all’improvviso potrebbero dimostrarsi più gravi,
non si possano avere due primi ministri, a funzione alternata. Sì, è
vero, sarebbe una situazione molto strana. Ma non più. Abbiamo mandato
in Canada a trattare i destini dell’Italia un signore che una settimana
prima non aveva la minima idea di dover fare politica mondiale e né la
minima conoscenza sul come farlo. È il cambiamento, bellezza.